PARIDE MARGHERITI, UN ALTRO NO ALLA MAFIA

Paride Margheriti. Un altro giovane imprenditore vittima della mafia, dell’usura, del racket. Un’altra vita rovinata per il coraggio di dire di no, per non aver accettato, per aver rifiutato il silenzio. Un’altra storia fatta di rifiuti e solitudine. Ma non per molto. L’appoggio di quanti, come lui, hanno vissuto e vivono l’equilibrio precario di chi ha coraggio, si sente e si farà sentire. In attesa dell’incontro di giovedì 21 maggio con il prefetto di Brindisi in compagnia di Valeria Grasso, testimone di giustizia e presidente dell’associazione ‘Libertà e Legalità’, Paride si racconta a ilcarrettinodelleidee.

A circa due anni dal momento in cui decide di indossare un microfono per denunciare i propri aguzzini, Paride non è scappato, non è andato via. La sua vita rimane ancorata a un paese che sembra avergli voltato le spalle. Erchie, a 3 km da Torre Santa Susanna, nel brindisino. Un territorio meno discusso di altri, ma non per questo meno brulicante di criminalità. Il silenzio che lo avvolge consente alla mafia di crescere indisturbata, di espandersi e rafforzarsi nell’ombra. Come un humus protetto da un fitto sottobosco, la mafia locale gemina intrighi, relazioni. E questa realtà ha un nome: sacra corona unita, una delle mafie più crudeli e spietate. Fondata dal boss Pino Rogoli il cui paese, Mesagne, è a soli 7 km da quello di Paride. Un sistema ben organizzato, indisturbato, che vive un’espansione fatta di relazioni con un’organizzazione dal nome ben più noto: cosa nostra. Le dichiarazioni di Cataldo Motta, procuratore capo della DDA di Lecce, confermano il consenso goduto dalla sacra corona unita da parte di cosa nostra, la cui presenza è quasi tangibile. Ed è contro questa realtà che Paride si è trovato a dover combattere. Ci racconta: “uno dei miei aguzzini è il cognato di Francesco Campana, il capo clan dei Rogoli Campana, uno dei peggiori del territorio”. Paride conosce bene i suoi nemici, e continua: “La sacra corona unita, proprio perché se ne parla troppo poco, stesso errore che si fece per cosa nostra e per la ndrangheta, si è rafforzata in maniera abissale, con rapporti fortissimi con cosa nostra.  Basti pensare che la ‘dama di compagnia’ di Totò Riina, è un certo Lorusso, uno dei boss della sacra corona unita.” Come a dire che la mafia siciliana, non avendo più appoggio da ndrangheta e camorra, cerca altrove nuovi agganci. Agganci che si palesano nella quotidianità di queste ‘famiglie’. Casualità vuole che il brindisino, nello specifico San Pancrazio Salentino, accolga l’attuale residenza della figlia di Totò Riina. Altra casualità vede la moglie di Riina, Nina Bagarella, approfittare della visita alla figlia per andare a trovare la moglie di Rogoli. Legami ben consolidati e curati attentamente da relazioni pubbliche, fatte di visite e gesti di circostanza. Come a voler mantenere rapporti di buon vicinato.

E Paride continua a vivere qui, in questo territorio pericolosamente brulicante, in un continuo altalenare tra minacce e denunce. Dopo l’obbligata chiusura della sua attività, è senza lavoro. Uno dei suoi due aguzzini, entrambi arrestati e liberati due volte per ‘errori procedurali’, continua liberamente il proprio ‘business’, espandendosi  ed aprendo nuove attività. L’altro, da quanto emerso da alcune dichiarazioni, sembrerebbe essere attualmente in carcere per altri reati sempre di stampo mafioso. “Vivo in un territorio in cui l’usura e il racket nell’ultimo anno sembrano essere pari a zero. Su tre milioni di  abitanti ci sono state solo 3 denunce nel Salento”,  ci racconta, con il tono amareggiato di chi conosce una realtà ben diversa dall’apparenza.  “Dopo quelle denunce, – continua – non ho avuto né protezione né una reale tutela. Mi è stata assegnata solo una blanda sorveglianza, consistente nel passaggio di un’auto dei carabinieri lungo la strada antistante la mia abitazione”. Il tutto, nonostante i numerosi atti intimidatori seguiti alle denunce: auto incendiate, lettere minatorie contenenti proiettili, cassonetti incendiati. Ultimo, ma non per importanza, il furto dell’auto con cui si sarebbe dovuto recare a Taranto, in occasione del concerto del primo maggio, in compagnia del cantautore Marco Ligabue e di altri partecipanti alla tournée antimafia ‘Il silenzio è dolo’. Paride si sente abbandonato, quasi come se quanto subito non sia sufficientemente grave da essere preso in considerazione. “Ho avuto un contatto con il FAI, federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane, in Puglia – ci racconta – ma devo dire che non c’è stato un bellissimo rapporto con tutti. Vista la presenza di associazioni del FAI più attive sulla carta che sul territorio,  abbiamo quindi deciso di creare un’associazione autonoma, presente da quasi due anni, l’ Associazione Antiracket Antimafia”.

Come a dire ‘chi fa da sé, fa per tre’. Ma Paride non può affrontare questa tempesta da solo. Da quando ha perso il lavoro, vive grazie al supporto del padre, rimasto anch’egli solo dopo la morte prematura della moglie, un anno e mezzo fa, in concomitanza con la chiusura dell’attività del figlio. Un figlio che si sente in parte responsabile: “ho perso mia madre in una settimana, – ci confida – e non me lo perdono perché ha sicuramente inciso la situazione che si era creata in famiglia a seguito della mia esperienza”. Alla domanda in merito all’esistenza di una signora Margheriti, Paride ci risponde: “fortunatamente non ho né moglie né figli”. Un uomo che si sente fortunato ad essere solo, perché non ha il peso di altre vite da proteggere e tutelare. Deve temere solo per se stesso, senza la paura che ciò che prova lui, possa essere indirettamente vissuto da altri. Una condizione in cui essere solo, paradossalmente, aiuta. “Vivo una fase di profonda difficoltà anche dal punto di vista lavorativo. Alla crisi tangibile sul territorio, si aggiungono le difficoltà legate all’essere testimone di giustizia” continua Paride, con un tono che unisce malinconica rassegnazione a una disperata speranza di rivalsa: “ho deciso di rimanere qui, di fare antimafia qui e di combattere, di metterci la faccia e di rischiare del mio. Non ho null’altro da perdere. Al momento provo a risollevarmi. Ho dei progetti in mente, che spero di poter realizzare o, almeno, spero di avere la possibilità di provare.” Ma le battaglie combattute da soli non hanno grandi speranze di vittoria, a meno che non ci si trovi su un set cinematografico. E Paride si sente solo, o meglio, lasciato solo. Abbandonato dal suo Paese, dalla sua Regione: “Dalle istituzioni, ho ricevuto una solidarietà fatta solo di parole. A cominciare dalla Boldrini, per continuare con i parlamentari locali. La politica del territorio non ha mai fatto discorsi a mio favore, non è mai intervenuta.”

Se da una parte c’è una solidarietà “fatta di parole, telefonate e sms”, dall’altra c’è chi la solidarietà, quella vera, la manifesta con i fatti. Sono coloro che la mafia l’hanno vissuta, combattuta, respirata, e che continuano a combatterla, per liberarsi dal sapore amaro che lascia in bocca. Sono tutte quelle persone che, ad oggi, appoggiano Paride nella sua battaglia, perché è anche la loro battaglia, e dovrebbe essere quella di tutti. “Ho avuto l’onore di ospitare Rita Borsellino – ci racconta Paride, con un tono di voce che sembra essersi liberato dal velo disilluso che finora lo accompagnava. – Tante altre persone si sono messe a mia disposizione, anche nei rapporti con gli organi dello Stato. Tra queste, Marisa Garofalo, con la quale si è creata un’empatia fraterna. Sono del parere che per fare antimafia, bisogna che faccia parte del tuo vissuto. Un conto è improvvisarsi, un conto è viverla sulle proprie spalle. E queste sono tutte persone che mi sono vicine costantemente. Valeria Grasso, un portento della natura. Lei è quella che concretamente mi è stata molto vicina. Ha chiesto per me un incontro in prefettura che si terrà giovedì, e lei sarà con me. Vivremo insieme il primo step, la richiesta di una serie di diritti e di tutele. Il prefetto mi ha sempre rassicurato in merito, e ora vedremo come andrà a finire”.

Come dice Paride, “devi aver vissuto la mafia, per poter fare veramente antimafia”. E Valeria Grasso la mafia l’ha assaporata davvero. Testimone di giustizia e presidente dell’associazione ‘Libertà e Legalità’, offre la propria esperienza per aiutare quanti, come lei, hanno saputo rinnegare il silenzio. “Nella tournée alla quale partecipo con alcuni artisti, ‘il silenzio è dolo’, rivesto il ruolo di portavoce delle storie di quanti hanno avuto il coraggio di denunciare, per aiutarli e andare fino in fondo, per trovare soluzioni e  offrire la mia esperienza come appoggio e sostegno. – ci racconta Valeria – Ho conosciuto Paride durante l’ultima tournée e mi ha raccontato la sua storia. Ho incontrato un uomo distrutto, ma animato da una gran voglia di fare e di farcela. E’ un uomo costretto a pagare un’agenzia per avere protezione. Io, personalmente, voglio delle risposte. Temo per la sua incolumità.” Ed ecco che la vera solidarietà si concretizza nei gesti, nell’azione: una lettera inviata in qualità di testimone di giustizia, di presidente di ‘Legalità e libertà’ e di donna e cittadina che ha fatto una scelta. Una mail alla prefettura  di Brindisi in cui sottolinea la seria preoccupazione per l’incolumità di un uomo inspiegabilmente ignorato. “La prefettura mi ha risposto nel giro di una settimana e giovedì avremo l’incontro. Voglio che dispongano immediatamente una tutela per la vita di quest’uomo, altrimenti prenderemo provvedimenti. So cosa significa essere minacciati, so cosa significa non avere aiuti. Tutti i miei canali, tutte le persone meravigliose che mi hanno aiutato sono oggi strumenti per aiutare gli altri, perché io ho sofferto troppo. E so cosa significa vivere così. Se la mia storia oggi si è risolta è perché non sono stata lasciata sola. Altri lo hanno fatto per me e io non posso dimenticare”.

A breve l’esito dell’incontro. Con la speranza di non dover più parlare di Paride, se non come un uomo che ha scritto la parola ‘fine’, seguita dalla parola ‘inizio’.

Gaia Stella Trischitta