La tragedia e’ la difficolta’ di spiegare

“La sola divulgazione di per sé

non è forse sufficiente, ma è

l’unico mezzo senza il quale

falliscono tutti gli altri”

 

 

Si chiama “Catania Bene- Storia di un modello mafioso che è diventato dominante”, il nuovo Saggio di Sebastiano Ardita, il Procuratore della Repubblica aggiunto di Messina.

Edito da Mandatori, uscito nelle librerie giorno 8 settembre è disponibile anche in versione E-book.

Nella terza di copertina è lo stesso autore che spiega: “Si potrebbe chiamare «Cosa nostra 2.0». Come un fuoco che cova sotto la cenere, sta divorando la legalità nel Paese. Agisce sottotraccia, s’insinua e si mimetizza nell’economia e nella politica, vuole far dimenticare gli anni delle stragi, anzi la sua stessa esistenza. Adotta la strategia dell’«inabissamento» e delle collusioni”.

La tesi del Procuratore, come un guanto, trova nella storia mafiosa di Catania degli anni 70/80, dove ha operato come magistrato inquirente, l’inizio di questa nuova strategia mafiosa che alle pistole preferisce gli affari, che alle guerre sanguinarie per l’egemonia del territorio preferisce trovare il sistema per reinvestire e pulire il denaro sporco. “Quell’ingente, enorme e immenso patrimonio sommerso frutto di anni e anni di reati mafiosi, che è difficile scoprire, sia perché gli strumenti più penetranti sul piano normativo sono stati approvati solo recentemente e sia perché la velocità con cui si eseguono le transazioni non consente di fatto allo Stato di stare dietro a queste attività. E’ dunque verosimile che dietro a queste ricchezze vi siano dei soggetti mafiosi”. Ha dichiarato Ardita in un’intervista al TG regionale della Sicilia.

Nella storia la tesi del Procuratore si incarna nella figura di Nitto Santapaola, il boss catanese. “È in questa realtà che Nitto Santapaola, vincitore della guerra interna alla mafia catanese combattuta tra il 1978 e il 1982, elabora la sua linea operativa nei confronti delle istituzioni, diametralmente opposta a quella di Riina e Provenzano: «Mentre a Palermo i Corleonesi attaccavano lo Stato e ne stimolavano gli anticorpi, a Catania si costruivano relazioni occulte». Un’organizzazione, quella di Santapaola, capace di infiltrarsi nei centri nevralgici del potere della «Catania bene» e di assumere un profilo imprenditoriale e rassicurante, ma spietata con chi si frapponeva al suo cammino, come il coraggioso giornalista Pippo Fava, l’ispettore Giovanni Lizzio, lo stesso prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa, che aveva capito quali interessi si muovevano alle pendici dell’Etna”.

È esistita ed esiste una mafia che ha anticipato di vent’anni la strategia dell’inabissamento: mentre a Palermo si attaccava lo Stato, a Catania essa è stata capace di identificarvisi fino a far negare la propria esistenza. E riusciva a crescere, irrobustirsi e penetrare nelle istituzioni e nel mercato, pur rimanendo ortodossa e fedele alle regole dell’organizzazione, anzi rispettandole più di quanto non accadesse altrove

Oggi la tesi del Procuratore trova nelle inchieste a Messina la sua prova del nove. “Abbiamo fatto il concorso in magistratura nello stesso anno”. Sono queste le parole che hanno colpito di più quando Sebastiano Ardita, ha parlato in fiera alla cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria a Nino Di Matteo, il P.M. del processo Stato Mafia.

Contro due strategie mafiose differenti, due Magistrati simili. Due persone di Diritto e dentro il Diritto, le facce di una stessa medaglia, quella della legalità posta a difesa intransigente delle Stato e delle sue leggi Solo che uno combatte ancora contro la mafia stragista dei corleonesi e di Provenzano, l’altro combatte con la mafia dei colletti bianchi. L’uno opera nei processi contro Cosa Nostra a Palermo, l’altro contro Cosa Nostra 2.0. Quel sistema mafioso fatto d’interessi e collusioni con pezzi delle Istituzioni, quello che preferisce non sparare per le strade ma investire i proventi del reato nell’economia e nel tessuto urbano.

Uno sta facendo tremare lo Stato con il processo Trattativa e l’altro sta facendo tremare le istituzioni, indagando Senatori e colletti bianchi. Sia coordinando l’indagine della DIA di Messina che ha sgominato l’organizzazione criminale per il controllo degli appalti al Consorzio Autostrade Siciliane, sia le più importanti inchieste contro i reati nella P.A e sia la clamorosa inchiesta sulla Formazione deviata che ha portato in carcere il potentissimo deputato del Partito Democratico Francantonio Genovese e che vede indagati numerosi suoi familiari, compreso il cognato Francesco Rinaldi deputato questore dell’Assemblea Regionale Siciliana.

Non ci vuole molto a sommare due più due e pur non volendo mettere in bocca al Procuratore parole e dichiarazione mai dette, non si può negare che il sottotitolo del suo ultimo saggio-: storia di un modello mafioso che è diventato dominante” sembra proprio essere rivolto alla Messina dei nostri giorni.

P.G.