La mietitura del pool, ci lascia D’Ambrosio

“Tra il ’92 e il ’94 siamo stati ingenui: pensavamo che ottenere 1.408 condanne definitive per tangenti bastasse a dare un colpo decisivo alla corruzione. Invece quando abbiamo toccato interessi più forti, ci hanno cambiato le leggi.  Contro questa criminalità superiore, in ogni periodo storico, ci vogliono magistrati eccezionalmente capaci, autorevoli e preparati. E anche più coraggiosi”. Così parlava Gerardo D’Ambrosio, lo storico pm milanese distintosi per la sua estrema battaglia alla corruzione nella trincea di Mani pulite pur non cedendo mai allo stile del magistrato. 

Casertano di origine, approda presto a Milano. Il suo nome non è solo legato al malaffare dei partiti ma la sua vita permea  la storia del Palazzo di giustizia di Milano. Egli era, infatti, un maestro non solo del diritto ma anche dell’equilibrio. Qualità umane e professionali che proprio dalla Procura meneghina stanno già rimpiangendo, anche alla luce delle recenti polemiche interne sulle inchieste e le relative attribuzioni. “I magistrati della Procura della Repubblica di Milano – è scritto in una nota firmata dal Procuratore Edmondo Bruti Liberati – si uniscono al dolore dei familiari per la scomparsa di Gerardo D’Ambrosio già Procuratore della Repubblica di Milano e ne ricordano con immenso rimpianto le straordinarie qualità professionali e umane”. 

Con la scomparsa di D’Ambrosio esce di scena quello che fu il punto di riferimento del pool giudiziario protagonista delle inchieste sulla politica italiana degli anni Novanta. Fra i primi a commentare la perdita Gherardo Colombo che insieme ad Antonio Di Piero, Piercamillo Davigo e gli altri pm guidarono le indagini che smantellarono la Prima Repubblica: “E’ una cosa che mi scombussola e mi sconvolge: ero un magistrato giovanissimo quando l’ho incontrato, è stata una persona da cui ho imparato veramente tanto”.”Lo conoscevo – ricorda Colombo, ai microfoni di Rainews24 – dal 1978, eravamo nello stesso ufficio in procura a Milano. Ma l’avevo conosciuto, non di persona, prima, come tanti, quando investigava sulla strage di piazza Fontana e poi ci siamo ritrovati nel pool di Mani pulite. Gerardo era un bravissimo investigatore. Applicavamo la legge, la Costituzione, per far sì che la frase ‘tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge’, invece che una speranza, diventasse realtà”.

A fargli da eco l’ex procuratore della Repubblica Giancarlo Caselli che del collega D’Ambrosio ricorda anche il suo essere stato magistrato esposto ad attacchi costanti. “La storia di Gerardo D’Ambrosio è una delle tante che dimostrano come il magistrato che fa il suo dovere in modo indipendente sia esposto ad attacchi interessati e ingiustificati”. “Eravamo amici fraterni – aggiunge – e siamo sempre stati vicini, in particolare quando lui a Milano con il suo pool si occupava della corruzione di Tangentopoli e noi a Palermo, con il nostro gruppo di lavoro, di materie di mafia e oltre, che avevano dei punti di contatto. Ci scambiavamo dati e opinioni”. “Fu accusato – continua Caselli – di essere stato fascista ai tempi del caso Pinelli, poi fu accusato di essere stato comunista in occasione delle inchieste su Freda e Ventura. Di comunismo fu accusato anche per Tangentopoli, quando passò la prima fase in cui l’inchiesta aveva l’appoggio da parte di forze politiche che pensavano di trarne vantaggio”.

Bancarotta del Banco Ambrosiano e il caso Calvi e prima ancora il processo sulla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, conclusosi con l’assoluzione del Commissario Luigi Calabresi. D’Ambrosio nel suo servizio alla giustizia ha scritto molte pagine del nostro paese, non ultime quelle in Parlamento. Eletto tra le fila dei Democratici di Sinistra nel 2006 e successivamente confermato senatore dal Partito Democratico cerca di tradurre l’impegno con il quale nel dicembre 2002 si era congedato dalla magistratura. “Non è che lasci la magistratura. Mi occuperò ancora dei problemi della magistratura. E combatterò ancora perché siano risolti i problemi della giustizia”. La sua lunga carriera e le inchieste patrocinate gli costarono anche forti affondi in aula. Ritornano le parole che gli furono urlate nel 2007 dalla senatrice Cinzia Bonifacio (all’epoca di Tangentopoli accusata di corruzione e associazione a delinquere) gli diede dell’”assassino e criminale” articolando un pensiero sull’induzione al suicidio operata da lui e gli altri pm. “Non è forse vero che quelli del pool Mani Pulite hanno ucciso o, meglio, costretto al suicidio molti imputati?”. Tra le iniziative parlamentari che portò avanti, quella dell’indulto rappresentò per lui uno spartiacque con quest’altra parentesi di vita pubblica. L’approvazione dell’indulto nel luglio 2006, con i voti anche della sua compagine partitica gli procurarono il rammarico per aver scelto la politica. Le sue previsioni furono presto confermate due anni dopo quando fece sapere: “Lo avevo detto io che dalle carceri ne sarebbero usciti 25 mila, una notte intera a scaricare i dati da Internet e poi arriva Mastella e dice che no, tranquilli, ne usciranno solo 12 mila. Chi aveva ragione? Io, purtroppo”.

La sua battaglia si infrange alla soglia dei suoi 84 anni nel Policlinico di Milano. E con lui va via anche un altro simbolo di una lotta senza quartieri alla corruzione in politica.  

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