Mi rendo conto che c’è un’enorme confusione sul problema della mafia. […] I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Se non si chiarisce questo equivoco di fondo… Non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, questa è roba da piccola criminalità, che credo abiti in tutte le città italiane, in tutte le città europee. Il fenomeno della mafia è molto più tragico ed importante. È un problema di vertici e di gestione della nazione, è un problema che rischia di portare alla rovina e al decadimento culturale definitivo l’Italia
Giuseppe Fava
La cosiddetta nuova mafia, sempre se si può creare questa divisione, ha degli abiti eleganti, a volte un cappello, una ventiquattro ore e un distintivo sulle spalle. Sfoggia numerosi titoli di studio appesi alle pareti di un ufficio prestigioso ricoprendo ruoli di importanza considerevole e non si sporca mai le mani in prima persona. A volte siede in poltrone all’interno del Parlamento, altre volte fa parte del Governo e varca, senza problemi, la famosa linea invisibile che divide Stato e mafia.
Parlando con il Prefetto Trotta non potevamo farci sfuggire l’occasione di chiedergli un parallelo tra Trapani, notoriamente provincia in cui diverse famiglie mafiose risiedono, territorio che, da quello che si sospetta, dovrebbe dare rifugio all’attuale capo di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, e Messina, la presunta città babba.
Su Trapani conferma quello che è il nostro preambolo nella domanda. È una realtà molto difficile, con aree in cui la criminalità organizzata è fortemente presente, ma aggiunge anche che è una città dalle grandi risorse culturale, antropologiche e naturali, che sta cercando di staccarsi dai pregiudizi con grande fatica.
“Per quanto riguarda Messina, c’è da dire che è una realtà di gran lunga più grande di Trapani, con 108 comuni, ha una collocazione singolare, da un lato ci sono le due coste, ionica e tirrenica, e dall’altra ci sono i Nebrodi . Nella provincia messinese ci sono diverse zone particolari, come quella barcellonese o quella tortoriciana, dove c’è un radicamento mafioso notevole, zone in cui, specialmente negli ultimi tempi, le forze di polizia stanno assestando dei colpi molto duri.
Ciò che a me preoccupa nel territorio messinese è una presenza notevole di corruzione, soprattutto nell’ambito della pubblica amministrazione. Purtroppo, da questo punto di vista, non si distingue molto da altre province italiane. Bisogna assolutamente essere vigili su tali situazioni per debellare questo cancro. Un conto è la criminalità organizzata, sia pure quando agisce con mezzi all’avanguardia, che in qualche modo si può identificare anche dal punto di vista sociologico. Diverso problema sono i fenomeni di corruzione in cui sono coinvolte persone assolutamente insospettabili, che svolgono anche delle funzioni pubbliche e che, con il loro operato, inquinano il corretto andamento della pubblica amministrazione, arricchendosi con i soldi della società. “
Queste parole, dette dal Prefetto Trotta, non sono certo confortanti ma, ormai, dovremmo saperlo bene quanta corruzione c’è all’interno delle pubbliche amministrazioni, in particolare della nostra. È chiaro che se Messina è giunta a questo punto, con un piede nel dissesto e l’altro appena fuori, qualcuno ne è responsabile. Additare una sola persona, come sempre, è impossibile, sicuramente le colpe risiedono in più individui e anche, più semplicemente, nel modo di ragionare del messinese.
“Se pensiamo che questa corruzione possa albergare in quegli enti che sono di riferimento per la società, la cosa è ancora più grave. Quegli enti che dovrebbe essere stimolo e propulsione per un rinnovamento anche culturale del territorio. Se ci sono questi fenomeni allora vuol dire che intere generazioni cresceranno nell’ambiguità.
Il messinese è poco reattivo. Ha un iniziale entusiasmo e coinvolgimento nell’affrontare le cose, ma nelle fasi successive si perde, non riesce a giungere alla soluzione delle questioni. Ha bisogno di essere stimolato. Spero che ci sia una maggiore continuità nel cercare di risolvere le questioni, c’è bisogno di essere più fattivi, non si deve iniziare dai grandi progetti ma dalle cose più banali, meno importanti.”
Questa è un po’ la messinesità. Uno di quei tratti distintivi che rendono Messina una città, da alcuni punti di vista , immobile. La città babba, come l’abbiamo definita all’inizio, in cui nessuno sente, vede o parla, in cui tutti sono compari e vanno felicemente d’accordo. Come se ci fosse un tacito accordo secondo il quale tutto deve restare esattamente com’è, perché in fondo, anche se così non va benissimo, cambiando le cose potrebbe anche andare peggio.
Da qualche anno a questa parte, per fortuna, il mito della città babba si sta cercando di buttare giù: sono venute fuori importanti testimonianze, sono stati fatti numerosi arresti e le coscienze sembrano muoversi. Ne abbiamo parlato con il Prefetto, chiedendo il suo parere, in particolare, sul pagamento del pizzo.
“Il pizzo esiste certamente in tutta l’Italia centro meridionale, purtroppo questo fenomeno, così come l’usura, è un reato che non emerge. L’unica possibilità che ha di farlo è tramite una segnalazione precisa da parte di chi è sottoposto a questa ingiustizia. Ben lontano da rapine o borseggi, il pizzo è una cosa sotto traccia e quindi anche i dati che abbiamo a livello provinciale sono dei dati che non rivelano la vera ampiezza del fenomeno. Ma non per questo ci arrendiamo. Io sono convinto che questi crimini si possano sconfiggere con il contributo delle associazioni di categoria: dal punto di vista psicologico per un commerciante che sta sotto racket è più facile manifestare questa difficoltà a un suo collega piuttosto che a un agente di polizia dentro un commissariato. Le associazioni antiracket fanno da cuscinetto tra il soggetto vittima del pizzo e il corpo di polizia.
È chiaro che la paura resta tanta. Denunciare non è mai semplice e l’aiuto psicologico è una delle componenti più importanti per combattere questo fenomeno. La mafia vince quando l’uomo a combatterla è solo, allora si sente forte e potente, può sfruttarne la debolezza e la disperazione. Ma se al fianco della vittima ci sono le associazioni antiracket, lo Stato e la polizia, allora il gioco cambia.
“non è militarizzando un territorio che si ottiene una maggiore sicurezza di quell’area. Serve la presenza dello stato e delle forze di polizia ma serve anche un’azione da parte degli enti locali per il miglioramento del territorio stesso.”