La città di Messina è entrata nel periodo prenatalizio, fatto di allestimenti di luminarie e addobbi, di grandi alberi di Natale piazzati in bella vista nella piazza antistante al Municipio, in Piazza Cairoli, al Duomo.
Passeggiando per le vie del centro, vedremo una città vestita a festa, piena di luci scintillanti e stelle di Natale, che renderanno elegante il Viale San Martino, proseguiranno sino alla bella fontana di Piazza Cairoli che con i suoi giochi d’acqua con effetti colorati arricchisce la principale piazza cittadina e sullo sfondo, dominano gli alberi ornati di lucine che fanno “tanto Natale”.
Queste stesse luci, decoreranno anche la via Garibaldi, evidenziandone la profondità, in uno sfavillante clima festoso. Ma proprio mentre ci accingiamo a terminare lo stesso viale, in prossimità con l’incrocio del viale giostra, ci accorgiamo, che le luccicanti lucine sugli alberelli che separano la carreggiata, iniziano drasticamente a diminuire, sino ad arrivare all’incrocio suddetto, che già di lucine di natale, non ce ne sono più.
Non si tratta di una situazione che interessa solo la centralissima via Garibaldi. Se facessimo il percorso inverso, prendendo come punto di partenza Piazza Cairoli dirigendoci verso villa Dante, non ci vuole molto tempo ad accorgersi che succede la stessa identica cosa. Man mano che ci si allontana dal centro nevralgico dello shopping natalizio messinese, la cura nei confronti dell’abbellimento delle strade degrada inesorabilmente, sino ad arrivare in periferia, e l’unico richiamo al natale proviene dalle finestre in cui si intravedono gli alberi colorati, o qualche balcone illuminato qua e la in modo sparso.
Questa metafora degli addobbi natalizi, riflette la storica stratificazione urbana della città e l’importanza che viene riservata ad alcuni quartieri rispetto ad altri. Tutti sappiamo che Messina è appunto divisa in zone: dall’Annunziata al Boccetta è la zona nord, dal Boccetta a Camaro compreso il viale Europa è il centro, da Camaro fino al San Filippo zona sud.
Gli addobbi natalizi concentrati nel viale e poche altre vie, sono lo specchio di una disomogeneità sociale e territoriale dalle radici profonde oltre un secolo, aggravate dalla guerra e accentuate dalla ricostruzione post-bellica.
Fu la politica di risanamento degli anni 80, a dare vita alla disomogeneità territoriale e alla divisione classista della città e questo per diversi motivi. In primis perché indirizzò gli interventi di edilizia pubblica nelle periferie della città, con interventi anche di grosse dimensioni , ma sempre concentrati in zone marginali. I quartieri di Bisconte, Camaro, Santa Lucia, San Paolo sono il risultato di questi interventi di riqualificazione.
La riqualificazione del territorio ebbe come risultato la creazione di quartieri dormitorio ghettizzanti , in cui è lampante l’assenza di opere di urbanizzazione, di verde di quartiere, di arredo urbano e soprattutto di adeguati collegamenti alla città.
Non si è contro l’edilizia popolare, tutt’altro, ma quando si avviano opere di questo genere, vanno portare a termine, altrimenti quello che “si legge tra le righe” è un allontanamento della “gente delle baracche” dalla vista dei cittadini di serie A, e la sistemazione di questi in una periferia alienante , dove oltre alla casa, non c’è nient’altro. Questo allontanamento appare come la decodificazione della politica della segregazione attuata per anni nei confronti di particolare strati sociali.
Non basta collocare dei condomini sopra una collina, va creata una rete che riqualifichi anche la zona adiacente che li colleghi alla città, vanno creati dei servizi tutt’intorno, dei luoghi di associazione, deve esserci la presenza dello Stato.
In questi quartieri, dove oramai la violenza è la regola, dove l’illegalità si sente nell’aria, dove l’amianto è accatastato ai bordi delle strade, e i bambini ci giocano sopra, non si può pensare che ne vengano fuori atteggiamenti di rispetto e legalità…
Queste zone, frutto di un processo di marginalizzazione, diventarono e continuano ad essere dei moltiplicatori di illegalità, rendendo vano il principio ispiratore del progetto iniziale, cioè il “recupero sociale”, e creando grandi favela messinesi. Anche nelle favela di Bisconte o di Santa Lucia si spaccia la droga , è sempre in questi quartieri, assieme a giostra che ci hanno fatto conoscere il “modello messinese” di mafia, fatta di estorsioni, di usura, di rapine, di bische clandestine.
Gli studi hanno da sempre sottolineato il ruolo criminogeno svolto dall’ambiente. Proprio i quartieri marginali si caratterizzano nell’essere dei vivai di criminalità, in cui le norme sociali e giuridiche vengono oltrepassate continuamente in una animalesca logica di sfida al prossimo.
Non possiamo girarci dall’altro lato davanti a questi errori urbanistici per diversi motivi. Vi ricordate cosa successe nel 1994 ? Quando i cittadini messinesi, indistintamente considerati, sono stati protagonisti, anche coloro che non ne avevano preso parte, di un qualcosa di irreale e assurdo, pubblicato su un articolo del Corriere della Sera (ma non solo ) .
Cito testualmente l’incipit dell’articolo in questione: “Il quartiere si schiera con il boss: petizione e corteo contro l’arresto”.
Si trattata dell’arresto di un boss del quartiere Cep, latitante due anni. Centinaia di cittadini, si presentarono davanti alla Questura e il giorno dopo davanti al Tribunale , con petizione firmata in mano , chiedendo il rilascio di colui il quale ritengono un benefattore e non un boss di mafia. Si trattava del boss Ferrara, difeso persino dal parroco del quartiere.
Ebbene, se continuiamo a non risolvere i problemi interni alla città, non ci meravigliamo qualora accadessero altre simili situazioni. Chiediamoci perché la gente crede e sente e chiede la protezione e il lavoro illegale di questo benefattore…. Forse perchè trasmetteva quello che le istituzioni non erano capaci di fare.
In questi quartieri si preferisce credere nel simbolo dell’antistato, perché i rappresentanti dello Stato non ascoltano, non vedono, non sentono.
Auspichiamo nei politici futuri, soprattutto speriamo che riescano a scrollarsi di dosso l’eredità lasciata dai politici post terremoto ad oggi. Questa classe politica, dallo scuotimento della terra sembra aver imparato la capacità di non legarsi a un luogo che può sortire tragiche sorprese, ma allo stesso tempo, ne ha fatto oggetto della propria tensione affaristica, senza alcuna preoccupazione legata al reale sviluppo, sociale , economico e culturale della città.
Nel mentre, la zona sud di Messina, come sostiene Mostaccio, è oramai destinata all’espansione del comparto commerciale, ha cambiato completamente la sua morfologia, diventando una sorta di “terra di nessuno, intervallata da enormi blocchi di cemento privi di alcun legame con il resto del territorio”.
Il disordine urbanistico che caratterizza questa città ci fa pensare che non sono solo alcuni quartieri da riqualificare, ma è tutta la città a dover riqualificare il proprio tessuto urbano e sociale.
Come il corpo umano, le città “nascono, si sviluppano, si trasformano, sperimentano soluzioni morfologiche, soffrono e si ammalano”, procedendo instancabilmente verso la sopravvivenza. Ma le società per definizione, non sono mai colpite da malattie mortali. Messina è una di quelle città che va curata fortificando il legame del corpo sociale verso la città, rafforzando l’idea che la città va considerata come “casa nostra” e come tale rispettata, senza delegare al prossimo il compito di farlo. Messina ha bisogno di interventi che uniscano le zone mutate di questa città, al suo centro, in una soluzione di continuità urbanistica non necessariamente lineare, ma nel rispetto delle regole che consentano ad ogni cittadino messinese, di vivere la città in ogni forma e di vivere nella città in modo civile e dignitoso.
Nicoletta Rosi