Tagli alla sanità più che probabili se non si allentano i vincoli di bilancio alle regioni; e i magistrati contabili indicano la strada degli aumenti di ticket alle fasce medio alte della popolazione.
Questi sono gli sviluppi dopo l’approvazione del documento di programmazione economica e finanziaria (Def) del governo. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan si trova di fronte le perplessità della Banca d’Italia e i suggerimenti della Corte dei Conti, istituzioni che sono state “audite” con il governo alle Camere in questi giorni.
E deve affrontare lo scontento delle regioni, deluse perché mentre Palazzo Chigi chiede a Bruxelles una proroga al 2019 del pareggio di bilancio, poi pretende il rispetto -almeno sulla carta – dello stesso vincolo da parte delle autonomie locali. Con la nota al Def le regioni lamentano di essere rimaste sole a sostenere il rigore dei conti abbattendo le proprie spese del 17% dal 2012 ad oggi e tornando ai livelli del 2004: non altrettanto, calcoli alla mano, hanno fatto le amministrazioni dello stato, scuola giustizia e fisco ad esempio.
Ora però sempre le regioni dovranno contribuire alla finanza pubblica con 1,85 miliardi nel 2016, 1 nel 2017 e 660 milioni nel 2018. In più, devono sostenere un indebitamento pari a 2 miliardi quest’anno, 3,5 nel 2017 e 5 nel 2018, cui vanno aggiunti 4 miliardi di tagli fissati da precedenti manovre, che sono stati finanziati per metà riducendo di 2 miliardi il Fondo sanitario nazionale.
Quelli che si profilano sono tagli “poco realistici e difficilmente sopportabili”, recita il documento, che chiede di sottoporre le amministrazioni centrali “spendaccione” agli stessi vincoli di quelle locali (esempio: applicare al bilancio gli avanzi e i saldi iniziali di cassa). Le regioni inoltre chiedono di usare il fondo pluriennale ex legge 243 del 2012 per le emergenze, anziché metterlo a bilancio. Ma quali sono le richieste del governo all’Europa sul patto di stabilità “esterno”? L’Italia chiede a Bruxelles di utilizzare lo 0,5% del Pil per le riforme, lo 0,3% per investimenti pubblici e, magari, lo 0,2 per far fronte all’immigrazione. Se si prevede una crescita del Pil dell’1,2% quest’anno e 1,4-1,5 nei prossimi due, le nuove spese resterebbero compatibili con l’abbassamento del debito pubblico.
Nella sua audizione, Bankitalia ha espresso dubbi sugli scenari di crescita evocati dal Governo, che restano soggetti al “rischio di evoluzioni meno favorevoli”. Ma tanto appare convinto il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan della bontà dei calcoli dell’Esecutivo da aver ravvisato, nella sua audizione, persino margini per ragionare sulla flessibilità di chi andrà in pensione, questo autunno ,con la prossima legge di stabilità. In tutto il governo ipotizza 11 miliardi di deficit aggiuntivo, da finanziare in parte con un taglio a deduzioni e detrazioni fiscali.
Che del resto tra spese mediche, funebri, universitarie, contributi e ristrutturazioni, costerebbero allo Stato ben 313 miliardi.
Mauro Miserendino