Processo d’appello a Brescia: Settima udienza del processo: 4 ergastoli richiesti dai PM, gli interventi delle parti civili
La lunga requisitoria dei PM si chiude nella prima mattinata con la richiesta di condanna per Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino, accusati della strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974.
Ma prima della richiesta di condanna degli imputati, il pm Roberto Di Martino conclude la sua requisitoria nei confronti di Francesco Delfino, il capitano capo del nucleo investigativo dei carabinieri, e ricorda i suoi rapporti con Ermanno Buzzi, altra figura centrale di questa vicenda, condannato all’ergastolo nel primo processo in assise, strangolato nel carcere di Novara da Tuti e Concutelli, perché infame spia dei carabinieri ed assolto in appello. Buzzi, dal collaboratore Martino Siciliano, viene indicato come presente alle riunioni in casa di Romani; secondo Stimamiglio conosce Maggi e fa parte del gruppo la Fenice di Milano. Per Di Martino risulta abbastanza strana la posizione di Buzzi e Delfino che accusa ed inquisisce il suo confidente come coinvolto nella strage e che finalizza il suo lavoro investigativo a coartare i testimoni Ombretta Giacomazzi, Angelino Papa ed il confidente Ugo Bonati, del quale si son perse le tracce, per sostenere la sua ipotesi investigativa:la bomba bresciana. A giudizio del pm il comportamento di Delfino appare apparentemente incomprensibile , anche perché, interrogato da Di Martino nel 2000, dichiarò Buzzi incapace di confezionare l’ordigno.
Per il magistrato i volantini anonimi del 21 e 27 maggio 1974, ma sicuramente attribuiti a Buzzi, in cui si fa riferimento ad Anno Zero, Ordine Nero, sono fatti sintomatici che fanno capire che Buzzi fosse a conoscenza di quello che si stava preparando per Brescia; il comportamento abbastanza spavaldo, tanto da atteggiarsi ad agnello sacrificale, dalle dichiarazioni del suo avvocato difensore Lodi, erano in relazione alle assicurazione ricevute dal cap. Delfino e mostravano un Buzzi per nulla intimorito dalle accuse che gli venivano mosse tanto da dichiarare di essere stato presente nei pressi di piazza del Mercato allo scoppio della bomba trasportata da Silvio Ferrari, mentre sua madre testimoniava che quella notte il figlio si trovava in casa.
Di Martino, infine, ha ricordato altri momenti significativi dell’indagine di Delfino sulla strage: le dichiarazioni di Ombretta Giacomazzi , minacciata dal capitano dei carabiniere di mutare le accuse di falsa testimonianza in quelle di complice della strage; le dichiarazione dell’appuntato Sandrini sul ritrovamento dell’esplosivo in casa di Silvio Ferrari; quelle dell’avvocato Tedeschi, difensore di Buzzi, sulla riunione nella caserma dei carabinieri di Rovato tra il giudice Arcai, Delfino ed il senatore del MSI Pisanò, durante la quale il capitano dichiarò:”io ho l’uomo da lavorare ai fianchi”; le dichiarazioni di Trappa Ferdinando,amico di Buzzi, che la mattina del 28 maggio riceve una telefonata dallo stesso per andare a Livorno, e la lettera che riceve dal carcere di Termini Imerese sempre da Buzzi che lo invita a non far cenno ai magistrati della sua telefonata.
Su richiesta del presidente della Corte, Enzo Platè, Di Martino sintetizza quindi punti fondamentali su cui poggia l’ accusa: l’attendibilità delle dichiarazioni di Carlo Digilio, le intercettazioni ambientali Raho-Battisto e quelle in casa di Carlo Maria Maggi,le veline di Tramonte e le sue dichiarazione poi ritrattate tese solo a salvare se stesso, le dichiarazioni di Carla Tonoli nei confronti di Francesco Delfino e gli stretti rapporti di costui con Manlio del Gaudio, comandante del gruppo carabinieri di Padova, dal quale emergerebbe non tanto l’accusa non tanto di favoreggiamento, ma di coinvolgimento nella strage di piazza della Loggia del capitano Delfino.