“Siamo una marea”, una marea nero fucsia che attraversa compatta e allegra le vie di Roma, da Colosseo a Piazza San Cosimato a Trastevere. Il tutto nel segno delle donne e dei loro diritti. Roma, come tantissime altre città d’Italia e del mondo (oltre 55 i paesi che hanno aderito), ieri in occasione della giornata internazionale delle donne e dello sciopero delle donne sotto il segno di ‘NonUnaDiMeno’. Ventiquattr’ore di sciopero, sul posto di lavoro come in casa per dimostrare che senza le donne non si va avanti.
Sfilano fianco a fianco associazioni, centri antiviolenza, collettivi femministi e queer, case delle donne e singole attiviste che per un giorno hanno riportato sotto i riflettori e sotto gli occhi di tutti una quotidianità fatta di difficoltà nell’accesso ai servizi (consultori, asili nido, aborto, fecondazione assistita,etc) e ai diritti. «Eravamo un mare di gente ieri», racconta emozionata Giulia, attivista del collettivo Degender. «Mi ha molto colpito – continua – il coinvolgimento di ragazze anche piccolissime che hanno preso parola all’assemblea in facoltà per raccontare con le lacrime agli occhi esperienze personali, con tanto dolore ma evidentemente riconoscendo uno spazio protetto e degli obiettivi comuni. Credo che da molti anni, nella disillusione politica generalizzata, mancasse la passione delle persone in piazza che credono in qualcosa. È solo il punto di partenza di un percorso che deve portare alla scrittura del piano femminista contro la violenza».
Un momento e un movimento inclusivo che ingloba al suo interno e fa proprie istanze di realtà variegate e diverse, dai migranti detenuti nei CIE alle educatrici precarie degli asili passando per i licenziati di Almaviva, in nome di un welfare sostenibile e della rivendicazione di diritti sociali e umani. Il corteo, che ha rappresentato il momento conclusivo di una giornata fatta di appuntamenti e sit in sparsi per tutta la città, ha confermato le aspettative delle organizzatrici confermando la grande partecipazione della mobilitazione nazionale dello scorso 26 novembre che ha visto scendere in piazza più di duecentomila persone.
Donne di ogni età, di ogni estrazione sociale e cittadinanza in marcia contro la violenza di genere in ogni sua forma, da quella fisica a quella psicologica, sociale, economica, politica e culturale, perché, rivendicano le manifestanti, “se le nostre vite non valgono, allora ci fermiamo”. Violenza di cui il femminicidio non rappresenta che la punta di un iceberg ben strutturato fatto di discorsi e atti, simbolici e concreti, che trovano spazio dalla casa al posto di lavoro, dalla scuola all’università, negli ospedali, nei media e nei tribunali dove sempre più spesso anche le vittime diventano imputate. Non sono mancate né la presenza maschile né l’ironia e gli slogan sarcastici: “sono una donna, parcheggio meglio di te”, “se non te la do non te la prendere”.