A settant’anni dalla strage di Portella della Ginestra si aprono, almeno parzialmente, gli archivi italiani, inglesi e statunitensi sui sette anni che cambiarono la storia del nostro Paese. I sette anni “ufficiali” di attività del bandito Giuliano, dal 1943 al 1950, anno della sua morte. Quello che emerge dalla lettura dei documenti resi pubblici e dalla ricerca di altre testimonianze finora inedite, smentisce gran parte delle verità ufficiali. Dai retroscena dello sbarco in Sicilia degli Alleati nel 1943 all’arruolamento nei servizi e nella nascente Gladio di una folla di fascisti della Decima Mas e non solo, mafiosi siciliani e italo americani, spie, una folla di uomini dello Stato con i loro patti innominabili, contrabbandieri internazionali, politici, funzionari, ufficiali tedeschi, avventurieri in cerca di guadagni. Smentisce, soprattutto, la genesi della strage che diede il via alla sanguinosa catena di eventi che ancor oggi conosciamo come “strategia della tensione”: la strage di Portella della Ginestra del primo maggio 1947.
«C’è un punto di origine, comunque, che non ho mai capito e forse indagato a monte di tante scelte politiche e personali – scrive Orsatti nel capitolo di introduzione – Una sensazione di essere figli, vittime e complici di un occulto peccato originale. Qualcosa di non scritto e di non detto, di nascosto o camuffato ad arte. Che ha segnato la vita di tutti noi. Il senso di essere stati manipolati,come se la storia che conosciamo, la storia di questo popolo e di questo Stato, fosse del tutto falsa, compromessa, inquinata». E il punto di origine è quella strage in un giorno di festa all’alba della Repubblica Italiana.
Giuliano è figura simbolica e centrale, è protagonista, è corpo. Ma è uno strumento. Strumento della Guerra Fredda, di un esperimento che, come diranno poi fonti dell’intelligence occidentale, verrà riproposto in altri luoghi nei decenni successivi: dall’Algeria al Medio Oriente, dal Cile e dall’America Latina al Sud Est asiatico. L’Italia, e la sua fragile e ricattabile Repubblica, trasformata in laboratorio, dove fascisti, mafiosi, spie, criminali internazionali, politici ambiziosi, imprenditori privi di scrupoli, servitori dello Stato infedeli e ambienti vicini al Vaticano si muovono nell’ombra per dare vita a una messinscena che ha condizionato la vita e la storia degli italiani.
Il libro “Il bandito della Guerra fredda” non solo si concentra sulla figura di Salvatore Giuliano, ma analizza attraverso la lettura di documenti provenienti dagli archivi sia dei servizi Usa che da quelli inglesi, archivi italiani – sia pubblici che privati -, pubblicistica e testimonianze dell’epoca, atti di inchiesta e giudiziari, il periodo storico che intercorre dallo sbarco angloamericano del luglio ’43 e si conclude con la morte di Giuliano nel ’50. E giunge a una serie di ipotesi…
PIETRO ORSATTI
Nato a Ferrara nel 1963, è cresciuto e ha trascorso gran parte della sua vita a Roma. Ha lavorato e collaborato con numerose testate giornalistiche fra cui «il manifesto»,«Diario»,«Liberazione», «Left/Avvenimenti», «Nuova Ecologia», «Terra», Radio Popolare, Rai, Arcoiris, ag Dire, «Micro Mega», «Antimafia Duemila» e «I Siciliani/giovani». Fra i primi in Italia a puntare sull’informazione aperta sul web e sul giornalismo partecipativo, ha realizzato e diretto più di venti documentari e ha scritto per il teatro e per progetti audiovisivi. Ha pubblicato A schiena dritta (2009), L’Italia cantata dal basso (2011), Segreto di Stato (2012), Grande Raccordo Criminale (con Floriana Bulfon, Imprimatur 2014), Roma brucia (Imprimatur 2015) e alcuni ebook (Roma, L’Era Alemanna, Il Lampo verde, Utopia Brasil).