Marchetti, impegno antimafia e cinema

Nient’altro che un siciliano arrabbiato, armato di videocamera e spirito d’iniziativa: così si dipinge Pierfrancesco Di Liberto, in arte PIF, che anche questa volta ha scelto il grande schermo per raccontare il turbolento passato della sua terra. Nella sua prima pellicola Pierfrancesco ha impersonato un giovane ancora inconsapevole, costretto ad assistere all’inesorabile ascesa di una mafia spietata e omicida. Erano gli anni Ottanta e Palermo era avviluppata in un gomitolo di terrore, mentre le braccia armate dei boss si divertivano a stroncare la vita dei pochi, eroici oppositori. Ma non è sempre stato questo il volto della mafia, ed è lo stesso PIF a parlarcene: “In guerra per amore” racconta proprio la nascita delle organizzazioni criminali in una Sicilia post-bellica, ridotta in frantumi dal fragore delle bombe e dalle angherie dei potenti. Ad affiancare PIF ci sarà nuovamente Maurizio Marchetti, che vestirà i panni di un dispotico capomafia nominato sindaco dalle legioni americane.

Marchetti, nato e cresciuto in Sicilia, sembra conoscere bene il legame fra criminalità e inconsapevolezza. Fermamente convinto della necessità di un’efficace campagna informativa, l’attore tenta di restituire al grande pubblico un’immagine grottesca ma veritiera di una mafia troppo spesso misconosciuta o sottovalutata. Ed è proprio di questo che parla alla nostra redazione, nel corso di una piacevolissima conversazione telefonica.

 

Anche questa volta hai scelto di affiancare PIF, ma se fossi tu a dover dirigere un film che parla di mafia, che piega assumerebbe?

 “Beh, credo che non si possa parlare di mafia meglio di quanto abbia fatto Pierfrancesco ne “La mafia uccide solo d’estate”. Lì c’era tutto: il nostro dolore, quell’umorismo un po’ nero che ci caratterizza e persino la nostra leggerezza. Già, perché noi conviviamo quotidianamente con atteggiamenti paramafiosi che accettiamo con passività, dunque c’è una sorta di abitudine che PIF è riuscito a rendere in maniera straordinaria. La mentalità, la cattiveria, l’antistato: nel film di Pierfrancesco troviamo tutto questo. Impossibile fare di meglio.”

 

In questo periodo stiamo assistendo alla sacralizzazione di modelli negativi, come Fabrizio Corona o Amanda Knox: si tende a mitizzare chi ha compiuto crimini. Dunque come si può condurre una battaglia che porti ad una maggiore consapevolezza del problema in simili circostanze?

“L’attrazione per il male c’è sempre stata. Certo, adesso è stata resa più pericolosa dai social, ma non è una novità. Nel mondo di adesso è ancor più facile far assurgere al ruolo di eroe una qualsiasi carogna. Dunque esiste una soluzione? Sicuramente sì, ma non si tratta di provvedimenti che può prendere PIF e nemmeno noi. È il sistema che deve occuparsene, la scuola, l’economia.

Si ostinano a sbandierare gli arresti per mafia, ma non sono quelli ad essere risolutivi. È con la cultura che si combatte la criminalità, e con il lavoro. Lo sosteneva anche Angelo Vassallo, quel “sindaco pescatore” ucciso nel 2010 che intendeva parlare ai giovani di quanto fosse meglio incentivare le imprese o lavorare nel settore turistico che spacciare droga, rischiando tra l’altro la pelle.”