La discarica era il bancomat della mafia

“La procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto ha due gruppi di lavoro: uno è dedicato ai reati ambientali e questo testimonia che non solo abbiamo a cuore queste problematiche, ma anche una sensibilità particolare. Il pool che lavora su questi temi è composto da due colleghi e uno di loro viene dall’esperienza maturata con il procuratore di Torino Raffaele Guariniello. Credo che la specializzazione in magistratura sia utile e importante. La nostra è una realtà piccola, siamo cinque sostituti e un capo dell’ufficio. Oggi come oggi  mancano un procuratore e un sostituto un altro collega lascerà l’incarico il 15 dicembre. Rimaniamo soltanto in tre, ma nonostante questo ce la metteremo tutta per mantenere l’ufficio efficiente come lo è stato negli ultimi anni”.

A lanciare l’allarme desertificazione per la procura di Barcellona è stato di recente il p.m. Francesco Massara, e lo ha fatto durante la conferenza stampa sul sequestro della discarica di Mazzarà Sant’Andrea dei giorni scorsi, proprio per una serie di reati ambientali. A Barcellona  mafia e ambiente sembrano non essere un ossimoro, nonostante i filoni d’indagine siano separati. Lo dimostra proprio il sito di smaltimento dei rifiuti, dove in un passato piuttosto recente gli interessi delle cosche mafiose e dell’amministrazione si sono fusi, per poi essere cristallizzati in un processo, “Vivaio” che ha generato tra le altre una condanna a otto anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa dell’ex presidente del consiglio di amministrazione della TirrenoAmbiente S.p.A., il prof, Sebastiano Giambò.

Del business “munnizza” oltre che il processo “Vivaio” sono pieni anche i faldoni dell’inchiesta “Gotha”e tra le carte ci sono i verbali del superpentito di Mazzarà Sant’Andrea, Carmelo Bisognano, che ha ricostruito i solidi legami che aveva instaurato con politici insospettabili, grazie alla nomea di cittadino “modello” e agiva protetto dal paravento di una ditta apparentemente pulita, la Truscello Teresa, intestata alla ex compagna e che alimentava quella politica clientelare del do ut des che ne aveva decretato il supporto politico in cambio dell’affidamento diretto dei lavori pubblici.

Un sistema creato ad hoc prima dell’“inaugurazione” della discarica stessa (il “puparo”, in quel caso, era il sindaco l’ex sindaco Carmelo Navarra la cui elezione è stato sostenuta dalla mafia come ha rivelato il collaboratore di giustizia Salvatore Artino ), oggi nuovamente al centro dei riflettori per i sigilli, sulla base di un accordo non scritto, ma che non lasciava spazio a equivoci e che dettava legge anche dopo: “Con Giambò Sebastiano mi accordai, in quel periodo, di provvedere alla fornitura di terra per la copertura della nuova discarica di Mazzarrà Sant’Andrea”, ha dichiarato Bisognano, “così come avevo già fatto in precedenza, con riferimento alla vecchia discarica tramite l’impresa della mia compagna”. Un accordo che è rimasto vivido negli occhi di Mario Foti, il coraggioso sindaco di Furnari che ha portato avanti, insieme agli organi inquirenti, questa battaglia difficile e pericolosa, e considera il sequestro solo un primo passo,a cui devono seguirne altri, più decisi.

La preoccupazione del primo cittadino di Furnari è che venga messo in secondo piano proprio quel patto scellerato tra amministrazione e mafia che, negli anni scorsi, è stato tollerato a tutti i livelli. Un patto accordo che, finalmente, ha richiamato di recente l’attenzione della Commissione Antimafia, ma che negli anni ha lasciato i sindaci in balìa di loro stessi e le procure a lavorare da sole, tanto che non c’è nessun nesso di causa ed effetto, è doveroso sottolinearlo, tra il sequestro e i “diktat” della commissione: le richieste di sequestro sono state infatti formulate dalla procura il 10 ottobre.

Tra gli indagati per “l’abbancamento dei rifiuti in discarica”, di questa ulima inchiesa, invece, ci sono tre persone che in periodi diversi sono state a i vertici di TirrenoAmbiente S.p.A.: Antonello Crisafulli, Giuseppe Antonioli, e Giuseppino Innocenti. A proposito di quest’ultimo, il sindaco Foti ha tuonato facendo notare che è lo stesso che discuteva di “affari” insieme a Bisognano e Giambò e forse proprio per questo, in fondo, le vicende si intersecano, almeno sul piano della cronaca giornalistica. Il resto potrebbe diventerà un nuova puntata della storia di Cosa nostra barcellonese, ma è necessario riflettere anche su quegli uomini, tanto per tornare alla battute iniziali, che tra poco tempo mancheranno dalla Procura di Barcellona Pozzo di Gotto: l’ex “provincia babba”, impegnata a guadagnare nel business dei rifiuti. Presto, molto presto però a Barcellona a contrastare la mafia e i suoi affari non rimarrà quasi nessuno in Procura, in un territorio che veniva definito “provincia babba” e  che oggi farebbe impallidire perfino Tommaso Buscetta.

Claudia Benassai