Prova1

Il berretto a sonagli è tra i capolavori pirandelliani quello al quale il pubblico ha decretato maggior successo.
La vicenda, ambientata in una cittadina dell’estremo sud, è concentrata su un adulterio: Beatrice, moglie del Cavalier Fiorica, uno dei notabili del luogo, vuole cogliere in flagrante il marito, sospettato di avere una tresca con la moglie dello scrivano Ciampa. Con l’aiuto di un compiacente delegato di polizia, amico della famiglia, riesce nell’intento e i due amanti vengono sorpresi: è lo scandalo. La vendetta della tradita Beatrice sarebbe compiuta, ma l’onore del povero Ciampa è compromesso; solo uccidendo gli adulteri potrà riacquistare la rispettabilità. ma a questa soluzione così scontata in una trama verisitica, Pirandello ne contrappone una diversa e perfettamente aderente alle sue tematiche, proponendoci un finale “a sorpresa” e di potente teatralità.
Sospeso in una dimensione tragicomica, Il berretto a sonagli riconferma la visione pirandelliana dell’uomo: un burattino, un pupo, inesorabilmente aggrovigliato nel filo delle convenzioni.

 

L’apparire conta più dell’essere.

Questa semplice frase racchiude in sé

molte ipocrisie della nostra società.

 

Talvolta, poi, la verità viene persa di vista, diviene una variabile secondaria. Il concetto appena esposto è perfettamente applicabile anche alla commedia “Il berretto a sonagli” di mg 6800
. La trama: la ricca borghese Beatrice vuole vendicarsi del marito che la tradisce con la moglie dello scrivano, il fedelissimo Ciampa.

Ed è proprio costui che, con strane argomentazioni filosofiche, cerca di distoglierla dal proprio intento, in nome del quieto vivere. La donna, però, non vuole sentire ragioni e addirittura decide di provocare uno scandalo che la renda finalmente libera dalle angherie della vita coniugale. Sceglie dunque di dar libero sfogo alla rabbia che la corrode e denuncia l’adulterio all’autorità locale. Beatrice, però, non riesce nel suo intento perché il marito viene sì sorpreso in compagnia dell’amante, ma senza che gli si possa attribuire flagranza di tradimento.

Tutto sembra quindi rientrare nella normalità, ma a questo punto è il mansueto Ciampa a rivendicare il dovere di difendere il proprio onore: dovrà uccidere i due amanti, è tenuto a farlo come logica conseguenza dello scandalo voluto da Beatrice, non conta se il fatto è accaduto o meno, tutti ormai credono che lui sia stato tradito, la reputazione di sua moglie è macchiata per sempre. C’è solo un modo per evitare la tragedia, Beatrice dovrà mostrare di essere pazza e andarsene per tre mesi in manicomio. Ogni cosa a questo punto andrà a posto e le malelingue verranno messe a tacere.

A birritta cu i ciancianeddi” (questo il titolo in siciliano dell’opera) venne scritta di getto in una sola settimana nel 1916 per l’attore Angelo Musco. Tutto il testo si basa sul conflitto tra la realtà e l’apparenza. Per i protagonisti non c’è nessuna speranza di uscire da questa tensione, devono continuare a fingere, non possono liberarsi dalle catene di ciò che sembra, volutamente dimentichi di ciò che è.   
Così, nella ricca casa di Beatrice (una stanza elegante e fredda, con decorazioni alle finestre che sembrano alberi, ma anche sbarre) si consuma la tragedia, il dramma psicologico che coinvolge e sconvolge tutti. E’ una sorta di tempesta che attraversa la scena quando la bella signora decide di liberarsi dalle catene della sua soffocante vita coniugale dando il via allo scandalo; sconvolge poi l’animo di Ciampa che vuole uccidere i due amanti, presunti o reali che siano. Ma come tutti i temporali si placa alla fine, riportando ogni cosa al proprio posto. Perché in conclusione non accade nulla, basta fingere ancora un pochino (per tre mesi, in manicomio) e ognuno potrà riprendere il proprio posto nella società.

 

La trama: insofferente all’omertà di una mentalità maschilista e provinciale, Beatrice Fiorica, ricca borghese, ricorre all’aiuto di una rigattiera trafficona, la Saracena, per ordire la vendetta contro il marito che la tradisce con la moglie del proprio scrivano, il dimesso, fedelissimo Ciampa.

 

Sorda ai consigli della fedele serva Fana, e disposta a sfidare l’ira del fatuo fratello Fifì e l’incomprensione della madre, Beatrice si mostra sprezzante di fronte alle esortazioni e alle ambigue argomentazioni filosofiche di Ciampa.

Costui cerca di dissuaderla dall’inopportuno proposito, e le consiglia di aprire nel suo cervello la corda civile, di assumere cioè quell’atteggiamento che, attraverso finzioni e ipocrisie, garantisce il quieto vivere. Ma lei è convinta che le sue ragioni meritino il disvelamento della verità, rifiuta anche di utilizzare quella che Ciampa chiama la corda seria, che in privato, senza far troppo chiasso, aggiusterebbe ogni cosa e decide di provocare uno scandalo che la renda finalmente libera.

Sceglie dunque di dar libero sfogo alla corda pazza, quella che grida a tutti, senza freni o inibizioni, ingiustizie e tradimenti e denuncia l’adulterio all’Autorità locale, il Delegato Spanò, amico di antica data, in bilico tra l’esigenza di rendere merito alla verità e quello di proteggere il buon nome della famiglia.

Il disegno della donna però fallisce, perché il marito viene sorpreso in compagnia dell’amante, ma senza che gli si possa attribuire flagranza di tradimento. Tutto sembrerebbe quindi rientrare nella normalità, mentre Beatrice si trova di fronte a un mondo in frantumi e ad un muro di generale disapprovazione.

Ma a questo punto è Ciampa, vittima anche lui di questa vicenda infamante, che rivendica il suo diritto a difendere il proprio onore: vera o falsa che sia questa relazione, per fugare qualsiasi sospetto dovrà uccidere sua moglie e il Cavalier Fiorica. La sua scelta è la logica, ineluttabile conseguenza dello scandalo voluto dalla cieca gelosia della signora Beatrice.

Solo una possibilità potrà evitare la tragedia: che il fatto non sia altro che l’incubo di una mente malata, e che la donna urli a tutti la propria pazzia…