Mafie in Emilia Romagna. Il dossier lo presentano gli studenti

Prendi un gruppo di studenti universitari, una professoressa e un giornalista militante antimafia. Questo è il mix che per un trimestre accademico ha scavato tra la melma delle mafie in Emilia Romagna, producendo un dossier di cui le amministrazioni dovrebbero fare tesoro per il presente e per gli anni a venire. «La mafia teme la scuola più della giustizia», scriveva Antonino Caponnetto. Quale miglior luogo, quindi, per un’iniziativa antimafia se non l’università? Così parte il laboratorio che da origine al dossier Le mafie in Emilia Romagna. Strano sentir parlare e scrivere di mafia in Emilia Romagna, eppure gli studenti di giurisprudenza e scienze politiche di materiale ne hanno trovato, e parecchio. Il dossier è stato realizzato da diciassette studenti delle facoltà di Scienze Politiche e Giurisprudenza dell’Università di Bologna sotto la supervisione di Gaetano Alessi (militante antimafia, direttore del giornale di frontiera AdEst e Premio Giuseppe Fava 2011), con la collaborazione della professoressa Stefania Pellegrini, direttrice del corso Mafia e Antimafia presso la cattedra di sociologia del diritto, che ha ospitato il laboratorio, Rete No Name-Antimafia in movimento, lo stesso AdEst che Alessi dirige e Articolo21.
Come scrive lo stesso Gaetano Alessi nell’introduzione al dossier «Nient’altro che la verità questa la missione del cronista secondo Giuseppe Fava. E la ricerca della verità è stato l’obiettivo che ha trasformato un gruppo di studenti in giornalisti per amore».

Da studenti a giornalisti per amore e guardando il dossier si avverte che l’amore deve essere davvero molto, soprattutto nei confronti della terra in cui alcuni studiano soltanto e in cui invece molti vivono da quando sono nati. I 17 studenti coinvolti nel progetto hanno potuto intervistare anche chi opera sul campo come magistrati, giornalisti e sindacalisti, che tutti i giorni si oppongono alle mafie con il loro lavoro. Un dossier di trenta pagine per far capire che la mafia non è un problema degli altri in Emilia Romagna, ma un problema di tutti. E se il silenzio uccide più dei proiettili e permette alle mafie di prosperare, questi 17 studenti hanno certamente dimostrato di volersi opporre a un cancro che già dal secondo dopoguerra ha cominciato a divorare la loro terra. Già da quando arrivarono in soggiorno obbligato Procopio di Maggio (1958) e Giacomo Riina (1969), in attesa di Gaetano Badalamenti, che fa il suo ingresso forzato a Modena nel 1974. Passando poi per tutte le più importanti operazioni condotte da magistratura e forze dell’ordine come gli affari Icla, Proter e Doro Group, caso quest’ultimo che ha coinvolto addirittura l’aeroporto di Bologna. Tutte le tre principali mafie, Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra sono presenti sul territorio emiliano e questo dossier lo dimostra ampiamente, facendone anche una mappatura.

64 cosche mafiose, appalti truccati, gioco d’azzardo e morti ammazzati, queste sono le mafie in Emilia, come in tante altre parti d’Italia, lo testimonia il lavoro di documentazione svolto dagli studenti, come lo dimostrano le tante inchieste che si sono svolte e si stanno svolgendo anche in questi giorni, ultima l’operazione Marte dove i carabinieri hanno eseguito 22 ordinanze di custodia cautelare, e 59 perquisizioni domiciliari, disposte dal gip di Bologna Pasquale Gianniti su richiesta del procuratore Massimiliano Serpi, nei confronti di presunti appartenenti a una gang promossa prevalentemente da calabresi e collegati alle consorterie ‘ndranghetiste Nirta-Strangio finalizzata al traffico di stupefacenti. Senza dimenticare un’altra inchiesta che ha visto il sindaco di Serramazzoni, cittadina modenese di circa 8.000 abitanti, indagato per corruzione incontrarsi con un soggiornante obbligato.

Abbiamo parlato del dossier e dell’esperienza degli studenti trasformati in “giornalisti per amore”, con Gaetano Alessi, curatore del laboratorio

Lei dice che questo lavoro nasce da una consapevolezza: che la mafia in Emilia Romagna c’è. E si domanda se invece ci sia l’antimafia. Alla luce di quanto fatto con i ragazzi siete riusciti a darvi una risposta?
Il nostro lavoro è nato per porre una domanda. La risponda la sta fornendo l’ opinione pubblica che leggendo il dossier si sta mobilitando per affrontare il fenomeno mafioso. In Emilia Romagna manca un’antimafia sociale, un blocco d’ opinione che si contrapponga alla ventata di “mafiosità” che sta arrivando e che in alcune province già c’è. Le leggi da sole non sono mai bastate, serve un’azione della comunità. Più che cercare risposte volevamo dare uno stimolo, e ci siamo riusciti.

Gli episodi di mafia che coinvolgono la regione non sono pochi e sono nero su bianco documentate anche da sentenze passate in giudicato e da molte altre operazioni in corso. Ma anche in Emilia Romagna, come è accaduto e continua ad accadere in Lombardia e in tante altre regioni d’Italia, il problema continua a essere in alcuni casi ignorato e gli allarmi inascoltati. Perchè? C’è una risposta nel dossier?

Nel dossier mettiamo in evidenza i fatti. Smitizziamo l’idea della mafia “gentile”. Abbiamo raccolto parte di quello che è accaduto in regione negli ultimi 50 anni e l’abbiamo messo in ordine cronologico. Il risultato è un quadro di infiltrazione nei cantieri mostruoso, il riciclaggio continuo, tramite il gioco d’azzardo, del denaro sporco e una scia di sangue che trova con gli omicidi Guerra, Guarino e D’Amato il picco negli ultimi anni. Resta da spiegare l’enorme freddezza di gran parte delle istituzioni e la poca copertura informativa da parte dei media. Certo ammettere che le mafie sono ramificate sarebbe ammettere il proprio fallimento, ma meglio farlo ora che c’è tempo per rimediare che tra qualche anno quando il legame tra mafia, massoneria e alta finanza sarà troppo stretto per reciderlo.

Lei è uno di quei giornalisti che Roberto Morrione, fondatore di RaiNews e direttore di Libera Informazione, scomparso pochi giorni fa, definiva ‘di frontiera’. Per un trimestre lo sono diventati anche gli studenti del laboratorio. Che esperienza è stata per loro? Si aspettava una risposta di tale entusiasmo da parte dei ragazzi?
Sinceramente no, anche perché l’ultima volta che avevo messo piede in un’università era il lontano 1995. Però ho sempre creduto nella capacità dei ragazzi, ho sempre avuto la certezza che se gli viene data fiducia diventano delle macchine da guerra. Ho fatto in modo che si trasformassero da “studenti” in “giornalisti per amore” e quella è stata la chiave. Credo che per loro sia stata un’esperienza importante, si sono ritrovati faccia a faccia con un problema visto al giorno prima solo in tv. Hanno potuto parlare con chi è in prima fila, magistrati, giornalisti, sindacalisti e così farsi una loro chiave di lettura personale su come “leggere” i segnali delle mafie. Hanno realizzato quello che viene definito “il lavoro più completo sulle mafie in Emilia Romagna”. Abbiamo trasformato le aule universitarie in una “redazione da campo” e Roberto Morrione, a cui è dedicato il laboratorio, penso che da qualche parte rida sotto i baffi.

Ha incontrato difficoltà nell’istituire un laboratorio simile in ambito accademico? Credi si ripeterà questa esperienza?
E’ stata una sperimentazione e come tale ha avuto pregi e difetti. Ringrazio Stefania Pellegrini, docente del corso “mafie e antimafia”, per avermi prima affidato i ragazzi e poi avermi concesso assoluta indipendenza nel gestirli. Se il laboratorio sarà ripetuto non dipenderà da me. Penso che dopo l’entusiasmo che ha creato ed il lavoro per la collettività svolto (il dossier è già stato “scaricato” da 1500 persone) sarebbe una follia non continuare. Non so dirti neanche se ci sarò più io alla guida, dato che essendo anch’ io “giornalista per amore” dovrò tornare al mio lavoro. La certezza è che la strada è tracciata, seguirla per chi verrà dopo sarà un compito molto più semplice del nostro.

Per scaricare il dossier seguire il link e fare il download
http://mediafire.com/?ns9g478d668621k