Correva l’anno 1987, quando -prima ancora che le denunce di Libero Grassi tuonassero dai microfoni di Samarcanda-la famiglia De Masi denunciò la ‘ndrangheta. La scelta non è stata priva di difficoltà, soprattutto quando le minacce e le intimidazioni si sono fatte più pressanti.
In questi anni Giuseppe De Masi, oggi ottantenne, ha visto bruciare sotto i suoi occhi attoniti, il frutto del suo lavoro, perché da quando la mafia si è presentata a casa sua, lui ha scelto di sbattergli la porta in faccia, non pagando nessun pizzo. “La Calabria è forse destinata a morire ma noi resteremo qui fino alla fine” dichiarava Giuseppe, negli anni novanta. Ma il cammino è stato tortuoso, lo sconforto spesso ha preso il sopravvento, come quando l’imprenditore ha deciso di chiudere i battenti, chiudendo la sua azienda. La prima in Italia a chiudere per mafia. Il danno era enorme, in una terra come la Calabria in cui l’economia era ed è perennemente messa in ginocchio e l’azienda De Masi era importante come la Fiat di Torino. Ma Giuseppe era stanco. Si Sentiva abbandonato dallo Stato e anche i suoi figli ha anno sacrificato irrimediabilmente la loro fanciullezza: “Rammento alcuni episodi al riguardo –racconta uno dei figli Nino De Masi- che riaffiorano alla mente. Episodi che danno il senso di alcune cose, come quando, con noi figli ancora piccoli, mio padre portò a casa, di ritorno dalla Fiera del Levante di Bari, che era la più importante manifestazione fieristica d’Italia, una piccola scimmietta.
Quell’animaletto era la gioia di noi cinque figli ma l’arrivo della scimmietta è stato seguito da una lettera estorsiva che diceva testualmente: “Tu hai la scimmietta e noi moriamo di fame, portaci i soldi sotto la pietra del mulino”. Mio padre lo fece, ma avvertendo prima i carabinieri che arrestarono gli estorsori con i soldi in mano. Ricordo quest’episodio come fosse ieri, anche perché in quel periodo mio padre era a letto malato, e due grandi marescialli dell’arma raccolsero la denuncia ed agirono subito. Questo è avvenuto circa 37 anni fa non al nord ma nel sud in Calabria a Rizziconi”. Tempi bui, anni in cui chi denunciava era considerato un’infame e veniva ostracizzato dalla comunità: vivendo quindi una doppia solitudine, quella creata dai propri concittadini e quella che ti creava lo stato.
Sì lo stato, perché allora davanti casa De Masi, non c’era nessuna protezione e c’erano i figli dell’imprenditore a badare alla sicurezza della loro famiglia passando intere notti sul balcone di casa o adagiando un materassino all’aperto, con un fucile sottobraccio. In questi lunghi anni, molte cose sono cambiate, anche la mafia non è più la stessa, sì è evoluta. I segni tangibili sono arrivati pochissimo tempo. Fa. Avvertimenti che non lasciano spazio ad interpretazioni: ”Il 12 aprile del 2013 qualcuno ha avuto la fantasia di spararci 44 colpi di kalashnikov – ci racconta Nino De Masi- più o meno alle 21-45, lasciando due proiettili inesplosi davanti al cancello”. Questa è la storia che ha dei risvolti drammatici perché chi conosce la fenomenologia dei fenomeni criminali riconosce che questo episodio ha dei tratti anomali. E’ difficile ricevere come primo messaggio 44 colpi di kalashnikov senza che questo messaggio sia stato anticipato da altri. Quindi dietro non c’è una richiesta di tangente ma molto altro, tenendo in considerazione che per me e per noi è difficile capire che per una tangente ti ammazzano , per 10.000-50.000 o 100.000 euro. Se il problema è di natura diversa ci si espone a un problema molto alto. Il passaggio successivo è chiaro. Per questo ero deciso a dire “basta”, ritirandoci in buon ordine. Poi ho capito che anche se legittimamente uno può avere paura decidendo di prendere le valigie e andare via da un’altra parte il mio posto è qua. Questo discorso l’ho fatto alle istituzioni e al comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico”.
Nino De Masi però ha ricevuto però in risposta alle sue parole dettate dallo sconforto e dalla paura un messaggio chiaro: “Se lei molla il territorio è perso. Lei rappresenta un punto di riferimento per la Calabria onesta. Nel nome degli interessi di questa regione non si può permettere di fare quello che vuole fare”. Nella scelta di questa famiglia è rimasta la ragion di Stato, -conclude Di Masi- perché quando guardo in faccia i ragazzi che credono nel cambiamento voglio dirgli che questa speranza non voglio strapparla”. A margine dell’incontro con l’imprenditore coraggio gli abbiamo chiesto di farci vedere quella lettera che aveva deciso di mandare agli organi di stampa quando in un momento di sconforto e paura aveva deciso di lasciare tutto. Forse, proprio queste sono le parole più laceranti: ”Voi avete vinto e noi, i lavoratori e forse lo Stato abbiamo perso assieme alla speranza di un domani migliore”.
Non sappiamo se ci sono vincitori e vinti. L’unica cosa certa è che oggi sulle spalle di Nino De Masi grava il peso della paura mentre l’esercito presidia giorno e notte casa sua.