“La mafia ci minaccia una volta al giorno. Erano anni bui quelli di Palermo e noi giornalisti de l’Ora abbiamo portato avanti una grande battaglia. Mi ricordo che un giorno le forze dell’ordine vennero a dirmi che dovevo lasciare Palermo perché ero in pericolo”.
L’intervista a Bruno Carbone, giornalista di punta del giornale palermitano comincia raccontando cosa significasse fare informazione servendo il principio della libertà senza accomodamenti e edulcorazioni. Ci parla col sorriso complice dei reduci, quelli che sono sopravvissuti agli attentati dinamitardi, alle minacce, all’isolamento e hanno visto scomparire uno dei più grandi giornalisti italiani Mauro De Mauro, suo più caro, amico scomparso il 16 settembre del 1970: “Mauro ero un grande. Sono stato io a volerlo al giornale. Aveva una gran testa e riusciva a scavare in profondità. Io sono sicuro, ancora oggi, a distanza di tanti anni che aveva scoperto cose talmente pericolose che avrebbero potuto creare dei terremoto nell’establishment , anzi ritengo che la pista più credibile è quella del golpe borghese. Io mi fidavo di lui ma purtroppo non ha fatto in tempo a rivelarmi quelle che aveva scoperto”. Mentre racconta questi episodi Bruno Carbone prende molte pause. Tiene lo sguardo fisso sul televisore acceso su un programma di informazione.
Le notizia sulla Siria gli dà la corda per parlare del ruolo dell’informazione oggi: ”Non c’è più lo spirito di una volta. Mi ricordo che quando veniva ucciso un macellaio io balzavo dalla sedia e davo subito delle dritte Bisognava sapere subito chi fosse e a che famiglia appartenesse. Facevo insomma un’inchiesta su ogni caso ora invece questo tipo di lavoro non si fa più si è persa l’essenza del giornalismo. Ora infatti non guardo più la televisione, preferisco leggere un buon libro. A casa Carbone tutto rimanda alla cultura. E’ un gioco di sottile corrispondenze, dove ogni oggetto è la metafora di un altro mondo: la prima copia del giornale palermitano incorniciata, le vecchie foto, i quadri e gli oggetti apparentemente banali come la sedia di Michelangelo Antonioni, il maestro che ha impresso su celluloide capolavori della cinematografia mondiale: “L’ultima volta che Michelangelo è venuto qui nel 2000 stava veramente male. Non parlava quasi più e si muoveva in carrozzina. Amava però la Sicilia, del resto proprio per questo aveva scelto il paesaggio siciliano come location per il suo film L’Avventura”.
Le Eolie però sono un chiodo fisso punto fisso anche per il nostro intervistato che ad un certo punto si è abbandonato ad un amarcord: “A Lipari è mancato un giornalismo di approfondimento. Per un tempo mi avevano affidato la direzione di Teleisole. Facevamo davvero cose da pazzi. Ho fatto saltare il sindaco di allora e ho portato alla luce della ribalta realtà che nessuno raccontava.
Non avevo più niente da fare e mi divertivo. Ho trasferito le conoscenze del giornale al settore televisivo, anche quando mi sono occupato di Mediterraneo, ero il deus ex machina di tutte le inchieste. Se penso al giornalismo di ora mi viene una rabbia immensa. Non c’è più approfondimento. Pensa che quando ero a Roma ero talmente disgustato che avevo pure pensato di fondare un nuovo giornale. Si doveva chiamare L’Ora del riscatto. Allora ho radunato un po’ di ragazzi. Era tutto pronto grafica, editore. Doveva essere il giornale dei quartieri, delle alterità che non vengono raccontate poi ho gettato la spugna”. Ha un senso di amarezza Bruno Carbone quando riflette sulla situazione odierna e su cosa significa la mafia oggi: “La lotta alla mafia è finta. In questi venti anni ha avuto la possibilità di espandersi a macchia d’olio. La criminalità ha esteso i suoi tentacoli anche a Milano, Torino e Roma. Nella capitale si sono presi pure il cafè de Paris, uno dei posti più rinomati”.
Il dialogo si chiude nella veranda di casa, luogo dove i più famosi antifascisti come i fratelli Rosselli si riunivano, per cercare calore umano, negli anni in cui il fascismo recideva il pensiero libero e confinava i dissidenti.
Bruno Carbone classe 1936 è cresciuto con lo spirito del dissidente per questo non si rassegna allo status quo ma invoca una nuova liberazione come quella che ha visto protagonisti i fratelli antifascisti: “I Rosselli erano stati confinati al castello, ma un giorno sono riusciti a scappare. Si sono calati dalla torretta e qualcuno li ha salvati dal mare.
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