“ E’ un momento di dimensione storica eccezionale.” Con queste parole il presidente della Generalitat Catalana Carles Puigdemont ha dichiarato al parlamento di Barçelona di assumere i risultati del referendum unilaterale di autodeterminazione dell’1 ottobre. Ovvero di prendere atto che la Catalogna diventa uno “Stato indipendente in forma di Repubblica”, chiedendo però allo stesso tempo di sospendere la dichiarazione di indipendenza (che i deputati indipendentisti hanno poi firmato alla fine della sessione parlamentare) per poter avviare un dialogo, facendo esplicito riferimento a un possibile ruolo dell’Unione europea.
Non si è fatta attendere la risposta del Capo del governo Spagnolo Mariano Rajoy , che ha chiesto formalmente al Governo della Generalitat ( regione autonoma) se avesse “dichiarato l’indipendenza in Catalogna.” “Questa richiesta” così prosegue la dichiarazione di Rajoy, “ è precedente a qualsiasi delle misure che il Governo decida adottare ai sensi dell’articolo 155 della Costituzione. Il Governo vuol offrire certezze agli spagnoli e ai catalani».
Questo scambio di battute fra i due presidenti , affidato al linguaggio algido dei documenti ufficiali, fotografa la situazione di stallo a cui è giunta una vicenda che in un modo o nell’altro condizionerà pesantemente il futuro prossimo dello stato spagnolo e dell’intera Europa. Per il momento e fino al 16 ottobre , dunque , gioco fermo in attesa di vedere se la dichiarazione di indipendenza della Catalogna sia autentica o solo un modo per prendere tempo e soprattutto se il governo Rajoy sia davvero disposto a seguire la procedura prevista dall’art.155 sospendendo l’autonomia della regione.
Ma cosa succederà ora davvero nella partita fra Generalitat catalana e governo madrileno? E soprattutto come si è arrivati a questo livello di scontro interno ad un grande paese dell’Europa occidentale ? Lo abbiamo chiesto a Steven Forti, studioso e attivista italiano che vive e lavora a Barçelona.
Forti si è specializzato presso la locale Università Autonoma dove oggi insegna, ed è anche ricercatore presso l’Istituto di Storia Contemporanea di Lisbona.
Sul suo profilo Facebook ha definito “ Surrealista e bizantino” quel che è successo nel Parlamento catalano il 10 ottobre, giorno della fatidica dichiarazione di indipendenza.
Un discorso, quello del presidente catalano, che, secondo lo storico, ha dato “ un colpo al cerchio e uno alla botte, passando il cerino al Governo spagnolo.”
Steven, come sta vivendo il popolo catalano questa situazione ? e Cosa potrebbe succedere adesso?
C’è una preoccupazione generalizzata ma non ci sono ancora scontri . E’ una situazione in cui non si sa ancora cosa potrà succedere. Si attendono le prossime mosse dei governi catalano e nazionale cercando soprattutto di capire se ci saranno canali di dialogo.
All’interno del fronte indipendentista si stanno aprendo delle discrepanze. Mentre la CUP L’estrema sinistra, avrebbe voluto da subito la dichiarazione di indipendenza unilaterale, nel PDECat del presidente Puigdemont le opinioni restano contrastanti. Il governo ha quindi scelto la linea mediana : prendere tempo e cercare di riaprire un canale di dialogo con Madrid. Senza evidenti risultati fino ad ora.
Ma com’è articolato l’indipendentismo in Catalogna, e come ha fatto a crescere così tanto ?
Il movimento nazionale catalano comprende tutti i settori del mondo politico : dalla sinistra anticapitalista fino alla destra neoliberista. Un arco di forze che converge sul punto dell’indipendenza ma che non riesce a mettersi d’accordo su niente altro. Nel tenere tutto insieme ha contato moltissimo la sentenza del Tribunale Costituzionale del 2010, che in Catalogna è stata vissuta con una frustrazione enorme come brusco stop a tutti i possibili cambiamenti. Ha contato molto nella crescita dell’indipendentismo anche la crisi economica e sociale che a partire dal 2010 ha reso visibile in tutte le sue declinazioni il logoramento del sistema politico spagnolo nato nel 1978 alla fine della dittatura franchista.
Vediamo meglio le singole componenti e il ruolo che ricoprono.
Destra e sinistra indipendentiste hanno aumentato di tanto i propri consensi negli ultimi anni. La grande questione che ha permesso all’indipendentismo di superare il 20% è stata il Viraje, cioè la trasformazione che ha vissuto la destra catalana che ha governato per tanti anni a Barçelona. Quel partito che fino al 2015 si chiamava Convergencia y Uniò e che poi si è scisso e adesso si chiama PDECat ( Partito democratico europeo catalano). La CiU dello storico leader Artur Mas era autonomista, cioè si muoveva dentro una logica di scambio fra garanzia di stabilità politica e maggiori competenze e poteri al governo regionale. Il nuovo partito di Puigdemont invece è approdato al sovranismo e poi all’indipendentismo.
Mentre a sinistra c’è la CUP…
CUP (Candidatura di Unità Popolare) è l’unione di vari movimenti sociali e di piccoli partiti indipendentisti di estrema sinistra che esistevano già negli anni settanta ma erano tutto sommato ai margini della società catalana. A partire dal 2003 quest’area ha iniziato a unificarsi mantenendo però una struttura orizzontale e assembleare. E’ dal 2010/12 , quando comincia la fase più acuta della crisi sociale ed economica, che la CUP comincia a crescere per la sua opposizione all’austerity da posizioni anticapitaliste. Negli ultimi anni ha deciso di appoggiare il governo formato dagli indipendentisti di centro destra avendo come unico punto in comune con Puigdemont il tema del Governo Catalano degli anni precedenti. Questa scelta però ha comportato l’approvazione da parte dei parlamentari della CUP di finanziarie che mantenevano in vita le stesse politiche di austerity del governo centrale. Qualcosa di simile a quanto già successo nei paesi baschi quando si affrontò la questione della riforma dell’autonomia regionale e della fine della lotta armata dell’ETA.
I contenuti sociali e democratici della protesta in Catalogna però continuano ad avere grande visibilità e consenso. Subito dopo il referendum del primo ottobre c’è stato lo sciopero generale.
Lo sciopero generale era stato inizialmente convocato da diverse strutture legate all’estrema sinistra, molto minoritarie e non necessariamente tutte indipendentiste, come la CGT , che è il sindacato anarchico. In seguito agli episodi accaduti durante il giorno del referendum, l’iniziativa ha poi ottenuto anche il sostegno del Tavolo per la Democrazia, che riunisce i grandi sindacati , delle associazioni delle piccole e medie imprese e dei grandi partiti catalani.
Non è stato uno sciopero a favore dell’indipendenza ma essenzialmente contro la repressione della polizia e in difesa della democrazia. Nelle strade e nelle piazze si sono visti gli indipendentisti ma anche tantissime persone che volevano manifestare il rifiuto della violenza e l’ esigenza di riaprire un dialogo fra Barçelona e Madrid. Si sono viste anche parecchie bandiere nazionali nei cortei dello sciopero generale, una cosa impensabile in qualunque manifestazione indipendentista. Tutto è avvenuto senza scontri o particolari tensioni e quasi sempre bandiere spagnole e catalane camminavano fianco a fianco nel nome della democrazia.
I destinatari principali degli appelli al dialogo , però, non sembrano volere recepire il segnale. Persino il discorso del re ha smentito molte aspettative.
Il re Felipe VI ha fatto un discorso molto duro ribadendo la necessità di muoversi all’interno della Costituzione Spagnola, quindi condannando in modo molto duro la scelta della regione catalana di convocare il referendum unilateralmente. Puigdemont aveva risposto manifestando la propria forte delusione per la posizione della Corona e anticipando però la sostanza del discorso rivolto al proprio parlamento nel giorno dell’indipendenza: toni moderati e, ricordiamolo, la ricerca di un dialogo anche attraverso la mediazione internazionale.
Tornando al re, ha stupito parecchio gli osservatori l’assenza nel suo intervento di qualunque cenno al dialogo con gli indipendentisti. Un elemento che ha suscitato reazioni negative in gran parte della società catalana.
Quando si fa riferimento agli indipendentisti si parla di almeno due milioni di persone. Felipe VI non non ha parlato a questo settore della popolazione che non è certo marginale. Un dato da non trascurare nelle analisi è questo attestarsi sulle posizioni del governo, che non transige rispetto alla difesa della Costituzione.
Cosa rappresenta davvero Mariano Rajoy : solo l’ottusità della vecchia destra castigliana oppure ha una strategia precisa per fomentare lo scontro , scongiurare ogni riforma della costituzione e rafforzarsi parlando alla Spagna conservatrice?
C’è una strategia precisa che il Partido Popular porta avanti da circa dieci- quindici anni , ovvero da quando Aznar ottenne la maggioranza assoluta per il suo secondo governo, nel 2000/2004. Alimentare la rinascita di un nazionalismo spagnolo attraverso politiche di ri-centralizzazione e soprattutto ipotizzando di poter ottenere maggioranze salde e governare anche senza la Catalogna.
Il PP fomenta un discorso apertamente anticatalano fin dagli anni dei tentativi di riformare lo statuto di autonomia, per esempio attraverso il ricorso alla Corte Costituzionale , che portò alla sentenza del 2010 che bocciava la proposta di riforma. Si tratta di una delle ragioni della frustrazione catalana e della conseguente crescita del peso politico degli indipendentisti. Rajoy continua con quella logica : parla ai settori più conservatori della società spagnola per averne i consensi e continuare a governare . Tuttavia il capo del governo di Madrid probabilmente sta sbagliando i suoi conti. La Spagna di del 2015 non è quella del 2002. Pensiamo ai 5 milioni di voti di Podemos , alle vittorie delle alleanze municipaliste di sinistra che governano importanti aree metropolitane ( Carmena a Madrid, Colau a Barçelona , ma anche Saragozza, Compostela, Coruna, Cadiz) . Teniamo conto anche di un altro fattore: in Spagna non esiste un partito populista di estrema destra. E’ un’area politica assorbita dai popolari, per cui Rajoy dentro il suo partito ricopre una posizione mediana ed è esposto alle pressioni dei settori più reazionari . Che significa? Che l’apertura di un vero dialogo con autonomisti e indipendentisti provocherebbe un collasso del Partido Popular ma anche la nascita di un partito di destra suo concorrente , come l’Afd in Germania.
E la sinistra non nazionalista cosa pensa ?
In Catalogna esistono delle articolazioni regionali dei partiti nazionali. Podem, la versione catalana di Podemos, ha delle grosse tensioni il suo corrispettivo nazionale. Il leader di Podemos Catalunya, Albano Dante Fachin Pozzi, è infatti molto vicino alla CuP . Il gruppo dirigente centrale del partito, come pure Izquierda unida , è invece in completa sintonia con Ada Colau e con la posizione delle Comunes ( le coalizioni municipaliste come Barçelona en comuns) .
Le sinistre nazionali hanno la linea , credo, più chiara : in prospettiva riformare il sistema politico spagnolo , avviando una seconda transizione verso uno stato plurinazionale, mentre per l’immediato propongono di evitare dichiarazioni unilaterali di indipendenza come pure l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione. La strada che Podemos e Izquierda Unida hanno in mente è quella del dialogo per giungere a un referendum concordato sul modello scozzese.