di Claudia Fucarino
C’è chi ha pensato che le ali siano una caratteristica prettamente mascolina, raffigurando gli asessuati angeli spesso con connotati prettamente maschili. C’è chi ha pensato che dopo Icaro, sarebbero stati solo gli uomini ad indossare le ali. C’è infine chi mai avrebbe pensato che a volare sarebbero state anche le donne. Ciò almeno sino al 3 Gennaio 1913, data in cui Rosina Ferrario, aviatrice italiana, ottiene il brevetto di pilota di aerei, consacrandosi assieme alla collega Carina Massone Negrone, pioniera del volo “femminile”.
Un primato questo da non sottovalutare, tanto che anche la città di Palermo con le sue esigue targhe stradali femminili, dedica alla prima Icara italiana una delle sue strade in “rosa”.
Alle falde del monte Cuccio si eleva la ridente borgata di Baida, un tempo antico casale saraceno dal nome “Al Baida” (la bianca), per le caratteristiche terre dal colore biancastro e oggi rinomata zona residenziale, ricca di panoramiche villette che dominano l’intera città di Palermo sino alla florida “Conca d’Oro”. Ed è proprio qui, alle pendici del monte Cuccio, che l’audace Rosina è ricordata dalla sua gente, su di un monte, simbolo delle numerose montagne italiani che la pioniera amava esplorare durante le sue avvincenti escursioni montane.
Il gruppo di ricerca di Toponomastica Femminile segnala che anche il capoluogo lombardo, suo luogo natale, menziona Rosina Ferrario Grugnola in una strada secondaria, non lontana da viale Carlo Espinasse e l’ex Campo dei Fiori.
Donna dalle mille risorse e dalla forte caparbietà, Rosina, nata da una ricca e borghese famiglia milanese, riuscì a raggiungere il suo più grande sogno: pilotare un aeroplano. Vi riuscì con grande sacrificio e determinazione seguendo una escalation che da pilota di automobili la vedrà finalmente pilota di aeromobili. Ebbrezza emotiva, forti entusiasmi, sono queste le sensazioni provate dalla donna nel momento in cui, a cavallo del suo velivolo, si staccava dal suolo per solcare gli azzurri cieli. Ancora oggi è ricordata, non solo da chi non ha avuto modo di ammirarla con il naso rivolto in su, ma anche da coloro che hanno avuto il privilegio di partecipare alle numerose manifestazioni e voli dimostrativi come quella sopra le campagne di Busseto, in occasione del centenario della nascita di Giuseppe Verdi, ed ancora nel 1913 al Meeting Aviatorio di Napoli, mentre una pioggia di garofani rossi veniva lanciata dal suo velivolo sopra la folla di astanti.
Una carica emozionale di tipo romantico stroncata purtroppo dalla realistica e cruda guerra che sancirà la fine della pace e la fine della donna. Quando, infatti, un decreto ministeriale sospende il traffico aereo civile per dar spazio al traffico militare, ella decide di utilizzare la sua più grande passione a scopo umanitario, pilotando gli aeromobili del soccorso militare della Croce Rossa. Dopo una serie di vane richieste al Ministero della Guerra, quella stessa donna che per anni ottenne, al pari degli uomini, grandi privilegi, ritornerà ad essere, tutto d’un colpo, una semplice e banale signorinella. Questo è quello che si legge dalla lettera di risposta del Ministero, a seguito delle ripetute richieste inviategli dalla donna “non è previsto l’arruolamento di signorine nel Regio Esercito”. Il sogno infranto di una passione struggente che la vedrà riversarsi nell’unico socialmente accettato ruolo femminile come donna – moglie e donna – madre. Rosina sposerà l’imprenditore Enrico Grugnola, con il quale aprirà un noto albergo milanese e si dedicherà esclusivamente alla famiglia. Conserverà comunque nel suo cuore la passione per il volo sino al 3 luglio 1957, quando la prima Icara italiana spiccherà nel cielo il suo ultimo volo, lasciando sulla terra il più bel ricordo di sé, quello di una donna passionale, determinata e viva.