Di Tonino Cafeo
Ci sono momenti di una qualsiasi giornata in cui il tempo sembra tornare su se stesso e quasi prenderci in giro, come in un dejà vu o in un episodio inedito di Ritorno al futuro.
Succede anche in politica, quando, in un salone gremito come accade solo nelle grandi occasioni, Massimo D’Alema si rivolge a un pezzo non piccolo di un popolo che fino a ieri sembrava anzi, certamente era nascosto e disperso.
Potrebbe essere il set di un nuovo film di Nanni Moretti o di Walter Veltroni, invece siamo in Sicilia, a Messina, nel tempo presente e l’ex presidente del consiglio sta aprendo la campagna elettorale di Claudio Fava per la presidenza della Regione.
La mente torna, è inevitabile, all’autunno del 2012, quando finiva nel fango delle inchieste giudiziarie l’era Cuffaro/Lombardo e si apprestava ad iniziare quello strano ibrido che è stata l’esperienza di Rosario Crocetta alla guida dell’isola. Anche allora la sinistra “radicale” siciliana aveva ben presente il senso di un’operazione politica che metteva allo stesso tavolo, intorno a un simbolo dell’antimafia –spettacolo, molti uomini di Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo e quel Partito Democratico che aveva già deciso, non avendolo mai battuto nelle urne, di allearsi con una parte del centro destra pur di andare finalmente al governo. Le sinistre allora si affidarono a Claudio Fava e alla sua storia limpida di cronista antimafia per tentare di sottrarsi all’abbraccio mortale dell’eterno trasformismo isolano.
Come sia andata a finire, lo dice la cronaca politica di questi anni. Fava, costretto al ritiro da uno strano incidente burocratico, non riuscì a far superare lo sbarramento alla lista di sinistra e preferì continuare a fare politica lontano dalla Sicilia, mentre lo spettacolo, spesso indecente, del crocettismo – un minestrone indigesto di retorica sempre più vuota, trasformismo, continui cambi nella squadra di governo, generale incapacità politica e gestionale- ha disperso la residua fiducia nutrita dai siciliani non solo nel centrosinistra ma soprattutto nelle istituzioni regionali.
Le vicende nazionali hanno contribuito vieppiù a complicare le cose. La visione di Matteo Renzi, nutrita di un cinismo ancora più spregiudicato di quello della classe dirigente ulivista, ha accentuato la vocazione del PD a essere partito di governo per il governo e portatore di una cultura in cui il mercato è al centro di ogni scelta strategica. L’opposizione più visibile e rumorosa a questo processo non è venuta da sinistra o dal sindacato, bensì dai populisti a cinque stelle e da quelli, ancora più pericolosi, della Lega e dell’estrema destra, i cui temi sono giunti al centro del dibattito politico e in parte fatti propri dal PD, sempre meno distinguibile dagli alleati di centrodestra ormai organici alla nuova coalizione.
E’ in questo scenario che la Sicilia si appresta a essere – come si dice con espressione abusata- ancora una volta laboratorio politico per mettere alla prova formule che potranno, o meno essere esportate. Il centrodestra si ricompatta attorno alla figura di un vecchio missino come Nello Musumeci, scegliendo dunque la via del populismo spinto; i democratici liquidano gli aspetti esibizionistici della presidenza Crocetta ma scelgono di essere ancora di più partito di centro affidandosi ai rettori –tecnocrati delle Università, come Micari; su tutti incombe il possibile successo dei Cinque Stelle, che non sembrano risentire più di tanto della disastrosa gestione di paesi e metropoli finiti sotto il loro controllo .
A sinistra si risponde con “C’eravamo tanto amati”? Le parole pronunciate a Messina da Claudio Fava e soprattutto da Massimo D’Alema tendono a rassicurare i militanti storici dei DS, quelli sommersi dalla marea renziana, ma vogliono rivolgersi anche a chi ha votato Rifondazione o SEL e a chi fa attivismo sociale. Significativo l’affondo di D’Alema su una questione “ che non porta voti” come quella dei migranti. Ma le parole che scaldano i cuori potrebbero non bastare a un popolo che per troppo tempo si è sentito abbandonato a se stesso. La parola d’ordine dell’ex presidente del consiglio “ricostruire il centrosinistra” potrebbe avere il sapore di un’idea fuori tempo massimo, come la messa in latino al tempo del Papa venuto dai confini del mondo.
I fatti, tuttavia, potrebbero anche spingersi oltre le parole e le intenzioni. In pochi si aspettavano che il movimento di Bersani e Speranza avrebbe rotto con i Democratici giusto in Sicilia, dove più forte che altrove è l’assedio delle destre e dove i Grillini potrebbero fare un nuovo botto conquistando la propria prima regione. Invece è accaduto che al richiamo del voto utile questo pezzo di sinistra abbia scelto la scommessa della costruzione di un campo diverso e distinto da quello dominato da Renzi e Alfano. Il resto dovranno farlo la qualità delle liste , si spera aperte alle tante esperienze di attivismo sociale e culturale come furono quelle del 2012, e soprattutto una generosa militanza che non si fermi alla scadenza del cinque novembre ma sappia ricostruire un’ idea di Sicilia ( e di mondo) pensata collettivamente e sostenuta dalle braccia e dalle gambe di un’organizzazione presente nella vita quotidiana e non solo sui media.
Le prove per quel quarto polo che ormai manca solo in Italia si svolgeranno dunque qui da noi e i risultati avranno ricadute buone o brutte per un tempo molto lungo. E’ su questo e non tanto sulle persone fisiche di Massimo D’Alema o Claudio Fava che vale la pena riporre speranze prima di arrendersi alla nostra letteraria irredimibilità.