Chiesa e mafia. Un rapporto fatto spesso di connivenze e torbidi silenzi. Questo velo è stato però squarciato dal volontarismo di pochi, come Don Pino Puglisi ucciso perché ha lottato prepotentemente contro i precetti predicati dai mafiosi. La ‘ndragheta davanti all’altare, edito da Sabbia Rossa, presentato ieri a Palazzo Zanca ha il merito di portare il lettore su temi spesso dimenticati, trascurati, vuoi per paura vuoi perché ritenuti scomodi. Le mafie del resto traggono la propria linfa dal silenzio e della legittimazione sociale e spesso essere considerati buon cristiani è sinonimo di integrità. La domanda che sorge spontanea è agli occhi di chi? del prossimo o di Dio? Questo è solo uno degli interrogativi suggerito da questo libro nato dalla volontà di cinque autori Romina Arena, Paola Bottero, Francesca Chirico, Cristina Riso e Alessandro Russo che hanno magistralmente occupato un posto vuoto, quello dello spazio critico. A Palazzo Zanca ieri però si è riportato anche il dibattito nella dimensione della cronaca dei nostri giorni. Non a caso la giornalista Rosaria Brancato ha riportato le lancette dell’orologio al 2012 quando Santo Sfameni, il padrino che ha aiutato gli assassini di Graziella Campagna è stato celebrato in pompa magna da cittadini, istituzioni e altare: “Questa vicenda fa capire come esistono due tipi di chiesa quella di Don Pino Puglisi-ha sottolineato la giornalista- e quella che si gira dall’altra parte. Trent’anni dopo la morte di Graziella Campagna la sua memoria e il suo sangue continua ad essere sporcato”. Paola Bottero una delle autrici torinese di nascita calabrese di adozione ha sottolineato come è stato importante il lavoro di squadra e l’apporto di Giuseppe Creazzo:” Prima di lavorare al progetto ci mancava il punto di vista dell’istituzione che potesse raccontare questa realtà in maniera asciutta e critica. Questo compito non a caso è stato affidato a Giuseppe Creazzo. In Calabria era un argomento tabù. L’intento è stato quello di raccontare gli esempi di resistenza e di chi invece si gira dall’altra parte”. E’ proprio il procuratore di Palmi ha delineato i tratti più salienti del legame tra fede e mafia:” Il rapporto tra chiesa e mafia non è da trascurare. La mafie traggono la propria forza dal consenso sociale e il comportamento dei ferventi religiosi ed è un metodo per ottenere legittimazione sociale. Svolgendo un ruolo da protagonisti spesso i mafiosi popolano le manifestazioni religiose. Il problema è questo bisogna chiedersi cosa fa l’altare davanti alla ‘ndrangheta e non viceversa e bisogna scoprire gli esempi positivi come Monsignor Agostino che nel 1992 ha scritto una lettera pastorale per stigmatizzare contro la somministrazione dei sacramenti ai mafiosi. Sempre lui l’intervento proposto conferenza episcopale calabrese del 17 ottobre 2007. Il documento recita:”Le mafie, di cui la ‘ndrangheta è oggi la faccia più visibile e pericolosa, costituiscono un nemico per il presente e l’avvenire della nostra Calabria. Noi dobbiamo contrastarle, perché nemiche del vangelo e della comunità umana. In nome del vangelo, dobbiamo tracciare il cammino sicuro ai figli fedeli e recuperare i figli appartenenti alla mafia”. Travolgente infine l’intervento di padre Felice Scalia, voce fuori dal coro, che ha stigmatizzato contro la compiacenza della chiesa che troppo spesso copre con il manto della misericordia troppi peccati anche quelli dei mafiosi poiché benefattori: “Io sono un chiacchierone e tengo a precisare che non ho mai subito persecuzioni. La crisi della chiesa purtroppo non è dettata solo dalla pedofilia ma la crisi si vede soprattutto nelle connessioni con il potere. Una chiesa cristiana che vuole potere non è più cristiana. Vi rendete conto quanto siamo lontani dalla mentalità di Gesù? Stanno venendo tutti nodi al pettine. Ma i tempi non sono ancora maturi ma anche il nodo lo ribadisco mafia –chiesa deve venire al pettine”. Per Felice Scalia il problema fondamentale è la bramosia di potere, peccato che ha accompagnato le gerarchie ecclesiastiche fin dai tempi della Democrazia cristiana e l’abbandono dei principi fondamentali della cristianità”. Però alla fine della fiera c’è un’immagine che acceca più di tutte l’interesse della cittadinanza messinese per un atleta. Qualcuno ha storto perfino il naso e ha mostrato impazienza mostrata per quel salone delle bandiere occupato da un prete, giornalista e magistrato perché aspettava il proprio beniamino. Indifferenza? Non si riesce a capire se a Messina se si è accomodanti sulle cose che contano o se invece si è totalmente apatici e indifferenti. Rispondiamo con le parole di Creazzo:” “Restare imparziali o immobili è già prendere una posizione, ma è prendere una posizione sbagliata”.
Claudia Benassai