Le voci del passato

Il 17 Marzo è diventato festa nazionale, una festa che celebra l’importanza dell’Unità d’Italia.
150 anni per una nazione sono pochi, veramente pochi, eppure nell’arco di questo brevissimo tempo siamo riusciti a cambiare il volto di quelli che sono stati i fatti. I fatti. Non mi sento affatto sicura di pronunciare questa parola, non credo che esista una sola verità, né tanto meno credo che ad essa ci si possa arrivare dopo decenni.
Diversi sono stati gli avvenimenti fondamentali, e diverse sono state le persone che hanno contribuito a dare al paese l’aspetto che noi oggi possiamo vedere.
Ma la domanda che da giorni riecheggia nella mia testa è: perché oggi si tende a dimenticare?
Più precisamente: perché oggi si tende a modificare quelli che sono stati i cardini dell’unità nazionale? Quando ho deciso di iniziare a scrivere questo articolo sono stata mossa da un sentimento di antirevisionismo storico: trovo che oggi uno dei mali peggiori della nostra Italia sia proprio il tentativo da parte di chi sta al potere, che sia di destra o di sinistra, di cambiare il volto della storia. Mi piace credere e ripetere con ardore che se gli italiani conoscessero meglio le origini della nostra nazione, senza bisogno di andar troppo indietro nel tempo, oggi non ci troveremmo in questa situazione. Proprio per questo il mio primo pensiero, in merito alla stesura di questo articolo, è stato quello di raccontare, in più puntate, la storia della nostra nazione: analizzare, spiegare, commentare gli avvenimenti storici più importanti, studiare i personaggi più noti, e quelli meno noti, mettere in luce alcuni episodi che nei libri di storia non compaiono neanche, come quello di Bronte ad esempio. Cercavo di dare a questa Italia delle sembianze umane, un volto, delle mani, e via via andare a cercare ogni più piccolo dettaglio.

Stavo cadendo anche io nella rete.

Stavo cadendo nella rete perché non è di questo che l’Italia ha bisogno. L’Italia non ha bisogno dell’ennesima persona che racconti la storia, ancor meglio, non ha bisogno dell’ennesima persona senza conoscenza, o con una conoscenza superficiale della storia, che dia la propria versione dei fatti.
È per questo che ho deciso di cambiare completamente l’aspetto di questo articolo. Ho deciso di dare la voce a coloro che non ce l’hanno più, ho deciso di raccontare la storia attraverso le parole di tutti coloro che hanno vissuto la storia, che l’hanno fatta e che vivono di essa. Ho deciso di parlare attraverso gli storici, di ieri e di oggi, che attualmente sono messi da parte per dare spazio ai politici o giornalisti, come me, che pretendono di poter conoscere e commentare gli avvenimenti. 
Ma il lavoro che viene fatto dalla ricerca storica non può essere sostituito da nessun altro.
Ho pensato, quindi, che il contributo migliore che potessi dare all’Italia, in questo giorno di festa, sia fare una piccola raccolta di alcune frasi pronunciate da coloro che la storia l’hanno fatta, e coloro che vivono per essa.

«Noi fummo da secoli
calpesti, derisi,
perché non siam popoli,
perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
bandiera, una speme:
di fonderci insieme
già l’ora suonò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò, sì!»
(Goffredo Mameli, Inno d’Italia)

«Finché, domestica o straniera, voi avete tirannide, come potete aver patria? La patria è la casa dell’uomo, non dello schiavo.»
Giuseppe Mazzini da “Ai giovani d’Italia

«La patria è la fede nella patria. Dio che creandola sorrise sovr’essa, le assegnò per confine le due più sublimi cose ch’ei ponesse in Europa, simboli dell’eterna forza e dell’eterno moto, l’Alpi e il mare. Dalla cerchia immensa dell’Alpi, simile alla colonna di vertebre che costituisce l’unità della forma umana, scende una catena mirabile di continue giogaie che si stende sin dove il mare la bagna e più oltre nella divelta Sicilia. E il mare la ricinge quasi d’abbraccio amoroso ovunque l’Alpi non la ricingono: quel mare che i padri dei padri chiamarono Mare Nostro. E come gemme cadute al suo diadema stanno disseminate intorno ad essa in quel mare Corsica, Sardegna, Sicilia, ed altre minori isole dove natura di suolo e ossatura di monti e lingua e palpito d’anime parlan d’Italia.»
Giuseppe Mazzini, da “La Patria”, ne “I Pensieri”, 1859

«L’Italia del Settentrione è fatta, non vi sono più né Lombardi, né Piemontesi, né Toscani, né Romagnoli, noi siamo tutti italiani; ma vi sono ancora i Napoletani. Oh! vi è molta corruzione nel loro paese. Non è colpa loro, povera gente: sono stati così mal governati! E quel briccone di Ferdinando! No, no, un governo così corruttore non può essere più restaurato: la Provvidenza non lo permetterà. Bisogna moralizzare il paese, educar l’infanzia e la gioventù, crear sale d’asilo, collegi militari: ma non si pensi di cambiare i Napoletani ingiuriandoli. Essi mi domandano impieghi, croci, promozioni. Bisogna che lavorino, che siano onesti, ed io darò loro croci, promozioni, decorazioni; ma soprattutto non lasciar passargliene una: l’impiegato non deve nemmeno esser sospettato. Niente stato d’assedio, nessun mezzo da governo assoluto. Tutti son capaci di governare con lo stato d’assedio. Io li governerò con la libertà, e mostrerò ciò che possono fare di quel bel paese dieci anni di libertà. In venti anni saranno le provincie più ricche d’Italia. No, niente stato d’assedio: ve lo raccomando. »
Camillo Benso, conte di Cavour citato da Giosuè Carducci in “Lettere del Risorgimento Italiano”.

«Il nostro Paese, piccolo per territorio, acquistò credito nei Consigli dell’Europa perché grande per le idee che rappresenta, per le simpatie che esso ispira. Questa condizione non è scevra di pericoli, giacché, nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi.»
Vittorio Emanuele II, dal “Discorso della Corona” al Parlamento Subalpino, 10 gennaio 1859.

«Il governo quando interviene per tener bassi i salari commette un’ingiustizia, un errore economico e un errore politico. Commette un’ingiustizia perché manca al suo dovere di assoluta imparzialità tra i cittadini, prendendo parte alla lotta contro una classe. Commette un errore economico perché turba il funzionamento economico della legge della domanda e dell’offerta, la quale è la sola legittima regolatrice della misura salari come del prezzo di qualsiasi altra merce. Il Governo commette infine un errore politico perché rende nemiche dello stato quelle classi le quali costituiscono in realtà la maggioranza del Paese.»
Giovanni Giolitti da un discorso al parlamento, 4 febbraio 1901

«Il bisogno pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il carattere di “storia contemporanea”, perché, per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni. »
Benedetto Croce, da “La storia come pensiero e come azione

«L’impedimento che urge rimuovere è la persona del re, Vittorio Emanuele III, che ha aperto le porte al fascismo, lo ha favorito, sostenuto, servito per oltre vent’anni, lo ha seguito in tutte le sue azioni e persecuzioni più contrarie alla moralità… Pretendere che l’Italia conservi il presente re, è come pretendere che un redivivo resti abbracciato con un cadavere. »
Benedetto Croce

«Noi rivolgiamo gli occhi alle immagini degli uomini del Risorgimento, di coloro che per l’Italia operarono, patirono e morirono; e ci sembra di vederli offesi e turbati in volto alle parole che si pronunziano e agli atti che si compiono dai nostri avversari, e gravi e ammonitori a noi perché teniamo salda la loro bandiera.[…] E forse un giorno, guardando serenamente al passato, si giudicherà che la prova che ora sosteniamo, aspra e dolorosa a noi, era uno stadio che l’Italia doveva percorrere per ringiovanire la sua vita nazionale, per compiere la sua educazione politica, per sentire in modo più severo i suoi doveri di popolo civile.»
Benedetto Croce, Il manifesto degli intellettuali antifascisti, 1 Maggio 1925

«La storia è un’alterna vicenda di vittorie e di disfatte: non vi sono popoli sempre vincitori. La civiltà consiste nel determinare fra vincitori e vinti quei rapporti che rendono la vittoria meno ingiusta e la disfatta meno insopportabile
Saverio Nitti, da La decadenza dell’Europa. Le vie della ricostruzione, R. Bemporad & Figlio, 1922, p. 144.

«L’economia e la finanza italiana nel loro complesso hanno continuato quel miglioramento e quella lenta ricostruzione delle devastazioni della guerra, che erano già cominciati ed avviati negli anni precedenti; ma ad opera di energie sane del paese, non per gli eccessi o le stravaganze della dominazione fascista; alla quale una sola cosa è certamente dovuta: che i profitti della speculazione e del capitalismo sono aumentati di tanto, di quanto sono diminuiti i compensi e le più piccole risorse della classe lavoratrice e dei ceti intermedi, che hanno perduta insieme ogni libertà e dignità di cittadini. »
Giacomo Matteotti dall’introduzione a Un anno di dominazione fascista

«La cultura […] è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri. »
Antonio Gramsci, da Socialismo e cultura, Il Grido del popolo, 29 gennaio 1916

«L’Italia – al di fuori naturalmente dei tradizionali comunisti – è nel suo insieme ormai un paese spoliticizzato, un corpo morto i cui riflessi non sono che meccanici. L’Italia cioè non sta vivendo altro che un processo di adattamento alla propria degradazione. […] Tutti si sono adattati o attraverso il non voler accorgersi di niente o attraverso la più inerte sdrammatizzazione.»
Pier Paolo Pasolini Abiura dalla Trilogia della vita, Il Corriere della Sera, 9 novembre 1975,)

«La tv: qui la donna è considerata a tutti gli effetti un essere inferiore: viene delegata a incarichi d’importanza minima, come per esempio informare dei programmi della giornata; ed è costretta a farlo in modo mostruoso, cioè con femminilità. Ne risulta una specie di puttana che lancia al pubblico sorrisi di imbarazzante complicità e fa laidi occhietti. Oppure viene adoperata ancillarmente come “valletta” »
Pier Paolo Pasolini, dall’intervista di Dacia Maraini, «Ma la donna non è una “slot machine»)

«Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, le sue conversioni. Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è. In cui tutto scorre per non passare davvero. Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascondono nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili, imparerebbe questo paese speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi ma con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’ideantica allergia alla coerenza, a una tensione morale
Pier Paolo Pasolini, Scritti Corsari, Milano 1975, pag 87

«I giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo. »
Sandro Pertini, da Messaggio di fine anno – 1978

«LItalia, a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della terra. Questa è la strada, la strada della pace che noi dobbiamo seguire. »
Sandro Pertini, Dal discorso d’insediamento alla Presidenza della Repubblica

«L’eterno Potere che non muore mai, cade sempre per risorgere dalle sue ceneri, magari credi di averlo abbattuto con una rivoluzione o un macello che chiamano rivoluzione e invece rieccolo, intatto, diverso nel colore e basta, qua nero, là rosso, o giallo o verde o viola, mentre il popolo accetta o subisce o si adegua.» Oriana Fallaci, da Un uomo

«Cosa è il leghismo se non la storia di un movimento che non legge? »
Eco, se la Lega ignora il romanzo italiano, la Repubblica, 6 marzo 2009

«I nomi del Risorgimento sono vivi, sono dentro di noi, ci appartengono. Ovunque vada, in questo lungo viaggio in Italia, mi rendo conto che gli italiani sono sempre orgogliosi della loro storia. Quando sono a Torino, a Milano, e non soltanto, mi muovo con emozione per le strade che ricordano i nomi degli uomini che hanno fatto l’Italia, i re e i primi ministri, ma anche i Cattaneo e i Mazzini. Il Risorgimento lo porto nel cuore. E sono convinto che non sia un sentimento soltanto mio, che gli italiani lo sentano quanto me.»
Citato in Ciampi e il varo della nuova Cavour «Risorgimento, un sentimento vivo», Corriere della sera, 7 luglio 2004

«In realtà siamo di fronte ad uno dei paradossi più singolari dell’italia della Seconda Repubblica: il tentativo di rileggere ( e riscrivere) la storia italiana piegandola all’esigenza del dibattito politico. […] Mussolini è divenuto un brav’uomo e il fascismo si è trasformato in un regime benevolo. Di più, in un ideale atlante sotirco degli anni trenta sono, come per incanto, scomparse le dittature come il fascismo in Italia, il franchismo in Spagna o il sala zarismo in Portogallo»
Stefano Pivato, Vuoti di memoria, premessa, 2007

«Trasformare l’anniversario dei 150 anni dell’Unità in un nuovo innamoramento del nostro essere italiani… incitare noi stessi ad avere un po’ più di orgoglio nazionale
Giorgio Napolitano