«Fare informazione antimafia significa stare attenti al territorio, e farlo a Messina significa stare molto attenti alle evoluzioni e alle dinamiche mafiose, criminali e anche economiche della mafia barcellonese, che indubbiamente nella provincia con tutte le sue propaggini è la consorteria mafiosa più pericolosa e non ha nulla da invidiare a altre consorterie mafiose».
Nuccio Anselmo ha alle spalle anni di conoscenza approfondita del territorio messinese, dove segue giorno dopo giorno gli sviluppi della criminalità organizzata. Ha visto il passaggio dalla “città babba” alle prime prese di coscienza del controllo attento delle cosche. Ci spiega le origini e l’evoluzione del clan più pericoloso della provincia, quello barcellonese.
«Nella provincia di Messina c’è stata una forte sottovalutazione del fenomeno mafioso a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 sia per insipienza di qualcuno, sia per collusioni. Questo ha provocato un inspessimento della cornice mafiosa e ha consentito al gruppo criminale dei barcellonesi di proliferare e di associarsi in maniera salda, forte e incontrovertibile con i gruppi mafiosi palermitani e catanesi. Non a caso nelle ultime operazioni di mafia, se si va a guardare il capo d’intestazione del reato, si parla di Cosa nostra barcellonese. Il territorio della provincia di Messina – aggiunge – è stato anche un territorio di interscambio, dove ci sono state delle forti cointeressenze e affari sporchi e sporchissimi tra la ‘Ndrangheta e Cosa nostra palermitana e catanese, sin dagli anni Settanta. Era poco “attenzionato” da parte dello Stato e delle forze di polizia, e venivano a svernare mafiosi eccellenti quando avevano problemi sul loro territorio, sia con i loro gruppi criminali, sia con le forze dell’ordine, e che venivano qui per radicare altri interessi».
Da cosa si evince il contatto tra la mafia messinese e la ‘ndrangheta calabrese?
C’è per esempio l’operazione “Witness” sulle figure di Michelangelo Alfano e di Santo Sfameni che è una prova di questi interessi all’ombra della mafia calabrese e siciliana. Il clan Costa, che è stato l’ultimo vero padrino della mafia messinese, aveva mutuato tutta l’organizzazione del suo gruppo criminale dalla ‘Ndrangheta calabrese. Occuparsi di antimafia a Messina significa guardare anche alla città e vedere come sin dagli anni Settanta, accanto a una organizzazione criminale di medio livello piano piano – proprio per la mancata attenzione delle forze dell’ordine e dello Stato – ha creato, dal clan Milone al clan Miloro, un inspessimento della criminalità organizzata.
Qualcosa sta cambiando nella lotta alla mafia nella “città babba” o tutto resta immutato?
Dopo le grandi operazioni degli ultimi due anni che hanno caratterizzato la gestione Lo Forte è venuto fuori tutto un tessuto che prima non si conosceva nella sua interezza, anche perché – a differenza del passato – la mafia barcellonese è stata scardinata dal suo interno. Il clan di Barcellona, insieme a quello di Giostra, non aveva conosciuto il fenomeno del pentitismo perché era un sistema molto radicato che non consentiva il pentimento. Il fatto nuovo per la mafia barcellonese è stata questa visione dall’interno, proprio come è stato a Palermo Buscetta per Cosa nostra.
Si sono celebrati grandi processi contro la mafia barcellonese anche prima dei recenti pentimenti, come “Mare nostrum”. Perché non sono riusciti a scardinare il clan?
Il maxi processo “Mare nostrum”, che è stata una delle grandi offensive alla mafia barcellonese, tirrenica e nebroidea, non ha svolto la funzione che ci si aspettava svolgesse. Il blitz risale al 1994 ed era fondato sul pentimento di alcuni soggetti, ma ha avuto una storia processuale talmente elefantiaca, controversa e lunga che non ha raggiunto i suoi scopi. Cioè, non ha inciso in maniera forte all’interno delle organizzazioni criminali, che si sono tranquillamente riorganizzate. Se si vanno a vedere i principali nomi degli attuali capi di Barcellona e della costa tirrenica si vedrà che all’interno del processo “Mare nostrum” hanno subito delle condanne minime o sono stati assolti per mancanza di prove certe e concrete perché allora non si era in grado di ricostruire tutto lo scenario mafioso barcellonese.
Come si può battere la mafia a Messina? E che contributo può dare il giornalismo?
Fare giornalismo antimafia significa occuparsi dei fatti in maniera forte, chiara, e soprattutto leggere le carte. L’altra cosa essenziale nella lotta alla mafia nella nostra provincia è l’aggressione ai patrimoni mafiosi, una grande intuizione di Pio La Torre poi diventata legge con a Rognoni-La Torre. Fino a un determinato periodo l’aggressione ai patrimoni mafiosi nella provincia di Messina non è stata fatta nel dovuto modo. Solo da alcuni anni – sempre con la gestione Lo Forte della nostra Procura – è diventata punto centrale della lotta alla mafia. E questa è la cosa fondamentale, perché se al mafioso togli picciotto gli interessa relativamente, ma se cominci a fare tabula rasa su tutto quanto ha accumulato sul sangue, sulla droga, sulle estorsioni e sull’usura, se cominci a togliergli in denaro dalle tasche , allora cominci davvero a debellare il fenomeno mafioso.