A quanto pare in questi giorni, grazie ad un articolo di Wired, il Paese si è svegliato improvvisamente ed ha scoperto l’esistenza di gruppi Telegram pieni di contenuti sottratti senza consenso
Lo chiamano “Revenge porn”, “Revenge”/ vendetta, che mi risuona ancora come l’ennesima giustificazione della violenza maschile. Perché non riesco a scorgere nessuna vendetta (non sarebbe comunque una giustificazione), è solo l’intramontabile esercizio di potere, il controllo sul corpo delle donne, lo stupro messo in atto è tutto richiuso in una parola, sempre la stessa: patriarcato.
o che questi giorni sto cercando di amplificare il più possibile le parole degli “alleati”, coloro che preso coscienza del privilegio cercano di smontarlo, coloro che espropriando le parole di Lorenzo Gasparrini sono “disertori del patriarcato“ non posso però non notare che pochi, pochissimi (al contrario dei femminicidi) sono i post di uomini tra i miei amici che ne prendono le distanze e che analizzano quanto accade. Pochi, pochissimi, anche tra coloro che mettono la cornice intorno all’immagine del profilo il 25 novembre.
Eppure la questione, come tutte quelle che riguardano le oppressioni, parla sempre di com’è chi opprime. Com’è possibile che non scorgano che questa situazione è espressione di possesso e potere anche se non è quella che non ti lascia morta per terra?
Eppure la questione, come tutte quelle che riguardano le oppressioni, parla sempre di com’è chi opprime. Com’è possibile che non scorgano che questa situazione è espressione di possesso e potere anche se non è quella che non ti lascia morta per terra?
La risposta è che il femminismo per essere davvero femminismo fa stare scomodi ed è difficilissimo starci. Soprattutto in situazioni come questa dove: “si, va, beh, non è morta nessuna” o “se stai attenta se eviti di mostrarti non succede” o “se non ci finisce mia sorella o mia cugina che problema c’è”.
Serve costante analisi dei propri comportamenti quotidiani e dei meccanismi automatici interiorizzati da secoli, serve cancellare modelli e certezze e affrontare contraddizioni interne.
Il rifiuto, in questo caso di questo materiale, un rifiuto che deve essere palese, urlato, dichiarato senza mezzi termini. Non basta pensare io non sono così, io non sono come gli altri.
Va fermato tramite la presa di coscienza di voi, uomini, che spiegate ad altri uomini che non è la fissazione di qualche femminista maestrina (anche perché io dopo un ventennio che ripeto le stesse cose mi sarei anche un po’ stancata) perché inizio a pensare che un lavoro di educazione tra pari è l’unica soluzione vera.
Nell’attesa fiduciosa di un vostro atto collettivo, convinta che ogni seme germoglierà, quello che ripeto davanti ogni ingiustizia: “anche se vi credete assolti siete lo stesso coinvolti“ #senzaoffesaeh