Sento odor di lotta alla mafia

Esco dall’aula del Centro Congressi Santo Volto di Torino, stordita.

Come dopo una passeggiata al mercato delle spezie,  gli odori ti confondono, entrano su per il naso e quasi ti gira la testa.

 Sento l’odore delle divise, quello forte della benzina che gocciola sull’asfalto dai tubi delle camionette parcheggiate all’ingresso.

Riconosco l’odore della carta, quando all’arrivo di Salvatore Borsellino s’alzano in alto le agende rosse e quasi riesco a sentire in bocca il sapore salato delle sue lacrime mentre fissa quella sedia vuota accanto a lui, che tanto gli riporta alla mente l’assenza di suo fratello.

Quella sedia vuota è la sedia di Antonino Di Matteo, assente non per scelta, non sua, un uomo isolato dal suo stato, lo stesso di cui è servitore, lo stesso che non è in grado di garantirgli la possibilità di parlare con e alla gente.

“ Che stato è uno stato incapace di assicurare alla moglie di un pubblico ministero che lo avrà  a casa per cena?”

Chissà che odore ha la delusione, eppure l’ho avvertita nell’appello a Mattarella, “ci hanno ucciso il fratello! Chiedo che intervenga per dare a Di Matteo quello che gli spetta, dargli  la possibilità che gli spetta!” e all’Italia tutta “ Chiedo che se ne parli, che si parli del sacrificio di uomini di stato per salvare ex democristiani!” .

Sento l’odore della rabbia, “L’ unica cosa che mi tiene in piedi “dice Borsellino.

L’odore sintetico di una gomma, che cancella le stragi, “del resto se non esistono colpevoli non esistono stragi, non esistono morti no? stato incapace! Non è esistito mai mio fratello?  Non è esistito mai il giudice Falcone?”

E per un attimo chiudo gli occhi, dimentico gli odori, alle orecchie mi torna una voce  “oltre che magistrato io sono testimone. Questi elementi che io porto dentro di me, debbo per prima cosa assemblarli e riferirli all’autorità giudiziaria, che è l’unica in grado di valutare quanto queste cose che io so possono essere utili alla ricostruzione dell’evento che ha posto fine alla vita di Giovanni Falcone, e che soprattutto, nell’immediatezza di questa tragedia, ha fatto pensare a me, e non soltanto a me, che era finita una parte della mia e della nostra vita.” 25 giugno 1992.

Si ferma per un attimo Salvatore, sembra che tornino in mente anche a lui quelle parole, e chiude “Non è tempo di lacrime è tempo di giustizia, di rabbia, di resistenza”.

Sento l’odore dell’impegno e il rumore degli applausi quasi mi frastorna quando prende la parola Renato Accorinti, “il sindaco che tutti vorrebero avere” sento fra le file dell’auditorium,  acclamato come pochi dalla comunità torinese, stimato. Forse più di quanto i suoi stessi elettori lo stimano.

“Tutti siamo indispensabili, dobbiamo mettere in gioco la nostra umanità contro le ingiustizie e lo dobbiamo fare uniti, insieme. A Messina, crocevia della mafia, era inimmaginabile che concorressi io alla carica di sindaco, eppure adesso sono lì, perchè come me lo hanno voluto in  tanti. Ha vinto la bellezza, la forza delle idee e ci stiamo dentro tutti, per ‘sacralizzare’ le istituzioni.”

Esempio di politica spirituale,  l’acqua che scioglie i piedi d’argilla di quei fantomatici  giganti, Accorinti esalta la formazione e l’aggregazione e ne fa metodo  “Non opero la repressione ma l’educazione così come facevo a scuola perché è la semina il momento cruciale.”

Nell’aria, profumo di cambiamento., ma forse, lo sento solo io.

Con l’approvazione all’unanimità del consiglio comunale è stata conferita la cittadinanza onoraria al ministro Di Matteo , “ed io che sono un mero rappresentante, rappresento tutti quei cittadini che amano quello che fa Nino Di Matteo!”.

Ma in un attimo, acre e pungente torna il puzzo dell’Italia delle ingiustizie. Ed è Marco Travaglio con la sua realistica,  esaustiva panoramica a sollevarne l’olezzo.

Perché gli attentati a Di Matteo?

Facile, quella è la mafia.

E perchè il Consiglio Superiore della Magistratura, in commissione,  gli preferisce 3 magistrati “sconosciuti”, privi dei titoli e dell’esperienza che lo contraddistingue, per un posto di sostituto procuratore nazionale antimafia?

Per quale motivo lo stesso consiglio ha deciso di mandare a Palermo, a capo della procura, Francesco Lo Voi?  Ideologicamente e metodicamente distante anni luce da Di Matteo, anziché un Sergio Lari, procuratore ordinario e distrettuale di Caltanissetta, o un Guido Lo Forte, ex braccio destro di Caselli e pubblico ministero nel processo Andreotti?

“Perchè il nemico numero uno di cosa nostra sembra essere oggi nemico numero uno dello stato?  Penso che sia per le cose che non ha ancora scoperto, ma che chi conosce teme che scopra. In veste di coordinatore dell’accusa è nella posizione che gli permette di sentire ancora, interrogare ancora e disporre indagini.”

Perciò è forse errato parlare di trattativa, che presuppone due identità che combattono prima e si accordano poi, forse l’entità è una e noi la percepiamo sdoppiata nelle sue forme.

“Oggi come il ’92. Forse peggio del ’92”.

Puzza di marcio. Sì, perché nell’era berlusconiana l’odore del pericolo lo sentivano tutti, era evidente, era  di dominio pubblico la collusione,  era chiaro come il sole quello che era e cosa dirigeva la classe politica del tempo, oggi no.

Oggi le forze politiche del paese  hanno indosso un bel vestitino, si sono ripulite, sono più educate e profumano di gigli in fiore, nel mentre fanno tutto sotto banco, zitte zitte, quatte quatte.

Niente di più pericoloso e infausto.

E più raconta Travaglio, più l’odore dell’empietà mi fa venire il mal di testa. Sulla carta sono cambiate tante cose da allora, presidenti, capi di stato, deputati e quello che abbiamo scoperto fin oggi è ‘tanta roba’, ma cosa c’è ancora che dobbiamo, o meglio, non dobbiamo sapere?

“Esiste un potere che non si fa vedere, che sta provvedendo a passare le consegne della vecchia politica alla nuova, ossia al partito democratico.  E il partito democratico come risponde? Prendiamo il sud…”

Mi estraneo. Ci penso. Annuso.

In Campania c’è De Luca, in Calabria c’è Oliveri, in Sicilia c’è Faraone.

Rispettivamente: indagato per corruzione e abuso d’ufficio dal  2013, imputato per bancarotta fraudolenta dal 2009, indagato per peculato in merito alle pazze spese dell’assemblea regionale siciliana lo scorso anno. Appunto.

Sto quasi per svenire, l’odore caustico della nuova, sporca politica m’atterra quasi.

Poi, finalmente, buon profumo. È avvolgente, è forte, sa di unione, sa di spinte e di coesione. È il profumo della libertà,  della resistenza. Profumo d’arte, quell’arte con la quale Sabrina Guzzanti ha diretto, prodotto e distribuito “La trattativa”, “osteggiato non per il tema ma per lo stile, perché gli attori ti fanno continuamente capire che stanno recitando, lo spettatore è partecipe ma non gli si chiede di abbandonarsi, gli attori sono mediatori di una situazione quanto mai reale”.

Un film che fa sì che maturi il ragionamento, analizzando il quadro politico, storico e delle indagini.

Vittima della disattenzione, del disinteresse dei media, boicottato, ignorato, oggi  “La trattativa” vanta 480 proiezioni,  fra i cinema e le scuole, ottenute grazie alla volontà e alle pretese di un popolo che sempre più si dimostra interessato e assetato di dettagli, di chiarimenti, di descrizioni sempre più accurate per conoscere il male, il cancro della sua terra.

Questa ventata mi riporta in forze.

“A quattro mesi di distanza dalla proiezione in parlamento per merito del M5S , adesso la petizione per portare la trattativa in Rai”.

È profumo di lotta quello che sento, è la costanza, la convinzione, la voglia di raccontare di una donna che ha visto il suo pubblico cambiare, spaventarsi, atterrirsi senza cognizione di quello che gli stava accadendo e ha deciso di raccontarglielo.

Respiro.

 “ma c’è speranza?” sussurra la vecchina che mi siede accanto. E sembra quasi che Borsellino la senta “Io la speranza la vengo a cercare” tuona. Con gli occhi stanchi e la voce fioca e ci congeda, pensierosi e storditi.

E così d’un fiato ripercorro quella giornata piena di spezie e ne parlo perchè se ne parli poichè fermamente credo che nel momento in cui apriamo un quadro, stiamo già contribuendo alla guarigione del nostro paese.

Il movimento delle Agende Rosse che ha organizzato il convegno, ha programmato a Messina una serie di incontri di lettura intitolati “Dov’è finita l’agenda rossa di Paolo Borsellino?”, 26 marzo, 9 aprile e 26 aprile le prossime date.

Attivi ed efficaci. Forti, se non soli.

Giovanna Romano