Era il 2 dicembre 1998 quando Angelo Capodicasa, presidente della Regione Siciliana – nel mezzo di una grave crisi che si era determinata nel settore dello smaltimento dei rifiuti – scriveva al governo nazionale chiedendone l’intervento, che si concretizzava il 22 gennaio 1999 (con il decreto 2983) con la dichiarazione da parte della presidenza del Consiglio dei ministri dello stato di emergenza – a partire dal 30 giugno – con l’obiettivo di intervenire sullo stato di inadeguatezza delle discariche delegando come commissario straordinario lo stesso Capodicasa. Lo stato emergenziale, previsto originariamente fino al 31 dicembre 1999, si è poi protratto fino al 2006 con Vincenzo Leanza (2000-2001) e Salvatore Cuffaro (2001-2006) senza che però venisse rimossa nessuna delle cause che ne avevano indotto il riconoscimento.
Basta scorrere alcuni dei principali provvedimenti normativi emanati durante la fase commissariale.
Nel 2000 il Commissario straordinario, il presidente della Regione Angelo Capodicasa, incarica un comitato scientifico, guidata dal professor Aurelio Angelini, di redigere un piano per uscire dall’emergenza.
Il “Documento delle priorità degli interventi per l’emergenza rifiuti in Sicilia” (P.I.E.R.), approvato con decreto commissariale n.150 del 25 luglio 2000 [un giorno prima della fine del mandato di Capodicasa, nda], stabilendo gli interventi prioritari propedeutici al superamento del periodo transitorio dell’emergenza e al conseguimento dell’autonomia di smaltimento nell’ambito della regione, attraverso la ricognizione della dotazione impiantistica dell’isola, del flusso dei rifiuti e dei livelli di raccolta differenziata (da raggiungere), individuava e collocava nel territorio la rete impiantistica sia per la frazione umida (impianti di compostaggio) che per la frazione secca (impianti di selezione e valorizzazione).
«Nel piano avevamo scritto un’opzione molto chiara – ricorda il professor Angelini nella video-inchiesta “Costruire l’emergenza” realizzato dal regista Paolo Schembari e dal giornalista Giuseppe Croce –: “Nessun nuovo camino in Sicilia”. Il massimo che poteva accadere era che una centrale elettrica, per un quantitativo limitato di rifiuti trasformati in CDR, anziché funzionare con il gasolio, funzionava con il CDR. Noi facemmo sia il lavoro di stesura del piano, sia anche tutte le valutazioni degli scenari che bisognava andare a realizzare per rendere concreta la raccolta differenziata, compresa l’individuazione degli impianti necessari».
«C’erano anche le risorse economiche per poter finanziare la realizzazione di tutta l’impiantistica in tutta la regione: degli impianti di compostaggio, di selezione… quindi eravamo ad un passo dall’avviare il nuovo sistema».
Il piano, che ricalcava la normativa italiana ed europea non è però mai stato attuato. Il successore di Capodicasa, Vincenzo Leanza (presidente della Regione dal 26 luglio 2000 al 17 luglio 2001), revocò tutti gli atti del suo predecessore. In seguito, con l’insediamento del governo Cuffaro si cambia completamente la strategia.
L’ordinanza commissariale n.3190 del 22 marzo 2002 sostituiva la produzione del CDR [prevista dal P.I.E.R. per la frazione residuale della raccolta differenziata, nda], con la termovalorizzazione della frazione secca.
La gara per i termovalorizzatori – 5 miliardi di euro la spesa prevista – fu indetta nell’agosto 2002 e aggiudicata nel 2003 a quattro società consortili: Tifeo, Platani e Pea, controllate dal gruppo Falck-Actelios attraverso Elettroambiente, e Sicil Power, controllata da Daneco e Waste Italia. Gli impianti, progettati per una potenzialità di 2.604.410 tonnellate/anno di rifiuti “tal quale”, pari alla quantità di rifiuti prodotti nell’Isola, vengono ubicati nei Comuni di Casteltermini/Campofranco (Ag), Palermo (Bellolampo), Augusta (Sr) e Paternò (Ct).
Il progetto si arenerà nel luglio 2007 con l’annullamento della gara da parte della Corte di giustizia di Lussemburgo perché non conforme alle norme europee. Su questi termovalorizzatori c’è inoltre un’inchiesta della procura di Palermo avviata sulla scorta di un dossier giudiziario trasmesso nel 2008 dalla procura di Bolzano che indagava su un giro di tangenti. Il procedimento penale è pendente ancora in fase d’indagine. Alcune delle quattro società che erano entrate nell’affare dei primi quattro impianti sono state indagate per associazione mafiosa.
Di Cuffaro si ricorda anche lo scandalo della costituzione, nel novembre del 2002, di ben ventisette Ato, gli Ambiti territoriali ottimali che, infarciti di impiegati e consulenti molto ben pagati, negli anni avrebbero contribuito a produrre più di un miliardo di euro di debiti. In deroga alla previsione della normativa nazionale, mentre in tutta Italia venivano istituiti dai comuni attraverso i consorzi, in Sicilia – dove adesso sono commissariati in attesa di liquidazione – erano società per azioni: un escamotage per evitare i controlli e le regole di trasparenza a cui devono sottostare gli enti operanti nel settore pubblico.
Cuffaro trasformerà la struttura commissariale in Agenzia regionale per i rifiuti e le acque (Arra), gestita dal fedelissimo Felice Crosta [noto alle cronache per lo scandalo della pensione da quasi 500 mila euro all’anno, nda] che assorbe tutte le competenze che erano prima dell’assessorato al Territorio e ambiente e poi del commissario straordinario.
Raffaele Lombardo, subentrato nel 2008 al dimissionario Cuffaro – coinvolto nell’inchiesta che lo ha portato alla condanna per mafia – dopo aver inizialmente difeso i quattro megainceneritori, annulla la gara bandendone una nuova, sempre per quattro impianti. L’asta andò deserta per una clausola che imponeva al vincitore l’implicito risarcimento dell’aggiudicatario precedente. L’emergenza rifiuti, formalmente cessata nel 2006, di fatto è arrivata fino al 2009 quando Lombardo scioglie l’Arra.
Nell’aprile del 2010, in seguito al fallimento definitivo del “progetto inceneritori”, l’assessore regionale ai rifiuti Pier Carmelo Russo porta all’Assemblea regionale siciliana la legge 9/2010 in sintonia con il piano scritto nel 1999 durante il primo commissariamento. La legge, approvata a larghissima maggioranza, riorganizzava il settore prevedendo il passaggio dalle ATO alle nuove società per la regolamentazione del servizio di gestione dei rifiuti (SRR).
Nel luglio 2010 il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi emana un’ordinanza di protezione civile che nomina Raffaele Lombardo commissario straordinario per l’emergenza rifiuti. L’ordinanza prevedeva che Lombardo potesse usufruire di ampie deroghe alle leggi compresa la stessa legge 9/2010.
Tra il 2010 e il 2012, abbandonata l’idea di realizzare i termovalorizzatori, la Regione ha autorizzato circa 11 milioni di metri cubi di discariche fondamentalmente a quattro soggetti privati, cioè 3 milioni di metri cubi alla Oikos, 3 milioni di metri cubi alla Sicula Trasporti, 2 milioni di metri cubi alla Tirrenoambiente e 3 milioni di metri cubi alla Catanzaro Costruzioni.
«Dopo due anni e mezzo dall’emanazione di questa legge e dalla dichiarazione dell’emergenza, a fine 2012, non ho timore di essere smentito – ha dichiarato l’ex dirigente generale del dipartimento della Regione siciliana delle acque e dei rifiuti Marco Lupo nella sua audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti – affermando che non era stato fatto nulla di concreto né per l’attuazione della legge, né per la realizzazione degli obiettivi previsti nella dichiarazione di emergenza.
Nessun impianto pubblico era stato realizzato, né ne era stata avviata la realizzazione, nessuna SRR era stata costituita, nessun piano d’ambito predisposto da parte di queste SRR, nessuna attività era stata realizzata su Bellolampo né per quanto attiene la messa in sicurezza delle vecchie vasche, né per quanto attiene la nuova discarica da realizzare, come previsto dall’ordinanza della Presidenza del Consiglio di dichiarazione di emergenza, tanto che dopo circa tre mesi dal mio insediamento la discarica è stata sequestrata e ne sono stato nominato custode.
Basti pensare che il punto di partenza dell’emergenza del 2010 era la redazione di una sorta di piano rifiuti che avrebbe dovuto essere realizzato durante l’emergenza. Questo piano è stato approvato dal Ministero dell’ambiente a fine 2012, praticamente con la chiusura dell’emergenza, quindi non poteva essere realizzato un piano approvato quando l’emergenza è sostanzialmente finita!».
Nel dicembre 2014 – scaduta l’ennesima proroga al 30 giugno dello stesso anno – il presidente della Regione Rosario Crocetta ha nuovamente chiesto i poteri speciali per l’emergenza rifiuti. Poteri che però gli sono stati negati con la buona motivazione che la Sicilia sono anni che commissaria il trattamento dei rifiuti con risultati fallimentari.
Un’esperienza fallimentare certificata dalla Corte dei Conti siciliana nella sua relazione sulla spesa pubblica nel periodo dal 1999 al 2005, dove sono stati spesi 209 milioni di euro, dei quali un quarto (40 milioni ) destinati al solo mantenimento burocratico della struttura commissariale e un terzo (60 milioni di euro ) sono serviti per il mantenimento delle discariche.
L’istituto del commissariamento si è dimostrato fallimentare poiché non è riuscito ad assolvere il compito per cui era nato, quello di uscire dall’emergenza e attivare un effettivo ciclo integrato dei rifiuti. L’emergenza è divenuta la condizione “naturale”, stabile e ordinaria del sistema, la proroga dei poteri straordinari ha trasformato in ordinari strumenti legislativi e compiti che avrebbero dovuto avere un carattere straordinario e temporaneo.
Un sistema che ha determinato la distruzione di ampie fette di territorio, violentate e inquinate a tal punto che a rischio oggi sono le principali falde acquifere dell’isola. La munnizza ha ingrassato mafie, burocrazie, imprenditori e politici, ha distribuito appalti e consulenze: soldi e lavoro gestiti in maniera clientelare.
Numerosi gli atti d’accusa prodotti dai vari organismi nazionali ed europei sul sistema siciliano.
Nel 2014 il rapporto Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha cristallizzato un quadro allarmante: in Sicilia il 93 per cento dei rifiuti prodotti viene buttato in discarica, mentre la raccolta differenziata è al palo, le strutture predisposte per il trattamento dei rifiuti non esistono. Oltre un decennio di poteri commissariali si è spesso risolto nell’apertura o nell’ingrandimento degli invasi. Alla fine si sono contate seicento discariche ex articolo 13, cioè siti di emergenza dove s’è scavata una buca interrando i rifiuti: col risultato di ottenere tante “bombe ecologiche”, mai bonificate.
Più recentemente l’attuale presidente della Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, Alessandro Bratti ha evidenziato come nel settore dei rifiuti solidi urbani in Sicilia ci sia un disordine organizzato con un «sistema ordinario della raccolta che non va da anni, c’è una situazione di emergenza non dichiarata e, dagli elementi raccolti dal 2010 a oggi non ci sono stati cambiamenti».
Tutta la regione è in forte ritardo con la raccolta differenziata. Sono solo due gli impianti di compostaggio funzionanti, senza i quali non ha neanche senso parlare di raccolta differenziata, mentre altri due – come denunciato da Presa Diretta – marciscono abbandonati dopo essere costati complessivamente 7 milioni di euro. E così sulle autostrade siciliane è un via vai di autocompattatori che macinano centinaia di chilometri al giorno per scaricare nelle discariche della regione. Discariche tutte private – l’unica pubblica è quella di Palermo – altamente inquinanti con un volume di affari di miliardi di euro per i “signori della munnizza”.
Non è un caso che la Sicilia sia l’unica regione a non essersi dotata di un Piano Rifiuti, unico strumento atto a prevenire l’emergenza, e l’unica strada che pratica è quella che va dal cassonetto alla discarica ma, dichiarazioni di Rosario Crocetta, sembra che a giugno 2016 [cioè adesso, nda], le discariche saranno sature e il “sistema” rischia di collassare davvero e per risolvere il “problema” qualcuno pensa al costoso trasferimento in altre regioni (se non addirittura all’estero) della nostra munnizza [ipotesi prevista dal decreto Sblocca Italia, nda] o alla sempreverde termovalorizzazione.
E la cronaca di questi giorni dimostra come la storia si stia ripetendo, nella stessa identica drammaticità.
«È necessario proclamare lo stato d’emergenza per i rifiuti in Sicilia per evitare una situazione disastrosa».
È quanto riporta la nota del presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, inviata alla presidenza del Consiglio, al ministero dell’Ambiente, all’Autorità anticorruzione, per rappresentare la grave situazione in merito al conferimento dei rifiuti a partire dal 1 giugno.
Nella nota viene specificato che «sono in corso una serie di interventi per adeguare l’impiantistica regionale destinata al conferimento dei rifiuti, alle norme che regolano la materia».
Secondo il presidente della “rivoluzione” sarebbero «in corso di completamento impianti di compostaggio, trattamento e valorizzazione mentre per altri impianti si stanno avviando le procedure. Ad oggi è stato possibile conferire in alcune discariche, sulla base di specifiche ordinanze della Regione in base all’articolo 191 del dlg 152/2006, ma dal 1 giugno non sarà più possibile utilizzare tali prerogative di legge. Ci si troverebbe di fronte a un paradosso – continua Crocetta – aver avviato una serie di interventi finalizzati alla messa in esercizio dell’impiantistica necessaria al conferimento e per i ritardi del passato non poterne usufruire, creando per metà del territorio siciliano una situazione insopportabile, una vera e propria emergenza sanitaria.
Conseguentemente la giunta regionale ha deliberato la richiesta di stato di emergenza per un periodo di 6-12 mesi al fine di «proseguire l’esercizio delle discariche esistenti nel territorio regionale sulla base di quanto già disposto con le ordinanze del Presidente della Regione siciliana; potenziare la capacità, entro i limiti di legge, degli impianti di compostaggio in esercizio nel territorio della Regione siciliana; ridurre la tempistica per la realizzazione degli impianti, sopratutto quelli dedicati alla raccolta differenziata, previsti dal “Piano stralcio per l’attuazione degli interventi per l’implementazione impiantistica”; attivare ogni strumento utile per il conferimento dei rifiuti».
Secondo Crocetta «con una deroga limitata nel tempo, si potrebbe evitare una situazione disastrosa per i cittadini e adeguare gli impianti alla normativa nazionale ed europea. Il governo sta inoltre predisponendo una nuova legge sui rifiuti che dovrebbe essere pronta nell’arco di dieci giorni. Non rivendico alcun potere speciale – dice ancora il presidente – il governo nazionale può affidare l’eventuale commissariamento a chi ritiene più opportuno, ma certamente non è responsabilità dell’attuale governo regionale la situazione emergenziale determinatasi nelle discariche siciliane se si tiene conto del conflitto sui termovalorizzatori, conclusosi solo alla fine del 2015, dell’assenza di interventi per l’adeguamento degli impianti regionali da parte di tutti i governi precedenti e che solo il nostro governo ha attivato la realizzazione di impianti per il trattamento e il compostaggio, destinando risorse, avviando le gare e i lavori».
«Sicuramente non era possibile però superare gli annosi ritardi precedenti e soprattutto il mancato utilizzo della gestione commissariale dei precedenti governi, che non hanno provveduto – conclude – né a realizzare impianti pubblici, né ad adeguare le discariche alle normative».