Le puttane di sinistra

A parte i capelli, il vestito,

la pelliccia e lo stivale

aveva dei problemi anche seri

e non ragionava male.

Non so se hai presente una puttana

ottimista e di sinistra…

                                                                             

10 Accietto Francesca

Ventisette donne, ventisette prostitute schedate dal regime nel Casellario Politico Centrale tra il 1927 e il 1942 per aver sfidato il fascismo. Si chiamano Francesca, Agnese, Emilia, Palmira, Filomena, Maria, Celestina, Giuseppa, Emilia, Francesca, Romana, Michelina, Giovannina, Francesca, Paolina, Grazia, Anunziata, Irma, Vittoria, Adele, Maria, Cecilia, Candida, Cunegonda, Teresa, Italia, Libera. I loro nomi non si trovano sui libri di storia, non sono eroine né coraggiose partigiane. Esprimono i loro sentimenti antifascisti con il loro corpo, a suon di pernacchie e scorregge o di sfottò irriverenti rivolti a Mussolini o al re. Le protagoniste del libro “Puttane antifasciste nelle carte di polizia” dello storico Matteo Dalena sono «donne eccentriche e scomode, astute e scandalose, mettono in discussione la nostra stessa definizione di oltraggio: vanno ‘oltre’ i limiti consentiti dalla morale comune, dal comportamento accettabile, degli spazi concessi e vietati. I confini ‘privati’ del bordello non le contengono: percorrono gli spazi pubblici, prendono parola e stravolgono i ruoli imposti», scrive Giovanna Vingelli nella prefazione al volume edito da Il Filorosso e in libreria dal 24 giugno.

Ne abbiamo parlato con l’autore, il giornalista e storico Matteo Dalena.

 

Come nasce l’idea di questa ricerca e di questo libro?

C’è sempre bisogno di «puttane» e, assieme a esse, di individui che con il loro stesso essere rappresentano una sfida o, se non altro, una messa in discussione del perbenismo imperante e del concetto di pubblica moralità. C’è bisogno, ad esempio nella mia città, Cosenza, oggi amministrata da una destra retriva che recentemente ha deciso di negare il patrocinio gratuito al Calabria Pride del prossimo 1 luglio sulla base di un concetto  di “tolleranza” vecchio come il cucco, che afferma pubblicamente di non condividere simili manifestazioni di «ostentazione della preferenza sessuale».

 In Puttane antifasciste parlo di meretrici e, insieme a loro, di omosessuali: individui che il regime fascista chiudeva nelle alcove del sesso tollerato, nelle carceri o nelle prigioni della mente, oppure mandava al confino – come scrive Alessandra Carelli nel breve saggio in chiusura del libro – in lande desolate, separandoli dalla società dei perfetti. Virilismo ossessivo, ripulsa nei confronti dell’esibizione della differenza, tendenza a tabuizzare argomenti ritenuti scomodi o impopolari, sono elementi che accomunando tempi passati e quotidiano, hanno fornito a questo libro l’innesco ideologico. Ho deciso, infatti, di partire da Santa Lucia, rione della parte bassa del centro storico di Cosenza che, sotto il giogo della «mala vita», per oltre un secolo ha soddisfatto i desideri carnali di autoctoni e forestieri. Proprio i ruderi di Santa Lucia, oggi ridotti a cumulo di marginalità, esclusione, degrado, totalmente dimenticati dalle ultime amministrazioni comunali, ho deciso di elevare a emblema di questo studio più ampio e articolato su genere, crimine e potere. 

Le protagoniste del tuo libro sono donne. Le grandi assenti nella narrazione storica o relegate, al massimo, ad un ruolo marginale e di contorno. C’è posto anche per le donne nella storia e nel racconto storiografico?

Poche le donne ai “piani alti”. Non mi affascinano dame, principesse, il loro essere “prime donne”, mogli, compagne, concubine di … uomini. Mi piace spingermi negli scantinati della storia, dentro a schifose bettole, nei sifilicomi, nelle camere di sicurezza delle questure di mezza Italia per assaporare la linfa della storia che scorre ai “piani bassi” o, seguendo Michel De Certeau, ai «margini delle grandi regioni sfruttate» come la stregoneria o la follia. Se si ha la pazienza di cercarle ma soprattutto raccontarle, eccole emergere a decine, centinaia, comunicare spontaneamente o sotto interrogatorio (come imputate o anche semplici testimoni) le proprie preferenze, simpatie, i palpiti del loro cuore. Le donne abitano quartieri malagevoli dominati dal vizio, 

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dalla malattia, eccole ancora praticare l’infanticidio a tutela e conservazione della propria onorabilità, bene supremo. In Puttane antifasciste praticano poi resistenze verbali e corporali  cimentandosi – come scrive nella prefazione la sociologa Giovanna Vingelli – in «linguaggi che non si affidano solo alle parole, ma ad altri sistemi di comunicazione: il corpo, il movimento, il gesto, il canto».

In questo caso poi, doppiamente marginali in quanto «Prima donne poi ‘puttane’ e, insieme o sovversive, al tempo periferia della periferia del genere umano», come spieghi tu stesso.

Si tratta innanzitutto di 27 donne (24 prostitute, 1 meretrice e 2 tenutarie di locali di meretricio) incappate negli articoli del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1926 poi modificato nel 1931 e in particolare del Titolo VII regolante il meretricio. Molte di esse, fermate per «misure di moralità», «adescamento al libertinaggio» e in più in generale prostituzione clandestina (esercitata cioè all’infuori dei regolati «locali di meretricio»), finiscono per aggravare la propria posizione. Al momento dell’arresto, infatti, scaricano addosso a militi e agenti di pubblica sicurezza tutto il loro dissenso per il provvedimento, pronunciando frasi oltraggiose nei confronti della massima autorità del fascismo, dei suoi militi o, in casi più rari, nei confronti di membri della famiglia reale. Già condannate in via amministrativa fino a 6 mesi di carcere, molte di esse a causa di una semplice frase vengono perseguite anche «in linea politica». Ammonizione e confino sono una costante nelle carte del Casellario Politico Centrale, dal 1894 schedario dei sovversivi e delle sovversive, particolarmente zelante in epoca fascista. Proprio dal “grande occhio” del CPC provengono le storie raccontate in Puttane antifasciste.

Donne che esprimono idee antifasciste e si fanno beffa del fascismo e dei suoi simboli. Sono spinte da una consapevolezza politica o da un senso di rivalsa per il ruolo di subalternità e inferiorità fortemente connotata di disprezzo misogino del fascismo?

C’è un po’ di tutto questo. Il fermo di polizia e il trasporto in questura vengono avvertiti da queste donne come ingiuste limitazioni della propria libertà di “esercizio” fuori dai bordelli e nelle modalità loro gradite. Lavoro col corpo che significa pane, minestra o la possibilità di accaparrarsi generi voluttuari di consumo. Sono il fermo e l’arresto a generare l’oltraggio: le prostitute sanno come e cosa colpire e, una volta deciso, colpiscono forte e senza paura i simboli del fascismo. Ma non solo: le prostitute discutono a voce alta oppure bisbigliano la propria avversione nei confronti delle misure autarchiche o, ad esempio, della Guerra di Spagna; al pari delle tenutarie che criticano Mussolini per l’eccessiva tassazione sui bordelli.  C’è un passo della storica Katia Massara che più di tutti si presta a descrivere il loro essere antifasciste: «Un antifascismo piuttosto silenzioso e strisciante, raramente organizzato, più legato allo spontaneismo, spesso interiorizzato più che espresso».

Quello che connota le protagoniste è senza dubbio una forte fisicità. Queste donne fanno uso del loro corpo, lo vendono e sono in un certo senso il loro corpo. Un corpo che spesso, visto anche il divieto e la rarità dell’uso di profilassi e preservativi, è anche malato e veicolo morbi oltre che di immoralità.

Il corpo malato delle prostitute contro quello splendente dello Stato. È questo il senso della parte centrale di Puttane antifasciste. Un corpo agito e parlato da clienti, collocatori, tenutari, giornalisti, militi, funzionari di polizia, un corpo medicalizzato in sifilicomi, manicomi e frenocomi, istituzioni atte cioè a contenerne le mostruosità. La sifilide è malattia sociale che, come scrive Patrizia Dogliani, ha riguardato il corpo degli italiani. Un corpo che avrebbe dovuto essere vigoroso e forte, quello femminile in particolare dedicato alla funzione riproduttiva e non dunque teatro del vizio e dell’eccesso.

Puttane antifasciste è infine il corpo sifilitico di Libera Hriaz, prostituta antifascista  mandata al confino per aver dedicato rutti, pernacchie e scorregge a Benito Mussolini. 

 

 

Scheda libro. 

https://ibs.it/puttane-antifasciste-nelle-carte-di-libro-matteo-dalena/e/9788899416270?inventoryId=76597073

 

 giornalista pubblicista e storico. Collabora con la Rutgers University (Università del New Jersey) in ricerche di storia sociale e familiare. Membro della “Commissione di studi storici e Vice Presidente ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) per la Provincia di Cosenza sezione “Paolo Cappello”, collabora con l’Archivio delle memorie migranti di Roma. Nel 2015 ha pubblicato “Ricovero Umberto I. La prigione degli inutili” insieme ad Alessandra Carelli.