È un dialogo a domande sottintese quello che si crea tra Attilio Manca e la società civile. La sua storia, la sua vita vissuta, le sue emozioni, i suoi desideri e i suoi sogni si sono fermati il 12 febbraio 2004. La vita del brillante urologo si è spenta di colpo tra molti punti oscuri e una verità coperta da fili inestricabili. Questa vicenda è stata consegnata alle pagine di un libro, “le vene violate”di Luciano Armeli Iapichino, presentato al circolo Pickwick di Messina, davanti a un pubblico attento e commosso. Il coraggio della famiglia, il desiderio di andare oltre le verità più comode, è stato reso vivo grazie alla testimonianza del fratello di Attilio, Gianluca, che ha raccontato suo fratello:La vita e l’infausta morte prematura e di come le vicenda non dovesse destare troppo clamore. Il tutto dimostrato dalla “sfortuna” editoriale di un primo libro “l’enigma Attilio Manca” ostacolato dalla figura di un uomo, Franco Antonio Cassata, oggi alla cronaca della ribalta per le vicende giudiziarie che lo vedono protagonista. Le storie sembrano ripetersi, come la macchina del fango che ha cercato di gettare discredito su altre vittime di mafia: Beppe Alfano, Graziella Campagna e Adolfo Parmaliana. Il primo vittima del gioco, la seconda di una passione di una fuitina e il terzo della sua mente squilibrata. Le verità camuffate. La verità che solo la mente mafiosa cerca di rendere cristallina,sostituendola. Oggi il vento sembra cambiato e anche se le indagini sono solo ai primi passi la famiglia –come ha sottolineato Gianluca – si sente sollevata. Infatti: “Questo libro restituisce dignità alla famiglia. Una famiglia denigrata che si è cercato di isolare, con la credenza, che, per tanti Attilio è solo un tossicodipendente. Il tono del fratello di Attilio, ad un tratto si fa più amaro quando si riferisce alle sfere dello stato, che forse fanno troppo poco : ”Questo enigma è stato voluto dalle stesse istituzioni. Lo stesso che unisce la nostra vicenda a quella di Nina e Ida Agostino”. Tra i relatori presenti anche il parroco Graziano De Plama, che ha lanciato un messaggio forte a tutti coloro che si affacciano alle vicende di mafia manifestando commozione: “La commozione deve portarci a muoverci”. La necessita di agire, di impegnarsi eticamente e strenuamente è stata rimarcata anche da Santo Laganà, presidente dell’associazione antimafia Rita Atria di Milazzo: “La famiglia di Attilio, ha trasformato il loro dolore in impegno civile, la mafia d’altronde è un albero ramificato che trae forza dalla nostra indifferenza”. A seguire l’intervento di Luciano Mirone, scrittore e giornalista. Un intervento che ha creato dei parallelismi con altre vittime, persone normali che nella loro vita non avevano scelto di fare dell’antimafia una professione e quindi inconsapevoli di correre dei rischi. Ed è così che nel racconto di Mirone, la storia di Attilio Manca, si lega ad altre ugualmente tragiche, come quella di Pizzolungo, in cui una donna e due gemellini morirono per mano stragista, in un attentato che era stato preparato per il sostituto procuratore Carlo Palermo. Ma ciò che forse più colpisce della relazione del giornalista, è la rievocazione degli otto giornalisti che hanno perso la vita per amore della verità. Le loro storie sempre insabbiate seppur straordinarie. Intanto,resta la consapevolezza che i mafiosi oggi mirano a colpire chi collega fatti e notizie. Le stesse che disperse e centellinate in mille rivoli non avrebbero significato. Sono vicende che toccano le corde più profonde dell’omertà. Alla fine della presentazione (tra le parole dell’autore che ha ricordato di aver tratto ispirazione da una vicenda che gli ha suggerito le parole da imprimere su carta, rendendola nella sua umanità)resta la consapevolezza che la storia resta ancora aperta, le risposte attese, e le domande suggerite non solo dal libro, ma dal giovane medico suicidato da Cosa Nostra.
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