“Noi non raccontiamo, noi evochiamo” ci dice Sasà Neri “Per noi quello di oggi rappresenta un debutto assoluto anche perché è la prima volta che facciamo teatro insieme alla band della Casa delle candele di carta che presentano il loro concept album; a loro ci siamo avvicinati come un gatto che si avvicina ad una cosa nuova con sensibilità e timore e immergendoci in questa miscela di musica e teatro.
Un debutto assoluto per noi che facciamo un teatro fortemente libero e performatico,in quanto ci siamo sperimentati esos dalla strada dentro uno spazio classico con lo sbigliettamento a posto prenotato, quando di solito sono i nostri ragazzi a disporre il pubblico e per esempio, ci dice sorridendo, se vedono una coppia decidono di far cambiare posto ad uno dei due.” Sasà Neri ci racconta entusiasta la storia che ha vissuto e continua a vivere con Esos theatre, “amiamo il cosmo in cui il pubblico viene a trovarci e dove ci suggerisce sempre qualcosa, per noi il teatro come spazio potrebbe anche non esistere, anche qui mi piacerebbe rimanere con i ragazzi come spazio aperto per 24 ore o una settimana e vedere con la città cosa succede.“
Il teatro nell’ensamble degli Esos e delle candele di Carta passa di bocca in bocca, si fa sibilo, intreccio narrativo, ululato e canto, si fa luce che d’improvviso illumina sguardi sgretolanti che fanno emergere il volto rompendo le maschere con mazze di ferro;in piena lucentezza, piuma d’indipendenza, pennacchio di franchezza, come direbbe Cyrano personaggio caro a Neri.
Una continua sollecitazione e citazione da copione, lo spettatore si ritrova immerso in un cosmo nel quale planano gli attori continuamente pronti a sollecitare e suscitare con lo sguardo con i gesti, in un continuo setting tra il palco, dove la narrazione si fa mito riletto in chiave moderna e dark, ed il pubblico dove il copione diventa contatto del momento e reazione spontanea.
“La zavorra, nel nostro teatro, diventa idea di volo, dare forma alla nostra arte, alla nostra libertà comunicativa” afferma Neri, un racconto fatto di continue evocazioni, solcando un mare di tempeste di veleno. Sul palco come ombre dantesche si illuminano in sequenza una serie di personaggi in viaggio verso sé stessi Io non sono che una donna sventurata urla una Medea sanguinaria che era stata colpita, secondo il beffardo Giasone, da un teatrino fatto di una nevrosi riproduttiva. E poi Ulisse che non torna e Prometeo incatenato e che incatena, eroi della propria tragedia dentro un grandissimo inferno provando a non divenire un pario con il pregiudizio che nega ogni diritto narrano il percorso accidentato del mondo, tra la scoperta, la prevaricazione, la continua messa in discussione sgretolante delle impalcature delle convenzioni, la riscoperta sessuale velata di perversione, gli dei di vetro e di cemento che scrutano muti, sullo sfondo di tetti che vedono cadere i padri disperati e non i soliti politici corrotti.
“Io che guardo con i tuoi occhi e tu con i miei, la nostra intenzione è tutta nell’esos nel tirare fuori emozioni, dietro un non colore che diventa protezione dell’io”
Il racconto è adrenalinico, sinestetico, tocca tutte le corde della partecipazione emotiva, traducendosi in un sibilo corale accompagnato da una densa sequenza ritmica.
Ombra di luce sottratta al respiro, ombra assassina che ti veste, ombra che finge gli spazi nascosti, sinuosa incide scavando un ritmo che tocca vertici di lirismo gotico e si fa anche forte e spesso divenendo il filo sul quale mantenere in continuo equilibrio la voglia urgente di dire e raccontare.
Questi miti attualizzati nel raffinato racconto della band portano un’urgenza sanguigna d’amore e di lotta dentro melodie che toccano nel profondo e che ci rendono eroi profondamente umani e fragili che perdono le rotte, che prevaricano, vacillano e poi tornano a viaggiare, in quel naufragio dell’IO che ha il sapore della riscoperta.
( Giuseppe Finocchio)