di Claudia Fucarino
La Paleapolis, l’antica città Fenicia, era un tempo circondata da due dei maggiori fiumi urbani: il Papireto – che attraversava l’antico quartiere degli Schiavoni dove si trova il mercato del Capo – e il Kemonia – che attraversava l’antico quartiere della Giudecca, dove oggi è visibile la Via Calderai. Esattamente ai lati dei due fiume sono ancora oggi presenti le Catacombe paleocristiane: la catacomba di Porta d’Ossuna nel Transpapireto e la catacomba di San Michele Arcangelo alla Biblioteca comunale nel transKemonia.
Essi sorgevano nei pressi dei fiumi che, per via della presenza dell’acqua, rendeva la pietra duttile e di più facile lavorazione.
Questi antichi complessi cimiteriali ipogei attestano il ruolo svolto dal Cristianesimo nella città di Palermo. L’ubicazione sotterranea testimonia, infatti, l’origine turbolenta della religione cristiana, accettata con l’editto di Costantino nel 313 d.C., ma di fatto professata liberamente solo nel 380, con l’editto di Tessalonica che renderà il Cristianesimo, durante l’impero romano, la religione ufficiale di Stato.
É, pertanto, errato pensare che esse fossero luoghi destinati a nascondiglio contro le persecuzioni romane, credenza dovuta alla presenza sotterranea e misterica della sepoltura. É reale, invece, che la sepoltura sotterranea garantiva sia una sorta di rispetto del culto e di chi lo praticava che un istinto di auto-conservazione verso i trapassati.
La catacomba di Porta D’Ossuna, scoperta nel 1739 durante i lavori di costruzione del Convento delle Cappuccinelle, si trova a Nord-Ovest della depressione naturale del Papireto. L’ingresso attuale, in Corso Alberto Amedeo 110, è decorato da un sobrio portale realizzato sotto il regno di Ferdinando I di Borbone, come si legge nell’iscrizione posta a coronamento dell’architrave. Questo ingresso è postumo; quello originale, che presentava una doppia rampa gradinata, era a Sud-Ovest della catacomba, esattamente sulla via Pierpaolo Pasolini.
Oltrepassando il portale d’ingresso, un vestibolo circolare realizzato anch’esso nel 1785, permette al visitatore una prima sosta. Qui alcune planimetrie e pannelli didattici, realizzate dal Prof. Amedeo Tullio, Ispettore per la Pontificia Commissione di Acheologia Sacra delle Catacombe della Sicilia Occidentale, permettono una più facile lettura del monumento.
Dalle mappe essa risulta più ampia di quanto è oggi visibile. L’iniziale costruzione cinquecentesca dei Bastioni delle Balate, visibili su Corso Alberto Amedeo, e le successive fabbricazioni in calcestruzzzo armato, hanno via via mutiliato l’antico ipogeo, le cui diramazioni giungevano sino all’attuale mercato del Capo. Anche gli ingressi alla catacomba, essendo essa un luogo pubblico e pertanto accessibile da chiunque, erano certamente di numero maggiore rispetto a quelli attuali.
Entrando nella catacomba l’organica distribuzione degli spazi, l’ampiezza degli ambulacri e la monumentalità dei cubicoli attirerà immediatamente l’attenzione del fruitore e delle fruitrici. L’impianto planimetrico della catacomba presenta, infatti, un Decumano dal quale dipartono una serie di gallerie, orientate in senso Nord-Ovest. All’incrocio degli assi si sviluppano, verso l’alto, alcuni lucernari che avevano, un tempo, lo scopo di garantire l’aerazione e la luce. Inoltre era consuetudine realizzare la catacomba sotto giardini ricchi di aromi e fiori, così da permettere l’ingresso di aria profumata. Il giardino, sotto cui è nascosta la catacomba, è visibile su via Pasolini anche se oggi versa in un totale stato di abbandono.
Lungo i corridoi vi sono numerosi arcosoli, polisomi e cubicoli a trifora. Gli arcosoli sono sepolture incassate in nicchie con aperture ad arco; i polisomi, sono arcosoli con più archi e una disposizione a gradini atti ad accogliere più corpi; i cubicoli sono invece delle vere e proprie camere da letto a pianta quadrangolare con tre arcosoli detti a trifora. Sulle pareti vi sono inoltre numerosi loculi e incavi di piccole dimensioni: alcuni per accogliere corpi ed altri per allocare lucerne e offerte dei parenti.
Altri loculi sono posti a terra lungo i corridoi della catacomba.
Le lastre tombali erano realizzate in malta e tegole di terracotta. Solo sporadicamente furono utilizzate lastre di marmo, difficili da reperire in Sicilia. Sulla lastra veniva inciso il nome del defunto, l’età e la data di morte. Spesso, però, a causa dell’analfabetizzazione e della scarsa illuminazione, che rendeva ardua la lettura, le epigrafi erano simbolicamente abbellite con corredi funerari, composti da oggetti di uso comune del defunto – come utensili, attrezzi o bamboline in terracotta per le bambine – che avevano il preciso scopo funzionale di rendere riconoscibile la tomba.
Del corredo funerario presente nella catacomba di Porta d’Ossuna non è rimasto quasi nulla, solo un’iscrizione riferita ad una bambina, rinvenuta nel XVIII secolo e oggi custodita all’inetrno del Museo Archeologico Regionale “Antono Salinas”. Lo stato di abbondono (circa 1300 anni), i ripetuti trafugamenti, causati dalla non curanza, il deterioramento climatico dettato dalla forte umidità e le spoliazioni eseguito durante i secoli passati – come per le presunte lastre di marmo, poste a chiusura, che venivano anticamente riutilizzate, per la realizzazione di successivi edifici che per la creazione della calce – hanno del tutto distrutto ogni altra traccia di corredo funerario.
L’umidità del luogo ha inoltre spazzato via l’intonaco. Solo all’interno di un cubicolo rimane, inspiegabilmente visto la forte umidità, qualche traccia di color bianco e di colore rosso. Era usanza, infatti, quella di decorare i cubicoli con delle immagini cristologiche e simboliche, come pesci, pavoni, fenici e l’immagini del buon pastore.
La stanza del Refrigerium, che consrva ancora il particolare basamento o mensa trapezoidale, si trova a sud-ovest del monumento, esattamente a sinistra dell’antico ingresso principale su via Pierpaolo Pasolini.
I riti del Refrigerium, contenuti nel culto dei morti tipico delle società antiche, prevedevano una serie di atti rituali svolti dai parenti in ricorrenze prestabilite per ricordare e onorare la memoria del defunto o del martire. Il rito si collega all’uso pagano che prevedeva il ristoro dell’anima, per la sua beatitudine eterna e la sua intercessione (refrigerare, nel senso di dare sollievo e ristoro fisico e spirituale).
La catacomba non era, infatti, un luogo di culto ma un luogo pubblico, dove i parenti pregavano e ricordavano il caro estinto. Questi riti, che prevedevano anche la consumazione di pasti, si svolgevano in questi luoghi di sosta, che erano corredati da pozzi per attingere l’acqua, triclini e mense in pietra come appoggio per consumare i banchetti.
Nei pressi del Refrigerium è visibile un butto, adesso tompagnato. I butti erano degli pozzetti ipogei atti a ricevere ogni genere di avanzo della vita domestica, da frammenti di terracotta a ossa animali e fossili: dei veri e propri immondezzai del tempo, che risultano ancora oggi di grande utilità, soprattutto per gli archeologi, al fine di studiare e scoprire le usanza dei tempi.
I butti presentano la particolare forma ad imbuto con la bocca stretta come un pozzo, come quello presente nella catacomba, e sorgono spesso su cavità preesistenti, come pozzi prosciugati e cave ad imbuto.
Durante i bombardamenti della II Guerra Mondiale, le catacombe accolsero, numerosi sfollati che, come attestano le fotografie dell’Archivio Scafidi, utilizzarono impropriamente la catacomba come ricovero antiaerei.
Sulle sponde dell’antico fiume Kemonia, sotto la chiesa di San Michele Arcangelo sorge la catacomba di San Michele Arcangelo che tratteremo nel prossimo articolo.
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