La legalita’ si fa teatro

Un teatro che si fa strumento, mezzo e sentiero per condurre verso una consapevolezza sempre più aleatoria. Una voglia che spinge a rispettare il vero senso del teatro: comunicare e smuovere. Il tutto da un palcoscenico che spesso ‘esce fuori’ dalla struttura fisica che lo ospita per irrompere all’esterno, ovunque possano esserci occhi pronti ad osservare e orecchie desiderose di comprendere.

Questo, e molto altro, è il ‘Teatro della Legalità’. Laboratorio nato dall’iniziativa del pluripremiato drammaturgo, attore e regista Nicola Costa, ad oggi Direttore Artistico dell’ Accademia d’Arte Drammatica ‘Giovanni Grasso’ [Catania, ndr] . Catanese da sempre attivo nel mondo della drammaturgia, interpretata e vissuta non solo come passione viscerale, ma come strumento per comunicare e diffondere una consapevolezza che mira all’azione. Con la viva fiducia nella forza dirompente della comunicazione teatrale, l’attività di Nicola Costa si divincola in svariate iniziative che spaziano tra il teatro classico, moderno e una drammaturgia il cui focus punta sul sociale, soprattutto sulla diffusione del concetto dell’antimafia e della Legalità. Una Legalità che non si ferma all’effimera definizione iperinflazionata e poco produttiva. Al contrario, è una Legalità che sfonda le quinte, scavalca il proscenio per invadere le scuole, le carceri, le piazze e le case, con l’unico semplice scopo di diffondere l’idea che il contributo del singolo è il primo passo da compiere verso un obiettivo ben più grande, ma raggiungibile.

Un progetto che nasce nove anni fa, come afferma il drammaturgo: “conduco questo progetto da nove anni in Sicilia, soprattutto con spettacoli di una drammaturgia il cui focus è orientato all’antimafia. Questi spettacoli sono stati raccolti in un contenitore, un involucro che fu mandato all’allora garante dei diritti del detenuto e cominciò a circolare all’interno delle carceri di massima sicurezza. Da allora negli ultimi nove anni abbiamo affrontato una serie di tappe che hanno abbracciato le scuole, in particolare quelle in cui insiste il problema della dispersione scolastica”. Nove anni di teatro, quello vero, quello della comunicazione che a volte sconvolge, a volte fa male, ma lascia sempre un segno. E un segno l’ha lasciato, e continua a farlo, tanto da garantire a Costa l’assegnazione nel 2012 di un riconoscimento a livello nazionale, che si vuole credere non si fermi a una targa, ma spinga a continuare: “sono stato invitato a Montecitorio, dove ho avuto modo di parlare alla Camera dei Deputati in occasione di una celebrazione in cui sono stato insignito del titolo di socio onorario del Parlamento della Legalità. Probabilmente le parole uscite dalla mia bocca in quella sede non sono state molto gradite, motivo per cui quello fu il mio unico passaggio a Montecitorio”.

Un ‘passaggio’, appunto. Quello che per molti potrebbe essere considerato un traguardo, per Nicola è solo una delle tante tappe che il suo teatro ha raggiunto, senza mai fermarsi: “continuo a fare l’artista, e come attore e regista in giro per l’Italia ho presentato un po’ di tutto in merito a nuova drammaturgia. Dal 2009 dirigo a Catania l’Accademia di Arte Drammatica ‘Giovanni Grasso’ che quest’anno si fonde con il Centro Studi del ‘Teatro della Legalità’. Un lavoro con un focus incentrato sulle tematiche a carattere sociale”. Un’attività che rispetta la ‘condicio sine qua non’ del teatro: il contatto diretto, l’impatto, un teatro che esce dal teatro per toccare lo spettatore. Come un personaggio di eco pirandelliana, il teatro di Costa si muove e invade altri spazi, con lo scopo di toccare le coscienze: “ in questo momento portiamo avanti anche un progetto che si chiama ‘Teatro in casa’. Un progetto che mira a far uscire il Teatro dal teatro, inteso come struttura architettonicamente preposta, e di andare a colonizzare territori ove ci sia accoglienza e disponibilità secondo un criterio basilare per il teatro.  Su questa logica stiamo organizzando una serie di incontri che vedono la collaborazione di enti nazionali e internazionali: Amnesty International, insegnanti impegnati in attività parascolastiche, avvocati, poliziotti, gli addetti ai lavori dei teatri e quant’altro. Questo progetto credo sia il contributo minimo e indispensabile che debba essere restituito a questo territorio. E’ un impegno che seguo da nove anni parallelamente alla mia attività di professionista. Al momento sono impegnato in un lavoro su Pasolini, sulla sua figura. In particolar modo non sul noto e stranoto profilo dell’intellettuale estremista e rivoluzionario, un’icona comoda o scomoda, dipende dai punti di vista, ma assolutamente nota. Ciò su cui si concentra il mio lavoro è un aspetto un po’ meno noto. Lo spettacolo si chiama ‘Solo l’amore conta’. Ricostruisce in qualche modo una figura attraverso tutta una serie di interviste e dichiarazioni che ho avuto modo di leggere e di conoscere. Ho quindi riletto l’opera Pasoliniana con questa chiave”.

Un’attività che continua, quindi. Come due binari paralleli che devono la propria esistenza a quella dell’altro, il teatro della Legalità corre equidistante da una professione che continua a divenire. Come per ogni cosa che esiste in funzione del proprio contrario, la Legalità di Nicola ha dovuto e deve fare i conti con il suo opposto, un’illegalità infiltrata, nascosta, e per questo incredibilmente pericolosa. Il tutto in una Catania che recentemente sta vivendo un fermento eccezionale. Dalla regista Maria Arena che riscopre il quartiere di San Berillo portandolo a Venezia, a Giovanni Virgilio che racconta in un film meraviglioso il dramma degli stupri etnici. Una Catania che riscopre la sua vocazione culturale, un riscatto dall’immagine di quella Catania ‘bene’ fatta di mafiosi che ha imperato negli ultimi decenni. Ma che continua ad imperare nella nebbia. Come conferma Nicola Costa: “Io stesso ho avuto delle pressioni per questo mio ostentare il dare un contributo in tal senso. E queste pressioni non sono venute solo da quella mafia spicciola di cui si parla. Sono state sostanzialmente pressioni politiche. Proprio perché c’è un’infiltrazione che va ben oltre quello che è il percepito o l’immaginato collettivo. Il discorso basilare è che sia necessario dare un proprio contributo a proposito del tentativo di riscattare l’immagine di una società piegata e apparentemente indifendibile che è quella di Catania. Il tentativo di provarci è il minimo che si possa fare e questo non vale solo per chi, come me, fa un certo tipo di lavoro. Vale per tutto quel sottobosco di persone veramente interessate a dare un contributo. Che possono essere i giornalisti vincolati da logiche di un certo tipo, o semplicemente le persone di buon senso. Ma non è un momento semplice. – continua Costa – Non credo che la popolazione si stia rendendo conto che, ora più che mai, una mafia importante sta detenendo il potere. Purtroppo per più di un motivo. In primo luogo per una questione culturale. Siamo un Paese abituato a piangersi addosso. Quando si è a un tale livello intellettuale si preferisce strumentalizzare a vicenda il criterio del favoritismo. Il meccanismo dell’ ‘amico dell’amico’ regna imperante sulla nostra terra. Da questa condizione credo che non ci svincoleremo mai”. Un’affermazione gattopardiana, ma senz’altro realistica. Viene da chiedersi a questo punto che senso abbia un teatro della Legalità, se si pensa di partire già sconfitti. Ma Nicola non è sconfitto, tutt’altro: “Io non penso di partire sconfitto. Penso solo che sia necessario stare con i piedi ben piantati a terra, perché consegnare queste parole all’utopia della rinascita concreta è, appunto, credere in un’utopia. Io penso che proprio per quelle persone che hanno dato il proprio esempio e il proprio contributo, a prescindere dal fatto che abbiano finito i propri giorni nel tritolo, sia necessario fare in modo che non vengano considerate un passaggio vano e sprecato. Il teatro in questo caso è uno strumento, non il fine. Uno strumento con cui tentare di concedere, di dare un attimo di risonanza. Nelle scuole conoscono Falcone e Borsellino perché sono talmente inflazionati che nell’immaginario collettivo sono ovviamente noti, ma se si citano nomi meno conosciuti si incontrano solo interrogativi. I ragazzi non hanno idea di quale sia la strada da percorrere per dare un vero contributo. C’è un vero disinteresse, o forse un interesse politico a voler mantenere le cose in un certo modo”.

Ma ciò che spinge a continuare è la consapevolezza di agire lasciando un segno. Come capita a quanti partecipino ai laboratori del ‘Teatro della Legalità’:  “Il work in progress che si fa all’interno di una scuola di recitazione tocca troppe variabili ed è esposto a mille coinvolgimenti su un piano emotivo, emozionale, immaginifico, relazionale e quant’altro. Per ciò che riguarda la mia esperienza – continua Costa – tranne che per motivi terzi, chi inizia questo percorso rimane bloccato all’interno del teatro, incatenato in un certo senso”. Ed è proprio questo che genera la spinta all’azione, che obbliga a continuare, senza rimpianti: “Personalmente, non ho nessun rimpianto. Come artista ho avuto il privilegio di essere nato in una città che mi ha dato stimoli. Vivere in una città che non ti offre molto, ti costringe a tirar fuori delle virtù da mettere al servizio delle risorse. Delle tue e di quelle degli altri. Ho fatto tutto quello che nella mia vita mi interessava fare, con fatica ovviamente”.

 Come non annuire malinconicamente quando, guardandosi attorno con uno sguardo indagatore, si riscopre una società che si fregia del vessillo dell’antimafia solo in occasione di ricorrenze o anniversari? Una società che si dichiara ‘antimafia’ e pronta all’azione solo di fronte a speciali di trasmissioni o telegiornali che, una volta conclusosi il periodo degli anniversari delle stragi più famose, tornano a discutere di reality show e spicciolo gossip. Una Nazione che condanna l’assenza di meritocrazia, e poi privatamente sposa le meccaniche che pubblicamente condanna. Un processo complesso e semplice al tempo stesso che ha radici in un sistema marcio dall’interno. Conoscere personalità come Nicola Costa e comprendere che non sono sole, ma circondate dall’altrui entusiasmo, fa però intravedere la possibilità che l’utopia possa forse tramutarsi in realtà. Che, come esiste il marcio, esiste anche il sano.

Gaia Stella Trischitta