L’Italia di Pino e Michele, giornalismi estremi

“Li chiede, non è che li impone. Lui immagino che abbia un ampio bacino di affezionati telespettatori che hanno piacere di sentirlo, e chiede loro un sostegno al suo programma”. In effetti non fa una grinza.

S’è letto tanto in questo periodo. E s’è sentito tanto. Di Santoro il giornalista, di Santoro il martire, di Santoro l’antipolitico, di Santoro il politico, di Santoro il cacciatore di streghe, di Santoro il tunisino. Ecco, quest’ultima versione è quella che l’ha un po’ fregato, ma per il resto non è che ci sia molto da dire. Perché se è vero che il paragone fra la sua forma di servizio pubblico e la frutta e verdura venduta dal tunisino nel Maghreb è azzardato, se non fuori luogo (ma è innegabile che sia una stoccata classica del suo repertorio, come il fanbicchiere), è anche vero che qui non si tocca il portafogli di nessuno, né l’opinione. Le parole di Antonello Caporale, qui in alto, pronunciate con una leggera velatura di stupore in seguito alla richiesta di giudizio su questo nuovo “caso Santoro” sono talmente cariche d’ovvietà da apparire quasi un surplus. Una sorta di pour parlè quasi trovato per caso, come il commento al tre a zero del Milan sul Palermo buttato lì durante un addio al celibato inoltrato.

Insomma: Santoro faceva in Rai la trasmissione televisiva perfetta in senso di ascolti, in quanto senza ombra di dubbio la migliore. Veniva attaccato perché il suo cachet era astronomico, e, quando proprio doveva, rispondeva che uno come lui vale tanto perché fa guadagnare tanto (oltre ad essere comunque un buon giornalista, facendo puntualmente opinione senza sboccare). Il recente disastroso risultato del reality che ha sostituito ‘Annozero’ (cioè che l’ha rimpiazzato il giovedì) dimostra che in questo senso non è possibile intavolare discussioni. Però, a voler essere arrabbiati senza entrare nel merito del prodotto realizzato, si poteva impugnare il diritto al giusto compenso, ragionando a bocce ferme sul fatto che ci sono decine e decine di giornalisti dal talento innegabile, e per di più dal coraggio non indifferente, costretti a lavorare per un millesimo del suo cachet. Bravi come lui, capaci di creare opinione quanto lui, magari pure in grado di bucare il video, ma con un destino diverso. In questi casi si poteva parlare del “perché non io?”, ma difficilmente si poteva ottenere ragione su un “o tutti o nessuno”: per quanto si possa essere in gamba bisogna pure avere un grado di spregiudicatezza e un tasso di buona sorte non indifferenti in un mondo dove il mercato detta le regole. Se sei bravo, alla fine la società che ha appena salutato Steve Jobs offre mille modi per farti leggere, e altrettanti per farti vedere. Il denaro, poi, è una variabile capace d’impazzire. È difficile non tener conto della sorte, e a rivedere il monologo iniziale di quel “Macht point” firmato Woody Allen ci si può riflettere su offrendo al corpo un buon mal di testa.

A voler intestardirsi, in ogni caso, ci si ficcherebbe dentro ore e ore di parole con la possibilità di perdere l’orizzonte.

La questione, ora, è un’altra. Santoro si è appena messo sul mercato, per la gioia del pensiero liberale. Lavora chiedendo dei soldi in cambio, ma con la formula del “buon cuore” e affidando il giudizio a quanto fatto in questi anni, forte della consapevolezza di aver creato un prodotto di successo. Il suo prodotto contiene autori, operatori di ripresa, fonici, giornalisti, attrezzisti, truccatori, scenografi, assistenti, tecnici di postproduzione e via dicendo: tutta gente scelta bene, perché la macchina cammina senza intoppi. Ha messo insieme un gruppo che l’ha seguito sulla piazza pubblica, e ha deciso di far pagare il biglietto a chi vuol pagarlo. Questo è, praticamente, inattaccabile: il suo più acerrimo nemico in forma cartacea, cioè ‘Il Giornale’, nel tentativo di smontarlo ha soltanto sollevato polvere, polemizzando sulla scelta del nome “servizio pubblico” (il sito al quale accedere all’iniziativa di Michele&compagni) e sul paragone col tunisino. Il che, dal punto di vista del dibattito, equivale a zero. Di soldi pubblici non c’è l’ombra, e a controbattere a chi attacca l’iniziativa dei dieci euro donati si potrebbe ricordare che un quotidiano come ‘Il foglio’, da meno di duemila copie, percepisce fior di quattrini: non c’è partita, insomma. Se ‘Il fatto quotidiano’ è sul mercato a spese proprie con una tiratura quasi quaranta volte maggiore della creatura di Ferrara, e se c’è arrivato perché c’è chi per leggerlo dona il suo euro, non è che si possa mettere in piedi un teatrino di polemiche. Così è. Vi piaccia o no.

Poi, però, c’è un’altra questione ancora. Te la dice Pino Maniaci, dal fortino di Telejato: “Ci sono tanti ragazzi, tanti giornalisti che si spendono sul territorio scrivendo possibilmente anche contro la mafia, rischiando la pelle per tre, quattro, cinque euro. E poi c’è chi fa informazione pagando di tasca propria, come Graziella Proto che ha impegnato tre quarti della sua pensione per i prossimi dodici anni per pagare i debiti di ‘Casablanca’. È un mondo strano, purtroppo, quello del giornalismo, un mondo dentro il quale spesso i migliori detrattori di chi si spende a rischio della vita sono i giornalisti stessi. Non di rado diventiamo bersaglio perché ci considerano mosche bianche in mano a questo o a quello. Più che soldi, quindi, bisognerebbe dare appoggio morale, stare vicino a chi realmente si spende sul territorio quotidianamente senza i riflettori addosso”.

Il principio dell’onestà intellettuale. Talmente vecchio da restare indietro in una società che corre a perdifiato. Ma immortale. Se Santoro è in grado di cavalcarla, questa società, Pino Maniaci è capace di parlarci. A chiamare in causa Salomone si potrebbe dire che servono entrambi. Antonello Caporale, in fondo, non la pensa diversamente: “Sì, ci si potrebbe chiedere ‘ma come, ci sono tante voci libere che vivono nella disperazione, mentre Santoro gode di un sostegno senza solidarizzare?’. Beh, sì, realtà come Telejato, ad esempio, hanno bisogno dell’affetto e dell’aiuto, ma non credo si possa giudicare Santoro come un egoista, come colui che pensa solo alla sua vita e alle sue cose. Lui ritiene di dover dire ancora delle cose, e ritiene di poterle dire anche in queste forme che raccolgono un consenso e un sostegno finanziario e rispetto alle quali altri altrettanto meritevoli chiedono ‘e noi?…’. Eh, ma questa è la storia di sempre… Si potrebbe dire che sì, avete ragione voi, ma non è che lui abbia torto. Non vorrei fare il Ponzio Pilato, ma non credo che le due cose siano sovrapponibili”.

Cercare delle colpe dentro una proposta può rivelarsi un errore. La ricerca, semmai, dovrebbe dirigersi sul lato opposto, e basarsi su due fattori: chi decide di aiutare Santoro è disposto, a parità di condizioni (cioè di argomenti) ad aiutare anche altri? Magari riducendo l’entità economica della donazione sulla base della qualità tecnica del prodotto in questione, ma senza far mancare il proprio supporto. È disposto, dunque?

A chi critica per il solo gusto di criticare, poi, senza formulare argomenti (il che oramai è sport nazionale in un’Italia sbiadita), basterebbe ricordare quell’aneddoto a casa del cardinale Mendoza, durante la cena, quando si cercava di far stare un uovo in piedi.

 

Foto di Rosita Rijtano

 

Sebastiano Ambra