Su tutto il territorio nazionale si è proceduto in questi anni al fermo giudiziario dei guidatori degli scafi che portano i migranti dalle sponde della Libia o del Marocco in Italia. Spesso autori di crimini disumani, come lasciare morire le persone trasportate per mancanza d’aria negli scafi delle carrette del mare o lasciarli macerare sino alla morte nelle sentine piene di carburante e dei suoi fumi, questi guidatori sono stati sempre perseguiti per traffico di esseri umani e incarcerati per questo.
Se questa è la prassi, particolare scalpore ha destato il comunicato congiunto della Questura e della Procura della Repubblica di Messina che hanno sottoposto a fermo giudiziario Gemin Mohamed Tahr, eritreo, 28 anni per essere stato uno dei carcerieri della migliaia di persone, uomini, donne e bambini, che lungo le sponde della Libia sono incarcerate in attesa che i congiunti possano procurarsi i soldi necessari a staccare il biglietto per la “terra promessa”.
Il comunicato come tale non può riportare le singole storie di disperazione e violenza che hanno permesso d’identificare il carceriere ma è sufficiente riportare un semplice inciso per rendersi conto che a galleggiare sul mediterraneo e lungo le nostre coste non vi è solo il corpo degli annegati durante la traversata ma anche il dolore. “I racconti resi rendono dettagli raccapriccianti circa le umiliazioni e le sevizie, percosse ed uso di scariche elettriche, messe in atto dall’uomo oggi sottoposto a fermo.” Un dolore che galleggia e come i cerchi nell’acqua fatti da un sasso gettato nello stagno, propaga il suo disagio sino alle nostre coscienze.
Un particolare procedurale di questa vicenda risiede nel fatto che il decreto di fermo è stato fatto due volte. Ed infatti i reati contestati all’Eritreo, associazione a delinquere finalizzata al traffico di esseri umani, sequestro di persona aggravato e estorsione, sono stati commessi in Libia e quindi il G.I.P. non ha potuto convalidare il fermo se prima non riceveva la richiesta del Ministero della Giustizia. Questo consentirà di perseguire anche i reati alla base del dolore che galleggia e che sono connessi al traffico di esseri umani.
“E’ stato eseguito stamani dagli agenti della Squadra Mobile il decreto di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale, su disposizione del Procuratore Aggiunto, Dott.ssa Giovannella Scaminaci e del Sostituto Procuratore dott. Antonio Carchietti, a carico di Gemin Mohamed Tahr, eritreo, 28 anni.
L’uomo è arrivato nell’area portuale di Messina lo scorso 2 agosto a bordo della nave della Marina Militare Italiana Vega, insieme a 720 migranti soccorsi in mare. A bordo della nave c’era anche il cadavere di un uomo morto per asfissia durante il viaggio dalle coste libiche.
Gravi gli indizi di colpevolezza per il ventottenne che hanno portato al fermo: le indagini effettuate dalla Squadra Mobile e i racconti resi dagli altri migranti soccorsi lo indicano come carceriere nella struttura presso cui le persone in attesa d’imbarcarsi venivano rinchiuse e torturate. I racconti resi rendono dettagli raccapriccianti circa le umiliazioni e le sevizie, percosse ed uso di scariche elettriche, messe in atto dall’uomo oggi sottoposto a fermo. Il periodo di permanenza in tale struttura detentiva sarebbe dipeso dal tempo durante il quale la somma pattuita per il viaggio verso l’Europa, circa 2.200 dollari, veniva resa ai carcerieri dai parenti dei migranti in attesa.
Gli stessi migranti sono stati poi fatti imbarcare, ammassati su natanti di fortuna. Tra coloro i quali sono stati costretti a scendere in stiva c’era anche l’uomo giunto cadavere a Messina. Gli accertamenti successivi allo sbarco ne hanno confermato il decesso per asfissia e la minore età.
In un primo momento il fermo di P.G. emesso nell’immediatezza nei confronti dell’indagato non era stato convalidato dal G.I.P. per mancanza della condizione di procedibilità della richiesta del Ministro della Giustizia per i delitti commessi in territorio libico, ritualmente sollecitata dal P.M.; in data odierna tuttavia la suddetta richiesta veniva formalizzata da parte del Ministero, determinando la nuova emissione del fermo, atteso il chiaro interesse del Governo Italiano a che si proceda contro l’indagato anche per i gravissimi reati commessi in Libia, che hanno dispiegato i loro effetti in Italia, essendo collegati al delitto di traffico di esseri umani.
Associazione a delinquere finalizzata al traffico di esseri umani, sequestro di persona aggravato e estorsione sono i reati contestati.