Intervistiamo Armando Riitano, Lipari. Ciò che colpisce è la sua sconfinata cultura, un piacevole viaggio tra tecniche di studio, curiosità, passioni, nozioni.
Definito da Giuseppe Pontiggia un poeta di ‘talento e ispirazione impetuosa’, con ‘un senso drammatico e forte dell’esistenza’, Armando Riitano è autore delle sillogi poetiche NERO (Joppolo Editore – Milano, 1994), comprendente i suoi versi da ventenni, e la successiva REFERTI ANORMALI (o SEPOLCRALI) [InterArt – Carrara, 2002]. Le opere a seguito alle numerose richieste sono state ristampate da poco, con allegate tutte le note critiche.
Se la prima raccolta canta e narra le speranze di un Armando ventenne a metà strada tra la metafisica e il romanticismo, Referti Anormali al contrario fa i conti con la disillusione. Il quadro cambia: la metafisica diventa pura illusione e diversa diviene anche la visione dell’amore, palliativo dei momenti difficili. Così si racconta: “Quando Armando scopre la materia e la potenzialità della stessa, cambia anche la sua visione del mondo. Quando l’uomo padroneggerà la materia, non ci sarà più nessuna malattia, dolore fisico, dolore mentale, nessuna attribuzione di ciò che non sappiamo spiegarci a un essere superiore, desiderare sarà uguale a ottenere. Sarà l’uomo essenza e creatore di ogni cosa”.
In una visione utopica in cui non ci sarà più nulla da sperare e pregare, in un modo in cui possiamo ottenere tutto, verrà meno anche la nostra necessità di affidarci a un essere superiore.
“Quando non saranno più necessarie vie di fuga per superare il dolore che affligge l’essere umano per allontanarci dalla realtà che ci circonda, paradossalmente, scomparirà anche la poesia”.
Per la ristampa nessun cambiamento sostanziane nelle opere: “Esse devono restare archivio fedele del mio sentire dell’epoca. A 20 anni ti lasci condizionare dall’educazione famigliare, dalle istituzioni, poi cresci e cominci a guardare oltre! Non tutti riescono ad affrancarsi da questo. Io l’ho fatto e forse avrei preferito restare nell’illusione”.
Più tardi Armando si dedica alla ricerca. È nel 2005 che pubblica ANUTILI E AMMATULA dove si occupa, come lui stesso la definisce, della ‘varietà di spicco del dialetto siciliano costituito dall’eoliano’, nel quale viene anche rivisitata una novella di Boccaccio ambienta a Lipari. Il libro è stato premiato nel 2010 con il premio letterario Elio Vittorini, assegnato – nella sezione ricerca etno-antropologica – con la motivazione di essere ‘unicum’ nel genere.
Passeggiando nel dialetto delle Lipari, l’idioma eoliano fin dalle origini
A sette anni di distanza dal consenso di pubblico e critica, propone nel 2012 un altro lavoro, il saggio PASSEGGIANDO NEL DIALETTO DELLE LIPARI, strettamente collegato ad ANUTILI E AMMATULA, nel quale è raccontato e investigato l’idioma eoliano fin dalle origini remote.
“Il mio lavoro di ricerca è cominciato basandomi su dei precedenti ‘lavori rigorosi’, come quello di Franco Fanciullo, Dialetto e Cultura Materiale alle Isole Eolie 1979, e l’altro d’identico orientamento condotto dal filologo elvetico Hans Coray nel 1929, pubblicato dalla rivista Volkstum und Kultur der Romanen, del quale l’opera di Fanciullo costituisce una rivisitazione. Pur riconoscendo il rigore scientifico, le due opere denunciavano un limite fisiologico.
Quando un filosofo pur insigne indaga una lingua ti da dei risultati obiettivi, ma non essendo lui un parlante ti può dare solo il risultato in provetta. Per usare una metafora biochimica, quando il materiale biologico è esaminato in provetta, i dati sono certamente obiettivi, ma la loro funzione è diversa da quella di indicarci la fisiologia – il funzionamento – dell’organismo dal quale il campione proviene”.
Per questo motivo la mia ricerca si è focalizzata sui ‘parlanti’, ovvero, gli anziani che ancora vivono nei luoghi periferici dell’arcipelago, che parlano un dialetto antico. Tuttavia la loro l’antichità non risale a oltre la loro carta d’identità e gli informatori per me più importanti sono stati i discendenti degli emigrati nei paesi Anglofoni nelle Americhe e soprattutto in Australia”.
Perché per la tua ricerca sono stati fondamentali chi emigrati eoliani in Australia?
“Quando a ondate successive a fine 800’ si partiva dalle Eolie per andare, per esempio, in Oceania si era quasi sempre dialettofoni, nessuno conosceva l’italiano. Erano quasi tutti analfabeti i nostri emigranti. Quando parlavano tra di loro, avevano un codice interno, ovvero, parlavano il dialetto; il problema nasce quando dovevano rapportarsi con gente di lingua inglese. Di fatto l’inglese e l’eoliano per i nostri emigranti sono rimasti inscindibili. Sono venuti fuori quindi dei ‘mostri linguistici’, una sorta d’inglese adattato alla parlata eoliana, per fare un esempio, a Ghella da girl, diventa la fidanzata.
Qui spiego perché sono stati fondamentali nel mio lavoro di ricerca gli immigrati australiani. Le generazioni successive cominciano a parlare la lingua inglese, ma attenzione! Non l’italiano, bensì l’eoliano. Il dialetto come lo parlavano i primi eoliani che sono arrivati in Australia”.
La lingua è viva ed è in continua evoluzione …
“In questo caso però, essa è stata trasmessa agli eredi come l’hanno appresa nell’arcipelago, ciò la fa simile alle lingue morte come il latino o il greco, puoi studiarle anche tra 10 anni, restano quelle! Se l’eoliano alle Eolie si è modificato, l’eoliano d’Australia no!”.
Ecco quindi spiegato perché quando sentiamo parlare un australiano che ha origini eoliane e come se sentissimo parlare il dialetto dei nostri nonni e bisnonni
“Si esatto, usano termini quasi in disuso tipo U Luci, la brace, il fuoco. Ma se ci spostiamo dal centro cittadino e saliamo, per esempio, nella frazione più alta dell’isola di Lipari, questo dialetto arcaico resiste ancora!”.
La perifericità geografica conserva gli idiomi nel tempo
“La spiegazione sta nella perifericità geografica. Quattropani è il luogo delle 7 isole più lontana dal mare o meglio da un approdo portuale. Quindi, gli scambi con le popolazioni che venivano da fuori sono stati minori, così come quelli lessicali”.
Oggi il dialetto parte importante di un’intera cultura e non identificazione di uno status sociale inferiore ….
“L’analfabetismo è stato sconfitto soprattutto dai media parlati, dalla radio prima e dalla tv dopo. Quando la maggior parte della gente era analfabeta, il dialetto era visto come un segno d’incultura, adesso che la lingua nazionale si è diffusa, sembra quasi che il dialetto sia diventato un accessorio d’elite. Pasolini nelle sue prime opere usava il dialetto della madre”.
In Sicilia il primo nucleo linguistico letterario
“La lingua nazionale non è altro che un dialetto che si è imposto sugli altri, come l’italiano quando cade l’Impero Romano e quindi l’unità linguistica rappresentata dal latino. Le parlate si vanno differenziando e a un certo punto s’impone il fiorentino grazie a Dante e gli altri trecentisti che sono Boccaccio e Petrarca.
Tuttavia, il primo nucleo linguistico letterario non è il fiorentino ma il siciliano nel 200’. In quel periodo in Sicilia c’è una fioritura di studi. Federico II di Svevia, nipote di Federico Barbarossa, viene eletto imperatore del Sacro Romano Impero, il quale per motivi vari ha sede a Palermo, esso chiama alla sua corte i più grandi letterati del momento e decidono di elaborare una lingua che non era altro che il siciliano depurato da quelli che loro definivano i plebeismi, i termini non elevati. Questa fu, anche, una mossa politica: Esso avverso al papato riconosceva nel latino la lingua degli avversari.
Questa lingua quando arriva in Toscana viene apprezzata molto, tuttavia i copisti toscani nella trascrizione delle opere la traducevano secondo la loro parlata, quindi se leggevano ‘u jornu’, traducevano in lo giorno’. Io l’ho definito un ‘glotticidio’.
Il siciliano è stato importantissimo e l’eoliano ne rappresenta una varietà di spicco, ricordiamo che il Comune di Lipari viene fondato nel periodo federiciano, 1246”.