Sollevando lo sguardo dalla spiaggia sabbiosa, bagnata dalle acque cristalline del mar Tirreno, il bianco profilo delle case basse si allunga da un lato fin sotto il capo del faro, dall’altro, ad ovest, lambisce l’aspro promontorio che delimita la baia del piccolo borgo marinaro. Un’isola di pace dove il tempo è scandito dai ritmi lenti delle afose giornate spazzate dai venti di scirocco.
Dal mare sale pungente l’odore di salsedine e tutt’intorno, se chiudi gli occhi, ti sembra di sentire le frenetiche melodie giungere dall’Africa vicina e avvolgerti nell’ancestrale tam-tam di djembe e darabouka. Per un momento hai creduto di sognare, poi riapri gli occhi e ti rendi conto di quanto la realtà possa avvicinarsi alla fantasia: benvenuto a San Vito lo Capo. È l’ultima settimana di settembre e tra i vicoli di questo piccolo gioiello incastonato tra le brulle colline trapanesi e la baia caraibica di sabbia fine va di scena la quindicesima edizione del Cous Cous Fest: il festival internazionale dell’integrazione culturale. Protagonista indiscusso dell’evento – neanche a dirlo – il cous cous, piatto ricco di storia ed elemento di sintesi tra culture, simbolo di apertura, meticciato e contaminazione.
Quest’anno a contendersi il titolo per quello più buono ben nove paesi in gara: Costa d’Avorio, Egitto, Francia, Israele, Italia, Marocco, Palestina, Senegal e Tunisia. Con il pesce o i crostacei, con la carne di vitello, di pollo o di montone, alle verdure o insaporito con il latte di cocco, coi pinoli, l’uva passa e il finocchietto, speziato o piccante, caldo o freddo, questo piatto tipico dell’area euro-mediterranea diviene il canovaccio su cui costruire una fitta rete di storie che parlano di pace, amore, fratellanza, cooperazione. Una settimana per scoprire che un altro mondo è possibile, per rendersi conto che dietro l’apparente diversità razziale,sessuale, somatica o culturale in fondo siamo tutti uguali, tutti con lo stesso colore di pelle, gli stessi occhi, la stessa legittima pretesa ad essere felici. Così, tra sapori e sfide gastronomiche, la festa diviene pretesto per affrontare dibattiti e momenti di approfondimento su temi caldi, come quelli moderati da Vladimir Luxuria dal palco del talk show “Cafè le Cous Cous”, allestito nella centralissima piazza del Santuario. I progetti di cooperazione interfrontaliera, i fenomeni migratori, la mala politica, la difesa dei diritti omosessuali e della diversità in genere, fino ad approdare a temi specifici come il MUOS di Niscemi, sono solo alcuni degli argomenti toccati dagli ospiti – artisti, autori, comici, attori – del talk show. E poi spazio ai linguaggi della musica nel segno della contaminazione di ritmi e suoni, testimonianze sonore della varietà del mondo che, incontrandosi, si fondono.
Dal blues made in Italy di Bennato alle sonorità mediterranee della Mannoia. Dalle energiche ballate balcaniche di Bregovic alle suggestive commistioni tra taranta salentina ed etno-africana arrangiate nelle trame musicali tessute da Taranta Nera. E infine gli emergenti Ipercussonici, autori di un sound capace di fondere culture musicali tra di loro diversissime, grazie all’utilizzo di strumenti acustici tradizionali in grado di trascendere le distinzioni tra i generi e comunicare trasversalmente a tutte le generazioni e ad ogni latitudine. E infine storia, arte,cultura, tradizioni, artigianato, mischiati in un vortice di suoni e immagini, saperi e sapori, odori e sensazioni, a celebrare quanto di meglio il trapanese – con la sua natura, le sue tipicità, la sua gente – possa offrire.
Non è solo turismo questo. Non si tratta solo di un festival in grado di coniugare elementi della tradizione locale e fonderli con la pregnanza socioculturale di messaggi universalmente giusti e validi. Non è solo pura celebrazione dell’interculturalità attraverso il cibo e la musica. Non è solo esaltazione delle tipicità. Non è solo mare, musica, relax, divertimento. È la sintesi di tutto questo, certo. Ma è anche qualcosa di più. Quando le luci del Cous Cous fest si spengono e vieni via da San Vito te ne accorgi. Ti sembra di essere stato, anche solo per qualche giorno, al centro del mondo. Ti sembra di aver preso parte a qualcosa di straordinario, e se ci pensi bene ti rendi conto che tutto questo non è nient’altro che il lato buono, sano e genuino della nostra amata Sicilia.
Quasi dimenticavo … a vincere il premio più ambito della competizione, quello della giuria tecnica, è stata la Francia con la ricetta di cous cous con agnello brasato, cipolle al miele, uvetta, mandorle e spezie, preparata da Alice Delcourt, chef patron del ristorante “Erba brusca” di Milano.
Motivazione: la capacità di coniugare la tradizione con la creatività dell’alta cucina contemporanea. All’Italia, invece, è toccato il premio della giuria popolare con il cous cous di pesce al profumo di finocchietto preparato da due chef sanvitesi, Piera Spagnolo e Katia Abrignani, e dallo chef Fabrizio Ferrari di Lecco.
Non per campanilismo … ma era davvero eccezionale!