C’era anche lui nella spedizione Spirit of Mawson, sulla nave Shokalskiy, rimasta incagliata sotto Natale tra i ghiacci dell’Antartide.
Parlo di Umberto Binetti, nato nel 1987 in Puglia, da poco più di un anno residente a Norwich, in Inghilterra, che si è ritrovato nell’équipe della missione in Antartide.
Una laurea alla Statale di Pisa con una triennale in “Ecologia e Biodiversità” e una specialistica in “Biologia Marina”, durante la quale ha trascorso un anno in Danimarca con il progetto Erasmus e quattro mesi in Belgio con l’Erasmus Placement. Ora Umberto sta svolgendo il dottorato di ricerca all’ Università della East Anglia.
“Sognavo – afferma – di fare lo scienziato fin da piccolo”.
Di cosa ti occupi di preciso?
Cerco di studiare il mare da più punti di vista. In questo momento il mio dottorato si focalizza sull’analisi della concentrazione di ossigeno nel Nord Atlantico, un progetto possibile grazie allo sviluppo di alcuni robot, chiamati Seaglider. Questi registrano in modo autonomo un gran numero di dati, che poi noi analizziamo a terra. Un esempio – come ama dire la mia professoressa – di passaggio alla oceanografia ad alta risoluzione. E questo per la capacità che questi strumenti hanno di registrare dati con una frequenza molto alta.
Come ti sei ritrovato a far parte della spedizione in Antartide?
Una collega nel mio ufficio aveva provato a partecipare alla Spirit of Mawson e ce ne ha parlato. La cosa mi incuriosiva e mi sono informato su Internet. Ho trovato il progetto molto interessante, dal momento che univa esplorazione, scienza e comunicazione. Ho deciso di partecipare alla selezione e, inaspettatamente, sono stato preso. La mia collega, purtroppo, no!
Come è avvenuta la selezione?
I dottorandi sono stati scelti attraverso youtube. Siamo stati invitati a mandare un video di due minuti con le nostre motivazioni per partecipare alla spedizione e il nostro background. Niente curriculum. La spedizione dava grande importanza alla comunicazione e quindi hanno scelto in base a quello che riuscivi a comunicare in due minuti. Alla fine quattro dottorandi sono stati scelti in questo modo e altri si sono aggiunti dall’Università del New South Wales di Sidney, che organizzava la spedizione. In più c’erano scienziati, turisti e giornalisti. Un gruppo molto eterogeneo.
Quali gli obiettivi e la durata della spedizione?
La spedizione era celebrativa, commemorando i 100 anni dalla prima spedizione australiana verso l’Antartide, guidata da Sir Douglas Mawson. L’idea era di fare lo stesso percorso e raccogliere dati lungo il viaggio, cercando di capire come l’ambiente e la scienza siano cambiati in un secolo. Inoltre, c’era un focus sulla comunicazione della scienza, con blog, video e foto per documentare l’intera spedizione e far conoscere al mondo l’attività di un bravo scienziato.
Cosa hai provato quando sei salito sulla nave?
C’era un’eccitazione generale in tutto il team. Per alcuni era la prima crociera oceanografica, per me era la prima volta al di sotto dell’equatore e in un nuovo Oceano: il Pacifico al confine con l’Oceano Antartico. La curiosità era altissima. E poi eravamo tutti impazienti di andare su queste Isole Subantartiche Neozelandesi, che ci avevano descritto come paradisi naturalistici. La sorpresa è stata grande.
Quanto tempo ci sei stato?
La prima parte della spedizione è iniziata il 27 novembre e terminata il 7 dicembre scorsi.
Quanto sono stati “tosti” i primi momenti? Hai avuto paura?
All’inizio della spedizione è bene conoscere subito tutti i compagni di viaggio, bisogna prendere familiarità con la nave e non si sa a quali condizioni meteorologiche si va incontro. Inoltre questa missione prevedeva anche sbarchi sulle isole. Un’esperienza nuova per me. Il gruppo per fortuna è stato compatto fin dal primo momento. I capi spedizione sono stati molto chiari nelle loro indicazioni e il mare è stato decisamente molto più calmo di quanto ci aspettassimo. Si consideri che quelle latitudini vengono chiamate “I ruggenti 50” per le tempeste e il mare grosso, che spesso si registrano. Non ho avuto paura. Al contrario, ero molto curioso ed entusiasta.
Cosa hai portato con te sulla nave?
Vestiti impermeabili e sono serviti, poiché ha piovuto spesso e ci siamo ritrovati a strisciare nel fango tra i cespugli di queste isole. E la macchina fotografica, con cui ho scattato più di mille foto.
Ci sono state per te altre missioni “toste”?
Lo scorso gennaio ho partecipato a una missione nel Nord Atlantico per raccogliere alcuni dati. E il Nord Atlantico durante l’inverno non è un mare calmo. Era la prima volta. E’ stato molto faticoso abituarsi al movimento del mare e alla vita sulla nave.
Torniamo alla missione in Antartide. Perché hai lasciato prima la nave ?
La spedizione Spirit of Mawson era divisa in due parti e noi dottorandi eravamo tutti a bordo per la prima fase. Ho provato dispiacere per essere sceso prima e perché la nave è rimasta bloccata. Sono, comunque, molto soddisfatto della spedizione sia da un punto di vista personale che scientifico.
Hai sentito i tuoi colleghi di spedizione?
Le comunicazioni a bordo della Shokalskiy erano abbastanza difficili. I colleghi rimasti hanno aggiornato il canale youtube anche durante il periodo in cui erano bloccati tra i ghiacci. Il problema è che in entrata le comunicazioni erano molto ridotte. Ho, comunque, seguito tutta la vicenda quasi in diretta, dato che, come ho detto, erano molto attivi nel pubblicare tutto ciò che succedeva a bordo.
Pensi di partecipare ad altre missioni?
Il mio dottorato mi dà l’opportunità di partecipare a diverse spedizioni. Spero di poterlo fare al più presto, per esempio, con il BAS, il servizio di esplorazioni Antartide britannico.
Cosa fai quando non sei in missione?
Sono nel mio ufficio ad analizzare dati, preparare grafici e cercare di raccogliere informazioni sufficienti per scrivere un articolo. Nel mio primo anno ho avuto tre crociere, compresa Spirit of Mawson, ma negli anni futuri la frequenza dovrebbe, purtroppo, scendere, dal momento che ho raccolto già tutti i miei dati.
I tuoi progetti?
Intanto finire il dottorato e continuare a viaggiare, magari facendo scienza, quanto più possibile. Mi piacerebbe lavorare nel campo della divulgazione scientifica.
Ti senti un tipo tosto?
Non direi. Faccio semplicemente il mio lavoro! Mi ritengo, piuttosto, un tipo fortunato, poiché ho opportunità che molti non hanno. Certo, faccio sacrifici. Non è stato facile lasciare Putignano, nel Barese, dove ho vissuto per tanti anni e Pisa. Pesante è vedere i miei amici e la mia famiglia solo qualche giorno l’anno o via facebook. Tosto è dover mangiare inglese.
Cosa consigli a chi voglia fare il tuo lavoro e sta leggendo la tua storia?
La scienza è un lavoro particolare. Ci vogliono pazienza, costante curiosità e voglia di mettersi alla prova. Il consiglio è di non fermarsi: espatriare se serve, cercare di fare tante esperienze, mettersi sempre in gioco, perché questo apre la mente e aiuta a vedere il mondo da nuovi e diversi punti di vista.
Cinzia Ficco Autrice di http://tipitosti.it/