Sarà stato contento, Paolo Ruffini, quando ha ricevuto l’invito di Valeria Fedeli, ministra dell’Istruzione, per presenziare ad un incontro con gli studenti per parlare di bullismo e presentare il progetto “il Manifesto della comunicazione non ostile“. Cosa organizzare per coinvolgere più studenti possibili? Uno streaming! E con numeri importanti: ben 20 regioni, circa mille scuole e almeno 30mila studenti collegati in streaming in contemporanea a Milano, Trieste, Cagliari e Matera. E lui, Paolo Ruffini, a parlare in mezzo ad altri ragazzi nell’Unicredit Pavillon di Milano. Il comico livornese, nell’incontro avvenuto due giorni fa, ha provato a catturare l’attenzione degli studenti sfoderando il suo repertorio di risate e freddure, ma generando perplessità e polemiche.
La notizia, raccontata così, potrebbe anche finire in mezzo a tutte le altre: in fondo, i progetti contro il bullismo nelle scuole sono ormai all’ordine del giorno. Se non fosse, però, che i docenti sono rimasti a dir poco perplessi rispetto alla performance di Ruffini: una sequela di parolacce e atteggiamenti (nei confronti degli studenti e degli stessi docenti) velatamente di sfottò.
Ma facciamo un passo indietro. Il nocciolo dell’incontro doveva essere l’hate speech, cioè quella pratica linguistica usata soprattutto tra gli adolescenti per generare “guerre mediatiche”, dette flame war. Il MIUR (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) avrebbe voluto lanciare, pensando che fosse più facile farlo con l’aiuto di Paolo Ruffini, il “Manifesto della comunicazione non ostile”: un documento da adottare in tutte le scuole, volto a combattere alcune delle forme tipiche del bullismo.
Ad un certo punto, però, durante l’incontro, alcuni docenti in collegamento da Trieste si sono rivolti all’assessora all’Istruzione del Friuli Venezia Giulia, Loredana Panariti, affinché potesse intervenire. Risultato: la scuola di Trieste ha deciso di interrompere, per circa 15 minuti, il collegamento.
“Le sue parole (quelle di Paolo Ruffini, ndr) mi sembrano fuori luogo – ha precisato l’assessora – perché se vogliamo fare un passo avanti non possiamo esprimerci in questo modo. C’è una relazione tra le parole e gli atti. Non tutte le parole portano agli atti, ma tutti gli atti sono preceduti da parole. Anche quest’esperienza farà capire ai nostri ragazzi che le parole sono importanti“. E relativamente ai presunti atteggiamenti di poca carineria che il comico avrebbe avuto nei confronti di qualche studente (ed anche di qualche docente, incluso il preside), ha così chiosato: “In un momento in cui si scrive molto, anche in rete, è importante ragionare sulle parole giuste sulle parole che creano ponti, che mettono le persone in relazione e anche sulle parole del conflitto. Si può discutere sulle proprie idee anche in maniera forte e radicale, senza però ferire e offendere nessuno“.
Dal canto suo, durante l’incontro, Paolo Ruffini ha ritenuto di adoperare un certo linguaggio e una certa modalità per entrare in sintonia con i ragazzi che lo ascoltava: “Non fatemi dire parolacce perché ci sono questi signori in giacca e cravatta che non vogliono dica parolacce, ma mi sembra assurdo non dirle perché voi le dite“. “Chiedo scusa – ha continuato il comico – alla suora, al preside e alle istituzioni, al ministro, a tutti, ma fatemi dire le parolacce. Fatemele dire“.
La conclusione di questo incontro, che ha fatto discutere più del bullissimo in sé, è racchiuso in un interrogativo: si può parlare di hate speech, cyberbullismo da tastiera, bullismo in genere attraverso linguaggi e atteggiamenti che, certamente mossi in buona fede dal comico livornese, hanno generato comunque tante perplessità? I giovani studenti spesso vengono sospesi da scuola proprio per “certi” linguaggi e “certi” atteggiamenti, che – secondo l’opinione dei docenti – sono stati in qualche modo ricalcati dall’incontro con il comico livornese. Incontro voluto dalla scuola e quindi legittimato dalla stessa.