A inizio dicembre compare una notizia “shock”: il preside di una scuola milanese, novello Grinch italiano, deruba i bambini del Natale abolendo la festa natalizia dalle scuole; annullati anche i canti religiosi previsti e finanche rimossi i crocifissi. La folla paventa un trauma irreparabile per i pargoli e scatta una crociata mediatica contro il supposto colpevole, un tranquillo preside di una scuola dell’interland milanese, precisamente l’istituto Garofani a Rozzano.
Come purtroppo accade di frequente, soltanto diversi giorni dopo si scopre che non solo il preside non ha abolito la festività natalizia, ma non ha neanche annullato i canti (spostati a gennaio sin da settembre per questioni organizzative), né rimosso i crocifissi (presenti solo in una minoranza delle aule scolastiche). Il preside aveva solo negato ad alcune mamme l’autorizzazione di presentarsi a scuola durante le ricreazioni per insegnare ai bambini dei canti natalizi.
Facile concentrarsi sulla distorsione mediatica e parlare della mancata deontologia professionale che infesta le grandi redazioni italiane da tempo. Ma non è questo che colpisce, forse perché ormai troppo abituati alla folle ricerca della notizia a tutti i costi, anche quello di deformare la realtà dei fatti. Ciò che, invece, sembra sottolineare la vicenda è il rapporto ancora incompleto tra laicità e scuola italiana.
Le pesanti diatribe avvenute sulla questione di Rozzano hanno visto orde di persone criticare la notizia “gonfiata” con odio verso gli stranieri e fervore nei confronti della “tradizione”, ribadendo magari che nei paesi islamici la libertà di culto non è concessa e che, quindi, noi italiani non saremmo neanche tenuti a rispettare le fedi delle minoranze. L’intolleranza, purtroppo, con il supporto di notizie come questa, (notizie) che chi manipola sa esattamente su quali meccanismi far leva, fa spesso da padrona, specie sui social network, il moderno colosseo dei finti leoni da tastiera.
Ma, al di là del berciare rumoroso e inconcludente, quale potrebbe essere una soluzione alla questione? È indubbio che l’Italia sia molto cambiata negli ultimi 20-30 anni, i segnali non mancano: i matrimoni civili hanno superato quelli religiosi sia al Nord che al Centro[1], e basta entrare in una qualsiasi scuola per vedere bambini di tante nazionalità e, con grande probabilità, che stanno crescendo in famiglie di religioni diverse da quella cristiana o atee. La quasi totalità di questi bambini non è certo turbata dalla festa di Natale, e questo potrebbe far pensare che sia assolutamente giusto lasciare i crocifissi nelle aule e festeggiare anche con canti religiosi il Natale. Ma è davvero così?
Fermo restando che il privato cittadino possa seguire qualsiasi religione e indossare abiti o monili che testimonino la sua fede, nel momento in cui è lo stato a esporre un simbolo religioso o a favorire una religione sulle altre, viene meno al suo obbligo di non essere super partes. Non è questione di tradizione, bensì di maturità del popolo italiano. Il cittadino può essere partigiano, lo Stato no. E questo lo dimenticano in tanti, quando si discute (ormai da decenni) di laicità e di scuole.
Altra annosa e dibattuta questione è quella dell’insegnamento dell’ora di religione. La soluzione formativa equa sarebbe semplice: istituire un’ora di storia DELLE RELIGIONI e della morale laica, in modo che ciascuno studente non solo possa studiare la religione simbolo del paese in cui sta crescendo (sempre SE sta crescendo religiosamente), ma possa anche confrontarsi con le religioni degli altri e con il pensiero di chi ha deciso di non seguirne alcuna.
La morale finale? Insegniamo ai bambini a dubitare e cercare di capire. Non imbocchiamogli la religione che noi abbiamo scelto, ma insegniamogli a scegliere. E il metodo di insegnamento della religione in Italia, non lascia scelta.