Mandela: non è un eroe

In questi giorni su Nelson Mandela è stato detto tutto, o quasi. Lo si è definito l’uomo più importante del 21° secolo, l’uomo della pace, del dialogo, un eroe dei nostri tempi, un eroe d’altri tempi ecc.: addirittura, gli ignoranti del quotidiano berlusconiano “Il Giornale”, lo hanno definito l’uomo dell’apartheid, non sapendo che la lotta di Mandela è stata contro l’apartheid, o non conoscendo neppure il significato di questa parola, anzi, nella loro smania di accostare Berlusconi agli uomini più grandi del mondo, lo hanno accostato anche a Mandela, paragonando il suo (ancora tutto da vedere) affidamento ai servizi sociali, ai 27 anni di carcere duro subiti da Mandela. Prima lo avevano paragonato a Kennedy, per il suo amore per il sesso femminile e prima ancora, detto da lui stesso, avevano definito la sua condizione peggio di quella degli ebrei sotto Hitler. Sai le risate!!!L’accostamento tra un insetto e un gigante fa meglio risaltare la grandezza del gigante, quindi torniamo a parlare di Mandela. Oggi c’è la tendenza a mitizzare tutto, anche la difficile vita di Mandela, e a costruire la patina dell’eroe su un uomo che ha avuto il merito di realizzare la sua “essenza” di uomo.. Gli eroi sono lontani, irraggiungibili, inimitabili, mentre, se riusciamo a considerarli uomini come gli altri, possiamo adottare le loro idee e il loro esempio per metterci sulle loro tracce e andare anche oltre quello che sono riusciti a fare. Mandela è certamente un uomo del nostro tempo, perché il razzismo, la separazione razziale, la tendenza di alcuni europei a ritenersi migliori degli uomini di altri continenti, e quindi in diritto di sfruttarli, sono ancora all’interno del nostro tempo, della nostra civiltà. Diceva un prete poeta dell’800, Giacomo Zanella, “Se Schiavi, se lacrime ancora rinserra, è giovin la terra”. Rispetto al grido dell’Africa e di coloro che si partono da quel continente nell’illusione di trovare una vita migliore, per finire in quei lager che vengono chiamati centri d’accoglienza , il cui ingresso è precluso ai giornalisti, affinché nessuno possa denunciare le terribili condizioni di vita in cui si trovano quelli che ci finiscono dentro, per non parlare dei cinesi che lavorano a Prato, il nostro secolo non offre ancora molto di diverso dal secolo precedente. La schiavitù è in agguato in ogni angolo della nostra raffinata civiltà, lo è nei call center a 300 euro al mese, nel caporalato ancora pienamente funzionante nelle campagne o nelle imprese edilizie, nelle fabbriche, dove, con l’incubo del licenziamento, i lavoratori sono costretti ad accettare qualsiasi angheria sulla loro pelle, lo è nelle strade dove ragazze in esposizione vendono i loro corpi, protette da chi incassa i soldi che esse guadagnano. Squallidi sindaci leghisti impediscono alla gente di colore di dormire o di sedersi sulle panchine, di mangiare per strada, di portare i loro figli in asili o scuole in cui possono mischiarsi bianchi e neri. E ciò avviene in Italia, negli Stati Uniti è finito da un pezzo. E’ ancora diffuso il pregiudizio che gli immigrati vengono a rubare lavoro ai locali, che i bassi costi con cui la gente di colore fa certi lavori, per i quali i bianchi chiedono anche il doppio, finiscono col danneggiare i lavoratori locali, che il traffico di droga, i furti, gli stupri, e i delitti sono causati da questa gente, la quale spesso chiede solo di guadagnarsi quello che è l’elementare diritto di vivere che spetta a ogni uomo. E qua che la lista verso la civiltà, ancora da conseguire, diventa lunga ed ha bisogno ancora di uomini come Mandela che sappiano portare avanti la pacificazione e la collaborazione tra uomini diversi. E soprattutto c’è un altro elemento da cogliere: dopo quattro anni di presidenza Mandela ha preferito lasciare la politica e impegnarsi direttamente nel lavoro sociale, restando tra gli umili, ai quali dare aiuto. Cosa che nell’Italia delle mummie al potere non esiste.

Ci piace ricordarlo con una sua frase: “Se potessi ricominciare da capo, farei esattamente lo stesso”. E così farebbe ogni uomo che ha l’ambizione di definirsi tale.”. Il che significa essere orgoglioso del proprio modo di essere, sicuro, della giustezza delle proprie scelte di vita, secondo quella che è stata la massima di Nietzsche: “agisci in modo da desiderare di vivere di nuovo”. Quanti sono così soddisfatti della loro vita, da desiderare di rifare ancora tutto allo stesso modo? Quanti vorrebbero non avere mai vissuto quello che hanno dovuto sopportare nella loro vita. Quanti si sono posti la domanda: “Che vita è questa?”. E’ la stessa domanda che Mandela, condannato all’ergastolo per ribellione armata, si sarà posto nelle squallide prigioni in cui gli Inglesi chiudevano i ribelli africani, senza mai demordere, con l’ostinata certezza che un giorno avrebbe avuto ragione lui.

(Salvo Vitale)