Tre strade in tre città del siracusano ricordano Mariannina Coffa. Anche Ragusa le rende omaggio con una intitolazione stradale. Segno di civiltà di queste belle terre di Sicilia e del riconosciuto valore di Mariannina, poetessa tormentata e alla ricerca continua di felicità.
Soprannominata “la capinera di Noto”, “la Saffo netina”, era nata nel 1841 a Noto (Siracusa), dove morì nel 1878, a 36 anni. Fu una bambina precocemente ispirata che il padre, noto avvocato e patriota, si compiaceva di fare esibire nei salotti e nelle accademie con le sue poesie improvvisate su temi dettati estemporaneamente.
Dopo qualche anno di collegio in cui imparò versificazione e la lingua francese, mentre solo i suoi fratelli poterono apprendere anche il Latino, fu affidata al precettore Corrado Sbano, un canonico zelante chiamato ad “istruirla e disciplinarne insieme gli slanci del carattere indipendente e dell’estro focoso”.
L’incontro e l’amore per Corrado sono cantati in poesie giovanili. Ma la famiglia non vedeva di buon occhio la relazione e le impose di sposare, a 18 anni, un ricco proprietario terriero di Ragusa che la recluderà nella casa paterna. Mariannina scriveva, nascondendosi dal suocero, nelle interminabili notti in cui il marito, per un po’ sindaco di Ragusa, la lasciava sola. Per il suocero, infatti, “lo scrivere rende le donne disoneste”, ragion per cui non aveva permesso alle proprie figlie di apprendere la scrittura.
Intanto, tra continue gravidanze che tormentavano il suo gracile corpo, il dolore per la morte di una figlia, la cura degli altri figli e i pesanti lavori di casa, sempre dedita in segreto alla scrittura poetica, intreccerà una relazione epistolare con il fidanzato di un tempo, ma la relazione viene interrotta dall’uomo, spaventato dalla sua richiesta di a affetto e dalle sue inquietudini. La vita di Mariannina corre come sdoppiata, tra adesioni, tenute segrete, ad associazioni ed accademie italiane e straniere, pubblicazioni di poesie per riviste nazionali, e la grettezza dell’ambiente familiare. L’amicizia con Giuseppe Migneco, omeopata e magnetista animale, famoso per le efficaci cure prestate in occasione delle epidemie di colera, ma più volte esiliato per “esercizio di arte diabolica” e “spiritismo”, la introdurrà ai metodi del sonnambulismo e al “mistero” del magnetismo, coi quali la poetessa cercherà di curare le malattie e i disagi del suo corpo e della sua psiche. Si iscriverà a diverse società occultiste e teosofiche italiane e straniere e, attraverso il medico omeopata Lucio Bonfanti, sarà introdotta nella Loggia Elorina. Ne nascerà l’ultima straordinaria stagione poetica, fitta di riferimenti simbolici al “gran concetto” e improntata alla “protesta metafisica”, dopo la prima giovanile poesia patriottica di maniera e l’intermedia fase intimista. Indebolita dalle emorragie provocate da fibromi all’utero, abbandonerà la casa del marito per cercare tranquillità nella città natale. Respinta dai genitori, che temono il disonore che la figlia porta nella loro casa con la sua condotta immorale, finirà i suoi giorni in povertà, assistita da un anziano medico omeopata: nessun familiare vorrà pagare le prestazioni di un chirurgo catanese il cui intervento avrebbe potuto probabilmente salvarle la vita.
Malgrado la fama di “poeta maledetta” diffusasi negli ultimi tempi della sua vita, la sua città dichiarò il lutto cittadino, si assunse le spese del funerale e le fece erigere una statua in marmo che rinnova memoria di Mariannina e della sua poesia nella Piazzetta d’Erco.
Cettina Marino