Mi hanno sempre lasciata interdetta le notizie di cronaca riguardanti i suicidi
Il suicidio è fenomeno ubiquitario, cioè presente in ogni area geografica, è trasversale socio-demograficamente, cioè può colpire in ogni luogo e strato sociale, è presente nella nosografia, in patologie o complessi sindromici.
Ma cosa induce un uomo a suicidarsi ?
Una risposta univoca non esiste, possiamo solo immaginare i sentimenti e stati d’animo che attraversano la mente di un suicida , ben descritti in un brano tratto da Al limite della disperazione (1934) di Emil Cioran, scrittore saggista e filosofo romeno :
avete mai provato la bestiale e stupefacente soddisfazione di guardarvi in uno specchio dopo innumerevoli notti bianche? Avete mai subito la tortura dell’insonnia, quando si avverte ogni istante della notte, quando esistete solo voi al mondo, e il vostro dramma diventa più importante della storia oramai svuotata di senso, e che neppure più esiste, giacchè sentite levarvi in voi le fiamme più spaventose, e la vostra esistenza vi appare come unica e sola in un mondo nato soltanto per portare a termine la vostra agonia – avete conosciuto questi innumerevoli momenti, infiniti come la sofferenza, per vedere poi riflessa, quando vi guardate, l’immagine del grottesco?
Quello che vi propongo di fare è un breve viaggio attraverso le emozioni e i sentimenti che probabilmente provano le persone che decidono di metter fine alla propria vita .
Riflettere e provate ad immedesimarvi.
Siamo nel mondo della non-vita , dei vivi che hanno smesso di vivere . Sono solo in attesa di riuscire a liberarsi “lucidamente” della propria vita. In loro la vita ha raggiunto un tale squilibrio, che nessun argomento d’ordine razionale potrebbe più indebolirlo.
Ritengo che l’uomo faccia questo tipo di scelta per non incorrere nella paura più grande che lo affligge… che non è quella di morire, ma quella di soffrire.
Verosimilmente è presente nella mente di queste persone un tale tormento, un tale supplizio e un crollo delle barriere interiori così violento, che della vita resta solo una vertigine rovinosa che induce ad attuare un gesto che diremmo “folle”.
“Dio non ha forse punito l’uomo privandolo del sonno e dandogli la conoscenza? La pena più dura di certe carceri non consiste nell’impedire di dormire? I pazzi soffrono spesso di insonnia; così si spiegano le loro tremende depressioni, il loro disgusto della vita e la tendenza al suicidio. Quando non si può chiudere occhio è impossibile amare la vita. E questa sensazione- che nasce in certi momenti di veglia irriducibile- di sprofondare, di inabissarsi come un palombaro del nulla, non denota una forma di follia? Chi si toglie la vita, gettandosi in acqua o nel vuoto, è sicuramente spinto da un impulso cieco, irresistibilmente attratto dagli abissi”.
Si tratta di esistenze fatte di dolore e di desiderio, in cui si agitano grandi passioni che a volte inducono in metamorfosi, in inversioni di marcia, dalla lotta alla sopravvivenza alla ricerca della morte.
Per ricorrere ad una soluzione così estrema, esistono motivi forti, che stravolgono l’esistenza, tanto da decidere di metterne fine. Non ci si suicida per ragioni esterne, ma per uno squilibrio interno, organico. Le medesime avversità a cui una persona può andare incontro nella vita, lasciano certuni indifferenti, segnano altri, e altri ancora portano al suicidio.
Se la gente si uccidesse soltanto perché stanca della vita o lo facesse per ottenere simpatia e considerazione, il problema non sarebbe più perché ci sono tanti atti suicidiari, ma perché ce ne sono così pochi.
L’E.U.R.E.S ci mette a conoscenza dell’andamento dei suicidi in tempo di crisi, parla dell’ultimo grido dei senza voce , denuncia un suicidio al giorno tra i disoccupati e record di casi di suicidio per motivi economici: sono stati 357 i suicidi compiuti da disoccupati nel 2009, con una crescita del 37,3% rispetto ai 260 casi del 2008. Il lavoro costituisce il discrimine nella lettura di questo fenomeno, visto il rapporto di interdipendenza che lega la crisi economico-occupazionale e l’aumento dei suicidi.
Il viaggio di colui che si suicida inizia con naufragio esistenziale. La mente in preda ad una tempesta, si lascia affondare con la propria scatola nera della verità, lasciando ai vivi il compito di costruire un’altra verità o una verità parziale, mediante l’autopsia psicologica e una perizia post-mortem. Questi atti tenteranno “in scienza e coscienza” di ricostruire lo stato mentale della vittima prima del decesso, e capire in che misura specifiche condizioni possono aver svolto un ruolo nella genesi della morte da suicidio.
Inizia così la ricostruzione di una storia di vita della quale l’autore (il perito che la scrive) conosce solo il finale tragico ed altri pochi indizi, con tutti i limiti che ciò comporta, ricostruirà una verità basata su categorie prestabilite ed altamente discutibili.
Per concludere, non ci resta che dire che il fenomeno del suicidio ci induce a pensare che ci sono nella vita mali più grandi della morte. Bisogna rispettare chi vi ricorre, perché se non esistono buoni motivi per morire, in certi momenti ne esistono tanti per considerare la vita un’inutile sofferenza” .