C’è un monumento a Piazza Casa Pia che ancora oggi mantiene la stessa ambivalenza del giorno in cui fu eretto: Porta Grazia, ingresso principale della Real Cittadella spagnola, difesa imponente contro ogni possibile attacco esterno ma anche contro ogni possibile moto rivoluzionario interno.
Un pezzo di storia, memoria di quell’inespugnabile fortezza spagnola di cui restano solo ruderi, sradicato e trasferito nella sua sede attuale, quella di piazza Casa Pia, nel 1961, dopo esser sopravvissuto all’ennesimo assedio, quello garibaldino e piemontese.
Oggi rimane lì, in
ascolto, vittima del tempo e di una città che ha deciso di consegnarla al
degrado. Quando sporadicamente qualche voce si erge in sua difesa, affinché
venga ritrasferita o ripulita, Porta Grazia sembra sorridere, col suo stile
barocco, di ogni ferita incisa nella sua pietra calcarea e continua a ergersi
possente, sapendo di stare mantenendo il suo ruolo di testimone di una nuova
guerra. Diversa, sottile. Forse di una nuova “morte civile” della città, come all’indomani di quella rivolta
antispagnola.
Scritte e sigle di ogni
genere la deturpano da anni ormai. Dalle dichiarazioni d’amore alle bestemmie. Ripercorrendo
la sua struttura, però, tra mascheroni di marmo e capitelli, leggendo ognuna di
quelle sigle, lo sguardo si posa poco al di sotto di una delle due grandi finestre
ottagonali, su un pezzo di carta, mangiato dal tempo, che sembra essersi fuso
con la pietra.
Una poesia interrotta, che restituisce spessore a quelle mura. D’un tratto quella bestemmia, trova significato… chissà scritta per rabbia, netto rifiuto di qualcosa più grande di noi che decide per noi. Legata forse storicamente a quella chiesa abbattuta per lasciare spazio alla costruzione della Cittadella spagnola.
Quel “ti amo” affidato alla pietra, testimone di un sentimento magari già tramontato ma che lì esiste ancora. Quei nomi senza senso che un uomo passando riconosce e rivive mettendo da parte la vergogna per aver imbrattato la storia e accennando un sorriso che saluta il ragazzo che fu. Senso, non senso e ricerca di senso. Nuove guerre. Piccole, identitarie, di civiltà.
E quella porta, da testimone, ritrova il suo di senso, ed è quella poesia, attaccata lì, per dare un segnale, una voce, a riaccendere tutte le altre. Quel pezzo di carta mordicchiato dal tempo e quella storica pietra consegnata all’incuria, ci ricordano che c’è sempre qualcuno che sta vivendo una guerra, a volte invisibile, altre solo inosservata.
A volte è un’intera città a essere in guerra senza saperlo. A volte è solo una crisi di civismo.