«L’ambiente dell’Università di Messina, ancora una volta – visto che ci sono stati precedenti storici che hanno dimostrato analoghe modalità e dinamiche – era un ambiente condizionato da fattori e soggetti esterni». Nelle parole del dirigente del centro operativo della Dia di Catania, Angelo Bellomo, c’è tutta la drammatica verità sul pantano-Messina, dove nulla si muove e nulla cambia nella melma generale che caratterizza i giochi di potere in città.
«Se tu vuoi prendere gli esami senza fare un cazzo … e senza problemi, allora bisogna andare praticamente a minacciare … se non c’è niente da fare è così … è questo il sistema … quello si caca di sotto … è tutto là il discorso … bisogna andare a minacciare e saperlo fare … perché sennò, sei fottuto […] e poi c’è il metodo Caratozzolo … Caratozzolo va … dice: “questo è un amico … un … cosa … vediamo che possiamo fare … parapì … parapù».
Il “metodo” lo spiega uno degli indagati, Domenico Antonio Montagnese, già indagato per l’omicidio del professore Matteo Bottari nel 1998 e «colui il quale ha promosso e organizzato l’associazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso». La spiegazione del sistema viene captata in una intercettazione telefonica, definita «illuminante» dal dottor Bellomo, e conferma «la duplice direttrice che seguiva il condizionamento».
Montagnese, infatti, usa il doppio binario della violenza e della persuasione, servendosi nel primo caso delle ‘ndrine calabresi e nel secondo caso di Caratozzolo: «Il sistema di “favori” e “intercessioni” presso l’Università di Messina emerso dalle indagini – si legge nel comunicato stampa diffuso dalla Dia – andava dal diffuso malcostume della cosiddetta raccomandazione all’efficace e grave interferenza sulle commissioni d’esame tanto da alterare risultati dei test di accesso alle Facoltà a numero chiuso e condizionare pesantemente alcune commissioni esaminatrici per le abilitazioni professionali».
In questo sistema si inserisce una serie di reati che travalica l’ambiente universitario per sfociare nel voto di scambio e nell’usura e tentata estorsione verso alcuni orafi a Desenzano sul Garda, in provincia di Brescia. L’associazione criminale, ottenuta una sempre maggiore disponibilità economica e sempre più potere dall’attività di compravendita di titoli universitari, poco prima delle ultime elezioni regionali decide di fare il salto di qualità e di barattare preferenze elettorali con diplomi nelle scuole private riconducibili al candidato alla Regione Santo Galati Rando o ai suoi familiari.
«Sembra quasi di andare a ripercorrere a distanza di una ventina di anni condotte ampiamente note alla comunità di Messina. Quello che descritto è uno spaccata trasversale di interferenze che hanno attraversato l’Università ma si sono anche allargate» ha spiegato in conferenza stampa il Maggiore Domenico Cristaudi della Dia di Catania. «È importante che si colga che abbiamo riscontrato un foltissimo numero di soggetti che ancora oggi beneficiano di questo sistema e che con una disinvoltura estrema fa ricorso a queste sorte di raccomandazioni».
Il costo per superare i test di ammissione delle Facoltà a numero chiuso, hanno spiegato gli investigatori catanesi, era anche di 50mila euro. Il candidato veniva così fornito di un microchip con un auricolare con cui mantenersi in contatto con chi, all’esterno, forniva le risposte giuste. Un metodo estremamente costoso per l’organizzazione ma che garantiva un’efficacia totale. «Le attività illecite hanno consentito all’organizzazione criminale di estendere una pervasiva forma di controllo sul territorio attraverso il consenso conseguito dai giovani studenti» è l’amara constatazione degli inquirenti al termine dell’indagine coordinata dai magistrati Sebastiano Ardita e Liliana Todaro e diretta dal Procuratore di Messina Guido Lo Forte.
In seguito il podcast della conferenza stampa presso gli uffici della DIA a Messina: http://spreaker.com/user/ilcarrettinodelleidee/operazione_campus_conferenza_stampa