Provate a digitare sulla vostra pagina internet il sito aadcalabria.com – mi raccomando, a-a-d Calabria. No, non “ada”, che è l’associazione dei direttori di albergo, e che il vostro motore di ricerca vi suggerisce perché non trova il sito da voi digitato. Vi chiederete perché cercare un indirizzo web che non esiste.
La risposta è che a quel sito corrispondeva una delle realtà culturali più fertili di una regione – la Calabria – fanalino di coda dell’economia, infestata dalla criminalità organizzata e dal malcostume, la Calabria dell’eterna incompiuta, l’autostrada del Sole, simbolo dell’arretratezza morale e culturale del Sud.
Quella Calabria che adesso si indigna perché i giornalisti parlano solo di morti ammazzati e che organizza eventi culturali e sagre per valorizzare i suoi prodotti tipici, aveva una delle migliori venti scuole di recitazione del mondo. Ce l’aveva, e ha permesso che chiudesse nel 2009, dopo quasi trent’anni di storia.
Palmi, un territorio difficile e controverso ma che è anche chiamata la “terrazza sullo Stretto” per la sua costa meravigliosa, era la città del cinema e del teatro con la sua Accademia di Arte Drammatica della Calabria – A-a-d, per l’appunto. Un istituto che ha sfornato talenti, da Peppino Mazzotta (il Fazio di Montalbano, la fiction televisiva campione di share nata dalla penna di Andrea Camilleri), a Giovanni Muciaccia (ha raggiunto la fama come conduttore di Art Attack, ma in teatro ha recitato Euripide, Brecht e Pirandello) al regista Francesco Saponaro (uno dei giovani più talentuosi della scena italiana), solo per citarne alcuni.
Annalisa Insardà – attrice, doppiatrice, insegnante di recitazione teatrale all’Istituto Aniene di Roma – è uno dei tanti talenti usciti da quell’Accademia. «Che dire… Un’esperienza unica! Nonostante si faccia fatica a credere che in una regione disastrata come la Calabria ci possano essere realtà culturali e formative notevoli, è così! Ci sono state» racconta.
Trent’anni di storia, di onorata carriera; ma perché sono stati buttati via?
«Evidentemente per una gestione forse troppo allegra dell’Accademia, ma non è questo il punto di discussione. La scuola, quando io ero in corso, era una delle 20 migliori del mondo. Qualche articolo, di non ricordo quale giornale, recitava questo. E credo sia vero».
Cosa la rendeva così importante?
«L’offerta formativa è stata variegata, alta, di spessore e sempre mutevole. È chiaro che per una giovane studentessa di 18 anni misurarsi con infiniti pensieri per un unico concetto è stata dura, ma questo mi ha aiutato a comprendere la molteplicità degli spunti critici, la necessità di punti di vista differenti per creare una propria personale sintesi che poi rappresenterà il percorso che si seguirà nell’evolversi della carriera».
E qual era il suo più grande difetto?
«Non è stata utile, l’Accademia, in ciò che si chiamerebbero “sbocchi occupazionali”, ché non ci ha mai indicato un sentiero, non ci ha mai messo in luce e promossi nelle realtà teatrali italiane, questo il limite! Ma i maestri sono stati, a parer mio, all’altezza del loro ruolo, e il piacere di apprendere da quelle voci, da quelle esperienze (fatte le debite eccezioni ovviamente) è stato stimolante e galvanizzante. Come Accademia a vasto raggio di intervento nel territorio teatrale italiano non è stata utile affatto, ripeto. Ma come Accademia in senso stretto, nel senso della formazione, nel senso degli stage all’estero con maestri di calibro internazionale, è stata impeccabile. Io la consiglierei, se ci fosse ancora».
Già, se ci fosse ancora.