La cultura delle cure palliative

Il termine “palliato” trova la sua etimologia nel latino pallium, con cui s’indicava il mantello del pellegrino. Si tratta quindi di una metafora usata per descrivere tutta la gestione di tutta una serie di cure, di una vera e propria presa in carico del paziente terminale, sia affetto da neoplasia sia da altre patologie.
Le cure palliative si occupano in maniera attiva e totale dei pazienti colpiti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici. Il controllo del dolore, di altri sintomi e degli aspetti psicologici, sociali e spirituali è di fondamentale importanza a questo punto della vita. Alcuni interventi palliativi sono applicabili anche più precocemente nel decorso della malattia, in aggiunta al trattamento oncologico. Inoltre la filosofia delle cure palliative afferma la vita e considera il morire come un evento naturale, non accelerando né ritardando la morte, ma invece provvedendo al sollievo dal dolore e dagli altri disturbi, nonché integrando gli aspetti psicologici e spirituali dell’assistenza. Vale a dire aiutare i pazienti a vivere in maniera attiva fino alla morte, sostenere la famiglia durante la malattia e durante il lutto.

“Le cure palliative”, ha detto il presidente della SICP Trizzino, “non sono da intendersi quindi come la semplice somministrazione di morfina o di altri potenti analgesici per lenire il dolore fisico, ma prendono in considerazione tutte le problematiche che si scatenano nell’ultima fase della vita e non solo quelle cliniche, ma quelle che si scatenano anche nel gruppo familiare e nella rete amicale”. Quindi anche e soprattutto quelle psicologiche legate alla sofferenza più grande: quella di sapere di dover morire o di sapere che un proprio caro è vicino alla morte. Quello che serve dunque al di là delle cure cliniche è una vera e propria équipe multidisciplinare che segua il malato terminale nell’ultima fase della vita, cercando di renderla il meno dolorosa possibile. “In Italia”, ha spiegato Trizzino, “l’attenzione alle cure palliative è penetrata molto tardi, rispetto ad altri Paesi del Nord Europa e agli Stati Uniti. Si tratta di un approccio culturale al trattamento del dolore dei malati al termine della loro vita che ha fatto fatica a penetrare nel nostro, come in altri Paesi. A un periodo di assoluta mancanza di cura nei confronti del paziente terminale piano piano e soprattutto con la costituzione della SICP, nel 1987, si va diffondendo una mentalità diversa”.

Ma davvero il discorso è cambiato così tanto? “Purtroppo”, ha ammesso Trizzino, “il mutamento non è stato repentino. Ancora oggi mancano normative precise, riferimenti legislativi, anche se la situazione attuale in Italia è notevolmente migliorata, grazie a un triennio che ha visto fiorire sia a livello nazionale sia a livello regionale molti interventi di legge che riguardano la disciplina delle cure palliative e nello specifico tutte le attività connesse, come l’assistenza domiciliare integrata”. Possiamo dire quindi che finalmente anche in Italia è “passato” il concetto del prendersi cura in toto del malato terminale per porre fine, o almeno un limite, alla sua inutile e crudele sofferenza? “La situazione”, evidenzia però Trizzino, “è ferma ai finanziamenti della legge 39/99 (450 mld di vecchie lire) grazie ai quali è stato possibile realizzare i primi hospice, cioè le strutture di accoglienza. Oggi, in Italia, se ne contano circa 50 che ospitano circa 2000 persone. Purtroppo la loro dislocazione è a “macchia di leopardo”, e al Sud la situazione è gravemente arretrata, in generale c’è un vero e proprio vuoto, una totale assenza di attenzione”.

A esclusione di qualche regione nel Nord e della Sicilia, dove a settembre viene inaugurato dalla SICP il primo corso di formazione in cure palliative, della durata di tre mesi, rivolto a medici e infermieri. Dopo il 1999 alcuni hospice poi, sono stati realizzati all’interno delle strutture ospedaliere, altri sono invece esterni e gestiti da privati o da associazioni non profit o di volontariato. Altri ancora sono stati inseriti all’interno delle Residenze Sanitarie Assistite (RSA), che in realtà sarebbero nate per accogliere gli anziani non autosufficienti. “Attualmente la soluzione federalista, che ha portato alla modifica del Titolo V della Costituzione e che ha investito anche la sanità sta facendo sì che ogni regione proceda con criteri assolutamente diversi. Questa situazione non è affatto da sottovalutare, anzi possiamo dire senza remore che è notevolmente grave, perché il sistema delle cure palliative viene gestito in autonomia da ogni singola regione. Tutto ciò provoca difformità notevoli, perché in certe zone manca ancora la cultura delle cure palliative e di conseguenza anche la preparazione degli operatori”. Quali sono allora i problemi più importanti da affrontare oggi per far sì che il malato oncologico in fase terminale possa essere trattato con la dignità che gli spetta?
“I più importanti”, ha dichiarato Giorgio Trizzino, “sono quelli che riguardano l’integrazione socio-sanitaria e cioè l’istituzione di una “rete” di cure palliative, che stenta a decollare. Esistono solo delle piccole isole felici, ma non esiste affatto un sistema di collegamento sul territorio nazionale che funga da “cabina di regia” che consenta il trattamento del paziente oncologico terminale in tutte le varie fasi cliniche ed esistenziali secondo dei criteri omogenei. Purtroppo oggi non è così. S’indirizza un paziente all’hospice, o al sistema di assistenza domiciliare, ma senza effettuare nessuna valutazione sulle condizioni esistenziali dell’ammalato. Non esistono nemmeno linee guida comuni di coordinamento su tutto il territorio nazionale e questo introduce il secondo grave problema: quello della formazione degli operatori. Da presidente della società ho rilevato che esistono molte iniziative lodevoli sul territorio. Tuttavia se manca il collante, delle linee guida che garantiscano un’omogeneità di intervento e di monitoraggio, il rischio è quello di avere delle realtà sul territorio nazionale molto differenti a ovvio nocumento dei cittadini”. Come pensate quindi di affrontare questa realtà per tentare di migliorarla e di offrire un servizio sempre più adeguato? “Adesso ci preme innanzitutto attuare la “rete”. Il ministro della Salute Girolamo Sirchia aveva già predisposto una commissione ministeriale che avesse il compito di costruire questo modello, che attualmente è all’esame del Consiglio Superiore di Sanità per poi essere inviato alle Regioni. Il modello è uno strumento eccellente, perché potrà aiutare le regioni a costruire una rete di servizi destinati ai pazienti oncologici. Se riusciamo a superare questo scoglio e l’approvazione del documento in Conferenza Stato-Regioni avremo compiuto un enorme passo in avanti nella storia delle cure palliative in Italia. Sensibilità c’è stata in questo campo fin da quando il dicastero di Lungotevere Ripa era guidato da Umberto Veronesi, ma anche il ministro Sirchia si è posto fra le priorità il piano oncologico nazionale e all’interno di questo proprio le cure palliative”. I tempi? Secondo Giorgio Trizzino tutto dovrebbe essere già risolto entro l’estate.

Come controllare il dolore Il dolore è un fenomeno complesso che si presta difficilmente a una eccessiva semplificazione. La stimolazione di recettori periferici e la trasmissione dell’impulso doloroso, attraverso vie nervose, non sono infatti completamente chiare agli studiosi. La sensazione del dolore e la sua esperienza sono sottoposte nel loro percorso a modificazioni, modulazioni, ecc., che rendono l’effetto di uno stesso stimolo assolutamente diverso secondo la funzionalità del sistema nervoso con cui interagisce. Inoltre incidono un insieme di influenze ambientali, psicologiche e culturali, particolarmente evidenti nelle sindromi dolorose croniche. Per sottolineare tale complessità è stato coniato il termine di “dolore totale”, di cui il dolore da cancro costituisce uno degli esempi più forti. Le cause del dolore oncologico si possono così riassumere:
– dovute al tumore (infiltrazione dei tessuti, interessamento viscerale, ulcerazione, infezione);
– non direttamente provocate dalla neoplasia (contratture muscolari, stitichezza, decubiti, candidosi);
– legate alle terapie (chirurgica, radio-chemioterapica);
– non dipendenti dal tumore o dalle terapie (cause cardiovascolari, neuropatie, ecc.).

Il principio alla base del trattamento antalgico nel paziente oncologico è quello di ottenere la massima riduzione del dolore con mezzi poco tossici, poco traumatici, di facile attuazione e di basso costo economico. Il più importante trattamento del dolore da cancro è quello farmacologico. Gli analgesici di base appartengono a tre classi farmaceutiche: gli antinfiammatori non steroidei (FANS), gli oppioidi deboli e gli oppioidi forti. A questi si possono associare uno o più farmaci coadiuvanti. L’approccio farmacologico consigliato è quello sequenziale a tre gradini proposto dall’OMS. Il primo gradino prevede l’uso di farmaci analgesici non steroidei (FANS). Se con essi non si ottiene il controllo del dolore, occorre associare oppioidi deboli (codeina, ossicodone, buprenorfina), giungendo così al secondo gradino. Se questa associazione di farmaci non è sufficiente occorre passare ad analgesici oppioidi forti (morfina, metadone).
Un po’ di storia Date fondamentali nella storia delle cure palliative in Italia e nel mondo sono:
1842: Jeanne Garnier fonda a Lione le prime case per assistere i morenti (Calvaires)
1879: le Irish Sisters of Charity aprono a Dublino l’Our Lady’s Hospice e nel 1905 il Saint Joseph’s Hospice a Londra
1893: a Londra viene aperta la Saint Luke’s Home for Dying Poor
1899: apre i battenti a New York il Calvary’s Hospital, ispirato all’opera di Jeanne Garnier
1948: è costituita la Marie Curie Memorial Foundation con lo scopo di assistere nella loro casa malati inguaribili di tumore. Nel 1952, con l’esperienza accumulata seguendo a domicilio oltre 7.000 pazienti, viene ufficializzato un programma per la cura infermieristica continua a domicilio e in nursing home. Il programma si basa sulla constatazione che le cure normalmente erogate ai pazienti con malattia avanzata non soddisfano le loro necessità di controllo del dolore e degli altri sintomi, di supporto psico-sociale, spirituale, d’informazione e comunicazione oltre che di aiuto alla famiglia
1967: dopo aver lavorato come infermiera al Saint Joseph’s Hospice, Cicely Saunders fonda, a Sydenham (Londra), il Saint Christopher’s Hospice.
L’esperienza hospice si diffonderà ampiamente prima nei Paesi di lingua inglese (Canada, Stati Uniti e Australia)
e, in seguito, in tutto il mondo occidentale. Negli anni Settanta si verificherà un grande sviluppo soprattutto degli hospice residenziali, molti dei quali opereranno su base volontaristica mentre altri saranno pienamente inseriti nel National Health Service. Successivamente l’attenzione si sposterà sempre di più sulla creazione di équipe di cura domiciliare che, pur facendo capo agli hospice residenziali, privilegeranno il mantenimento del paziente nel proprio ambito familiare e abitativo, quando possibile
1973: è costituito l’International Association for Study of Pain (IASP)
1975: viene istituito da Balfour Mount il primo Servizio di cure palliative al Royal Victoria Hospital di Montreal (Canada). È la prima volta che viene usata l’espressione “cure palliative” per indicare un programma di cure per pazienti in fase avanzata di malati
1978: primo congresso sul dolore da cancro, organizzato a Venezia dalla Fondazione Floriani
1986: pubblicazione del volume Cancer Pain Relief dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS); Costituzione della Società italiana cure palliative (SICP)
1988: primo congresso della SICP, a Rapallo
1989: costituzione della European Association for Palliative Care (EAPC); Costituzione della Scuola italiana di medicina e cure palliative (SIMPA)
1990: primo congresso dell’EAPC, a Parigi
1991: pubblicazione del volume Cancer Pain Relief and Palliative Care, dell’OMS; Costituzione del Comitato etico della Fondazione Floriani
1992: costituzione del National Council for Hospice and Palliative Care, in Gran Bretagna
1996: la Regione Sicilia con la L.R. 26/96 definisce i criteri per la realizzazione degli hospice
1999: il DL 450, convertito in Legge 39/99, prevede uno stanziamento di 450 mld di vecchie lire per la costruzione degli hospice
1999-2000: le Regioni Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte emanano atti di indirizzo e coordinamento per le cure palliative
2003: la SICP organizza il primo corso di formazione per medici e infermieri sulle cure palliative