Sono 21 i Km che collegano San Fratello a Cesarò. 21 Km di tornanti, con pochi e brevi rettilinei e molte curve, che seguono le salite e le discese dei Monti dei Nebrodi. Un paesaggio mozzafiato che la Regione Siciliana ha deciso di tutelare tanto da farne l’aera protetta del Parco dei Nebrodi, costituito da 24 mila ettari e 25 Comuni.
Giuseppe Antoci, Presidente del Parco dal 2013, guarda l’orologio e pur essendo notte fonda lui, dopo la manifestazione che lo ha visto protagonista, deve ancora tornare a Cesarò. Chiama i ragazzi della Polizia di Stato che gli fanno da scorta e si avvia nella notte verso la macchina blindata che lo protegge. Allo stesso orario un’altra macchina della Polizia di Stato si trova sulla stessa strada che collega San Fratello a Cesarò, non sappiamo se le due auto sono collegate, sappiamo solo che è l’una di notte. Certamente non un orario d’ufficio, ma un orario di quelli dove i “cristiani” dormono e in giro si trova solo mala gente o angeli della notte. Angeli come il dirigente della Polizia di Stato Daniele Manganaro che domani, davanti ai nipotini, potrà raccontare la storia di come ha salvato un uomo.
La ss 289 è una di quelle strade buie di campagna che in Sicilia acquistano sostanza. Un nero pesante e greve che soltanto i rari abbaglianti delle poche macchine che circolano di notte riescono a interrompere per brevi momenti e per brevissimi tratti, tutto poi ridiventa di un nero assoluto di cui avere paura. Eppure, in quella notte del 16 maggio nel sottobosco si sente squillare un cellulare e poco dopo si vedono due o tre uomini che posizionano delle grosse pietre sull’asfalto.
L’attentato al Presidente del Parco dei Nebrodi è stato tutto pianificato sino alla perfezione, uno schema criminale di quelli che si leggono solo nei romanzi di Camilleri e del suo Montalbano. Ma questo non è un romanzo ma la ricostruzione il più attendibile possibile di come si sono svolti i fatti. Il primo obiettivo dei criminali era quello di riuscire a fermare la macchina del Presidente, il secondo obiettivo riuscire a fare scendere gli occupanti dalla macchina blindata sulla quale viaggiavano e solo dopo poter uccidere il Presidente Antoci. Se questi sono gli obiettivi da raggiungere per i criminali, la ricostruzione dei fatti fattane dalle fonti investigative immagina che tutto sia iniziato con una telefonata, fatta da San Fratello, che avverte che il Presidente è partito alla volta di Cesarò, i criminali che subito dopo posizionano le pietre in modo tale da rallentare o fermare la macchina blindata. E mentre la macchina rallenta gli spari alla gomma posteriore di sinistra per fermarla definitivamente, se si fosse sparato alla ruota davanti c’era il rischio che la macchina sbandasse o riuscisse a superare le pietre. La macchina doveva fermarsi proprio in quel preciso punto dove le molotov, già pronte e posizionate, avrebbero raggiunto il massimo impatto. Messe sotto l’auto o buttate sui vetri avrebbero costretto gli occupanti ad uscire e poi…
I colpi di grosso calibro ci sono andati vicino a raggiungere lo scopo. L’Agente che guidava la berlina blindata del Presidente non ha avuto scelta, da quel nero assoluto della ss 289 si è visto sbucare davanti una barriere di pietre messe a posta per fermare la macchina o rallentarla. In quel tratto la strada è accompagnata da un lieve pendio e quelle pietre potevano anche dare l’idea che potessero essere cadute naturalmente, nel frattempo partono i primi spari e l’altro agente si butta sul Presidente per coprirlo col proprio corpo. La macchina è ferma, si risponde al fuoco ma non si sa per quanto tempo si potrà resistere. E’ in quel momento che sopraggiunge la seconda macchina della Polizia di Stato. Daniele Manganaro, un dirigente della Polizia di Sant’Agata di Militello, altro comune dei Nebrodi, è preparato ed esperto e inizia a sparare quando ancora la sua autovettura è in movimento. Il buio profondo impedisci di vedere gli attentatori ma il fuoco di risposta e sbarramento delle forze di polizia è stato sicuramente efficace perché gli attentatori sono scappati e l’attentato è fallito.
Ma cosa aveva fatto il Presidente Giuseppe Antoci per subire un attentato di tali proporzioni?
La risposta ci viene data dal diretto interessato. “Abbiamo intrapreso un’azione di ripristino della legalità nei confronti dei terreni all’interno del Parco con un protocollo di legalità. Azione di legalità che ha visto anche il licenziamento dei forestali non in regola o che addirittura erano stati condannati per mafia.”
Detta in questi termini non sembra una gran cosa, ma se si pensa che questo ha significato levare i terreni del Parco alle famiglie della criminalità organizzata che li prendevano in affitto dal Demanio e li sfruttavano con ricavi illeciti di oltre il 2000%, oppure colpire gli interessi della mafia dei Pascoli, che non vuol dire colpire il singolo pastorello con le sue pecore ma un’organizzazione criminale che fattura con false attestazioni più di 3 miliardi di euro in contributi all’agricoltura rilasciati dalla Comunità Economica Europea.
Un protocollo di legalità sottoscritto tra Regione, Prefettura di Messina e Parco che ha messo un freno alle certificazioni facili dei veterinari che attestavano l’esistenza in vita di animali inesistenti oppure dichiaravano malato un’animale sano per ottenere il contributo per l’abbattimento del capo, un protocollo che ha rivisto da cima a fondo la prassi di concedere sino a 1.000 ettari di terreno a famiglie che poi con i contributi riuscivano a guadagnare sino a 500 mila euro all’anno a fronte di un canone demaniale di 50 euro a ettaro.
Terreni agricoli e a pascolo che sono il business della Mafia dei Nebrodi, tanto per dare qualche esempio nel 2016 l’Agea, l’Agenzia Regionale per le erogazioni in agricoltura, ha messo sul piatto fondi per 7 milioni di Euro e la fetta più grande di questi finanziamenti è finita proprio sui Nebrodi. I terreni che le famiglie criminali si contendono possono essere concessi in affitto dal Parco dei Nebrodi, dall’ESA- Ente Regionale agricolo- e dai singoli Comuni del Parco che sono, ovviamente, l’anello più debole.
Nasce da questo contesto la denuncia che il Sen Peppe Lumia ha fatto parlando di una guerra in atto e della collusione dei colletti bianchi. “L’attentato dimostra, ci dichiara il Senatore, che siamo in guerra e se vogliono la guerra che guerra sia. E questa guerra non è contro la mafia Antica, la mafia dei pascoli, questa è una mafia moderna che sa coniugare ferocia e violenza, come si è dimostrato in quest’attentato dove per la prima volta si è riusciti a superare la deterrenza rappresentata dall’auto blindata, con gli affari. Un mafia che opera in una dimensione regionale con la collusione di colletti bianchi utili per monitorare i terreni, stabilire quali devono essere manipolati o vincolati, truccare la carte e riuscire a guadagnarci perfino più che con la cocaina, tanto che se investi 30 euro ne guadagni 30 mila.”
“Avere aggredito la mafia dei territori, continua il Senatore, che fruttava oltre 3 miliardi di euro, aver aggredito la mafia della carni degli allevamenti e della macellazione clandestina, aver aggredito il modo dell’onorabilità, della professionalità e delle capacità dei forestali, dove ci sono molti onesti insieme ad altrettanti molti condannati per reati gravissimi di mafia, d’incendio, di droga, di armi. Avere aggredito tutti questi “affari” non toccati prima è chiaro che ha aperto un conflitto senza precedenti. Un conflitto da vincere e dove lo Stato deve mettere tutto il suo rigore, tutta la sua forza, tutta la propria energia”.
Vi è un ricatto da parte della mafia dei Nebrodi o è un tentativo d’intavolare una trattativa?
“Non vi è nessuna è possibilità di ricatto o di dialogo. Vi è solo una scelta, batterli, stracciarli e togliere loro tutti beni che hanno accumulato in questi anni. Abbattere le “istituzioni” mafiose o para-mafiose e fare del nostro territorio, a partire dai pascoli, una grande risorsa di legalità e giustizia. Altre strade non ve ne sono-“
Se queste sono le dichiarazioni dei vertici istituzionali, interessante diventa cercare di conoscere il pensiero di quegli amministratori che quotidianamente devono convivere con il crimine e l’illecito della mafia dei Nebrodi e vedere quali anticorpi stanno cercando d’inoculare nel tessuto cittadino.
Francesco Re il Sindaco di Santo Stefano di Camastra, una voce fuori dal coro.
“Vi è uno schema generale rispetto al quale lo Stato si deve riappropriare di luoghi, zone ove introdurre la legalità. Si pensi ai criteri amministrativi per il riconoscimento delle indennità di disoccupazione o al collocamento dei forestali. Se, invece, lo Stato arretra a farsi aventi sono tutte queste organizzazioni criminali che hanno in mano tutti questi Business. Io non sono stato una voce fuori dal coro perché non vi è stato un coro e questa è la cosa che più mi ha rattristato. Dopo l’attentato ad Antoci, al di là delle manifestazioni formali di solidarietà, vi è stato un silenzio assordante proprio di quelle forze istituzionali che avrebbero avuto l’obbligo di alzare la voce più forte. Chi spera di intimidire gli amministratori che sbarrano gli accessi al pascolo e al parco impedisce lo sviluppo di questa nostra terra”.
Vi è un problema Forestali?
“Grazie a Dio è un problema marginale perché oltre qualche forestale riconducibile alla criminalità organizzata, la stragrande maggioranza dei forestali è gente operosa e onesta che cerca di portare un pezzo di pane ai propri figli. In realtà, bisognerebbe intervenire sul versante degli Enti di patronato e sui loro legami con i soggetti presentatori delle domande dei contributi comunitari. Bisognerebbe intervenire sull’ordine dei veterinari per fare una vera e propria opera di moralizzazione. Bisognerebbe intervenire sui tecnici professionisti che a vario titolo certificano l’esistenza di territori inesistenti oppure di terreni appartenenti a soggetti diversi rispetto a quelli che li sfruttano per fini criminali.”
Fabio Venezia il giovane Sindaco di Troina a cui è stata assegnata la scorta.
“Prima di avere la scorta avevo del fenomeno criminale una certa conoscenza generica ma non ci saremmo mai attesi intimidazioni e minacce così gravi da necessitare un provvedimento come quello dell’assegnazione della scorta. Scorta che ovviamente ha cambiato la mia vita e quella dei mie familiari”.
A Troina vi è collusione tra mafia e istituzioni?
La mafia non può fare affari senza il sostegno della burocrazia, dei patronati e di una parte della politica che in cambio dei voti elargisce favori. Da noi, organizzazioni mafiose legate ad alcune famiglie e con la compiacenza di settori deviati della burocrazia e dei patronati, hanno ottenuto ingenti fondi comunitari che sono stati “rubati” all’agricoltura. Spese fatte non per investimenti e occupazione ma solo per fare cassa. L’attentato ad Antoci ha spostato l’attenzione da una dimensione privata ad una pubblica dove un popolo si mobilità per un battaglia di legalità e per ottenere uno sviluppo dei propri territori e un futuro per propri giovani.
A Troina per fortuna la società ha reagito a questo tentativo d’infiltrazione esterna delle famiglie legate alla criminalità ( i Galati-Giordano, i Bontempo Scavo, il clan dei Batanesi) che erano venute a conquistare i territori rurali del territorio Troinese. La reazione è stata forte e rientra in quest’ambito il provvedimento di concedere agli imprenditori agricoli contributi a fondo perduto per l’istallazione di impianti di video sorveglianza e localizzatori satellitari per i mezzi agricoli. Questo ha consentito anche con l’aiuto delle forze dell’ordine di dimezzare i reati nel nostro territorio del 90% e la pratica del “cavallo di ritorno” per cui rubato il mezzo agricolo il proprietario se voleva averlo indietro doveva pagare per la restituzione.”
E’ di questi giorni la notizia in merito agli oltre 500 incendi dolosi che hanno colpito i terreni agricoli che vanno da Palermo alla provincia di Messina. La zona più colpita è stata quella di Cefalù ma anche il Parco dei Nebrodi è stato interessato tanto che il Presidente Antoci ha parlato dell’uso di legare fascine in fiamme alle code dei gatti e poi lasciarli liberi per appiccare l’incendio al terreno.
Molti hanno subito messo la croce sopra le spalle degli oltre 23 mila Forestali che sono iscritti come precari nel libro paga delle Regione siciliana e che da decenni vanno avanti con contratti stagionali di 3 mesi, a secondo il bisogno. Altri hanno visto in questo atto d’accusa nei confronti dei Forestali un tentativo di spostare l’attenzione dai veri responsabili.
Abbiamo chiesto a Claudio Fava se gli oltre 500 incendi dolosi che hanno interessato i terreni agricoli erano una manifestazione di forza della mafia dei pascoli o una responsabilità dei Forestali.
“Se sono incendi dolosi è chiaro che servono a chiedere per ottenere, non sono solo un capriccio o un divertimento criminale. L’incendio doloso serve o a liberare il terreno da qualsiasi altra velleità organizzativa o di tutela, per destinarlo ad es. a pascolo, (vietato dalla legge che davanti ad un incendio doloso del terreno impedisce che esso sia usato a pascolo per almeno 10 anni), oppure più probabilmente servono a fare sapere a qualcuno che si attendono risposte e garanzie. La vicenda racconta una “disponibilità” all’incontro tra interessi privati e criminalità organizzata che opera nei territori agricoli. Per il resto, continua Claudio Fava, io di Forestali parlerei solo se le indagini dimostrassero il coinvolgimento di alcuni di loro, il rischio è di buttare la croce addosso a qualcuno per toglierla dalle spalle di qualcun altro”.
Sulla stessa lunghezza d’onda il pensiero del Presidente del Parco Giuseppe Antoci “Il discorso sui forestali è stato per molti versi strumentalizzato. L’azione di legalità, che ha visto il licenziamento dei forestali non in regola o che addirittura erano stati condannati per mafia, è un giusto metodo per iniziare un percorso. Però è anche vero che molti dei forestali sono persone preparate, fanno lavori importanti e hanno esperienza tanto che tramite una convenzione, noi come Parco, abbiamo utilizzato queste maestranze”.
PG@ e DS@