Se questi sono gli uomini, il libro del giornalista Riccardo Iacona, edito da Chiarelette, racconta una tragedia nazionale, quella per cui è stata coniato il termine femminicidio, che racchiude i drammi di molte donne che ogni giorno subiscono violenza. “Il 93 per cento delle violenze perpetrate dal coniuge o dall’ex coniuge non viene denunciato. Solo il 6,2 è opera di sconosciuti, mentre il resto dei maltrattanti sono di partner o ex partner. Sono 6,743 milioni le donne tra i sei e i settant’anni che almeno una volta nella vita sono state vittime di violenza, pari al 31,9 per cento della popolazione femminile”, ci dice un rapporto Istat.
Il viaggio di Riccardo Iacona comincia a Enna e finisce a Milano e racconta le storie di donne che hanno pagato a caro prezzo il desiderio di libertà.
Il giornalista arriva, con il suo taccuino e la sua penna, quando la tragedia si è appena consumata, l’attenzione è ancora alta e tutti “partecipano emotivamente” si legge nel libro “ma per loro la storia finisce quando si trova il cadavere, l’assassino ha confessato e sono stati resi noti tutti i dettagli possibili. Una volta che la marea emotiva si abbassa, non è più la storia di tutti, ma solo un brutto fattaccio che non ci riguarda, perché a noi non può succedere, storie di «pazzi», «malati», «poveracci», «ambienti degradati »”. Invece, il giornalista di “Presa diretta” ha il merito di far comprendere che la vera presa di coscienza deve iniziare quando i riflettori sono spenti e tutte le forze della società si devono coalizzare per far fronte al problema. Infatti spesso, dietro ogni dramma, c’è la storia di una donna che aveva denunciato il proprio compagno, o una rete che non funziona, perché in Italia non ci sono centri antiviolenza, per questo non si riescono a gestire tutte le richieste d’aiuto. Noi de’ ilcarrettinodelleidee abbiamo raggiunto Riccardo Iacona telefonicamente per approfondire le tematiche affrontate nel libro.
Il nuovo governo ha messo fra le sue priorità la creazione di una task force contro il femminicidio. Quali sono gli ambiti in cui può essere efficace?
Sono sostanzialmente tre. Il primo punto è la formazione. E’ un intervento a costo zero o quasi che si può appoggiare sulla scuola. Bisognerebbe impartire quella che possiamo chiamare “educazione sentimentale”, che in Italia non si è mai fatta, anzi, da noi persiste una cultura maschilista, sessista ostile. La donna è relegata a una posizione di subalternità. In una classifica che descrive le differenze di genere, ne usciamo davvero malissimo, il nostro paese occupa gli ultimi posti. Questo richiama in causa anche l’immagine che la donna ha nei media. Ti faccio un esempio, quando in Spagna scoppiò l’emergenza femminicidio, Zapatero ha voluto capire attraverso un osservatorio il modo in cui la donna veniva veicolata dai media, ne uscì un’immagine distorta, avvilente.
Gli altri aspetti importanti sono la prevenzione e la repressione. In Italia non ci sono centri antiviolenza, bisogna mettere in rete le energie per pensare di risolvere il problema. Basta aprire i giornali, leggere le notizie, per capire che c’è una domanda inespressa di aiuto. Certo poi è necessario che la magistratura e le procure accelerino i piani di intervento e che si attivino percorsi veloci. Non bisogna dimenticare che il 70% delle donne è stato ucciso dopo che hanno denunciato. La questione della pena non è indifferente. Personalmente, l’ergastolo e il “il fine pena mai” mi fanno orrore, ma non è accettabile che chi uccide dopo sette anni torni libero. Chi commette un omicidio va punito senza sconti. A questi aspetti bisogna affiancare la rieducazione. In Austria è stata imposta e c’è stata una recettività pari al 40%. Quindi, non si dica che non c’è niente da fare. Non è un elemento fisiologico come spesso si dice.
Lei ha incontrato uomini violenti e per la prima volta ha descritto il loro punto di vista. Cosa ha provato da uomo nel sentire i loro racconti?
Le ragioni del conflitto non sono lontane dalle nostre. Tutti ci possiamo riconoscere in questi racconti. Il conflitto nasce quando la donna è libera. Attraverso il libro ho conosciuto donne straordinarie, forti, che si prendevano cure della loro famiglia. Se queste donne sono morte, il motivo è proprio che erano indipendenti. Ma quello che voglio dire è che i motivi di scontro nascono anche in noi, perché non siamo in grado di affrontare un rapporto in cui la persona è libera e non è “conquistata” completamente. La storia riguarda anche noi anche se non abbiamo mai alzato un dito. E’ un problema condiviso dalla popolazione maschile. Il problema siamo noi e non le donne.
L’informazione sta aprendo una finestra sul femminicidio. Sta realmente aiutando a creare una coscienza civile contro la violenza sulle donne o è solo un modo per lavarsi la coscienza?
No. E’ un’attenzione vera. Sono molto contento che queste storie siano raccontate. Prima nessuno saltava dalla sedia.
Claudia Benassai