Niente messa a Cinisi per Peppino

Ci si riempie tanto la bocca a parlare di democrazia, ma poi viene negata una messa per ricordare Peppino Impastato nel giorno del trentaquattresimo anniversario della sua uccisione. Il parroco di Cinisi,don Pietro D’Aleo, ha ritenuto che “i tempi” non fossero “maturi”. Eppure sono passati più di tre decenni dal delitto di Peppino, che tutti oggi si affannano a ricordare in ogni modo possibile.

Da cittadina siciliana e da familiare di una vittima di mafia, che dal comunismo era lontana anni luce, mi chiedo se una decisione del genere possa essere giustificata con le parole utilizzate da Caterina Palazzolo, responsabile dell’azione cattolica della parrocchia: “La messa sarebbe stata vista male soprattutto all’interno del mondo comunista, più che dentro la Chiesa”. Mi rispondo, anche. No, non c’è alcuna giustificazione per questo rifiuto. Il no della Chiesa alla famiglia Impastato è una mancanza di rispetto, un insulto alla memoria, una negazione di dignità, un tradimento dei valori cristiani.

Mentre l’odore del sangue delle vittime innocenti è ancora vivo sotto il naso dei familiari, che siano passati cinque anni o quaranta, un parroco e il suo entourage sembrano aver dimenticato. Sembrano voler dimenticare. Forse qualcuno avrebbe dovuto spiegare a don Pietro che, se non altro, una decisione impopolare come la sua crea molta confusione nella coscienza di chi, invece, non ha nessuna voglia di dimenticare la storia e l’impegno di Peppino. Perché la storia e l’impegno di Peppino sono la storia e l’impegno di tutti quegli uomini e quelle donne che, troppo spesso, non hanno nient’altro che una messa per essere ricordati e benedetti. Glielo dobbiamo.

A parte la delusione e l’amarezza, il sospetto, terribile, è che i passi da fare per arrivare alla democrazia siano, purtroppo, ben più di cento. Almeno da queste parti.

Sonia Alfano