Specialità della casa: pasta e asbesto.

Tre euro di contributo, interamente in favore dell’Associazione Onlus ABIO – Associazione per il Bambino in Ospedale – , che da 30 anni si occupa dell’accoglienza dei bambini e degli adolescenti nelle strutture pediatriche, nonché del sostegno delle famiglie dei piccoli ricoverati. È quanto ci viene chiesto all’ingresso della convention di Casa Barilla, la manifestazione itinerante includente gare di cucina, seminari, degustazioni gastronomiche ed attività ludiche che la Barilla s.p.a sta portando in giro per l’Italia dagli inizi di settembre, e che ha già coinvolto migliaia di persone a Ravenna, Genova, Torino e Milano, prima delle tappe finali di Bari, Napoli e Roma. Oggi è la mia città la protagonista dell’evento: Palermo, piazza Unità d’Italia, una domenica qualunque. Il tempo di scattare qualche foto all’esterno, ed un paio all’interno – sotto lo sguardo da duro di un muscoluto buttafuori – ed andiamo via. Con poco senso di cronaca – e maggiore concezione del risparmio – decidiamo di non pagare i tre euro e girare i tacchi. L’atmosfera all’interno del tendone è gioviale certo, con corsi per apparecchiare ad opera d’arte la tavola, sperimentazioni culinarie sotto il patrocinio dei cuochi dell’Accademia Barilla, percorsi tematici che raccontano attraverso fotografie, spot e collezioni di confezioni Barilla, i 150 anni del maggiore produttore mondiale di pasta e prodotti da forno, che negli anni ha inglobato centinaia di altri marchi in tutto il globo. E come potrebbero mancare spazi riservati ai bambini, a quei bambini che la Barilla aiuta e protegge, che la Barilla aiuta a crescere. «Aiutiamo le persone a vivere meglio, portando ogni giorno nella loro vita il benessere e la gioia del mangiar bene». Dove c’è Barilla c’è casa, d’altronde. Eppure, pur essendo un estimatore della «buona tavola» di cui l’industria parmense vuole farsi portavoce, e pur essendo naturalmente e decisamente lontana da me l’idea di un odio viscerale nei confronti dei bambini e delle associazioni che aiutano la loro infanzia, nonostante questo, non pago il biglietto e mi allontano. Mi allontano perché solo a due mesi fa’ risale un pezzo del giornalista freelance Gianni Lannes, pubblicato sul giornale online Terranostra, di cui egli è fondatore e direttore. Tale articolo riprende un’inchiesta precedente del giornalista, quando ancora collaborava con La Stampa di Mario Calabresi, prima di incrociare la strada dei torbidi interessi del Presidente del Senato Schifani. È una storia di morte quella che racconta Lannes, di morte «gioviale», «conviviale», in un’atmosfera «familiare», di una morte Made in Italy. Ma sempre di morte si tratta.

Ci spostiamo in Basilicata, dunque, per raccontare questa storia. Stabilimento Barilla di San Nicola di Melfi. 7 linee produttive per 47 tipologie differenti di prodotto, 65 mila tonnellate di produzione annua, 400 dipendenti – di cui 382 a tempo indeterminato, tiene a precisare l’azienda – , investimenti in vent’anni per 230 milioni di euro, tasso di assenteismo del 4,5% – inferiore di un punto e mezzo rispetto alla media nazionale, tende nuovamente a sottolineare l’azienda – , 20 mila ore annue di formazione professionale per i dipendenti – tende e ritende a sottolineare l’azienda. A dire della Barilla un centro di eccellenza della produzione italiana; un’isola felice, nella Melfi delle proteste sindacali e dei blocchi di produzione, dei licenziamenti illegali in base alla tessera sindacale, degli operai parassiti e delle multinazionali dai forti princìpi. Sarà per il clima accogliente e familiare, per l’odore di biscotti – che non è certo paragonabile alla puzza di olio meccanico della catena di montaggio delle automobili – che alla Barilla di Melfi ti viene quasi voglia di andarci a lavorare gratis. Per Luca Barilla, vicepresidente del Gruppo «lo stabilimento di Melfi rappresenta un’eccellenza ed un esempio positivo per chi vuole fondare un’azienda basata su principi sani[…]il lavoro di una squadra che si è formata spontaneamente perché fatta da uomini con sentimenti e qualità non solo professionali, ma soprattutto umane». Parole tanto commoventi che anche il neosegretario della Cgil, Susanna Camusso è rimasta incantata: «Luca Barilla ha dato un’idea di Paese[..]un Paese che  deve guardare insieme a un progetto nazionale». Un’azienda senza scheletri negli armadi, senza scontri di classe, che ha a cuore la salute dei bambini. Più che un’azienda una mamma. A Melfi lo sanno bene. Torniamo allo stabilimento di San Nicola, alla grande famiglia che ci lavora, dove la catena di montaggio è scandita dalle note di Mina e dagli slogan confortanti della Italian food Company di Parma. Parliamo ancora di salute, ma non c’entra nulla Casa Barilla, l’ABIO. Non c’entra nulla nemmeno la salute, suppongo.

Che le coperture dell’impianto siano in Eternit non c’è dubbio, l’ha scritto Lannes, l’ha fotografato, l’ha ammesso anche l’azienda parmense. Eternit alias asbesto alias amianto. Composto minerale del gruppo dei silicati la cui inalazione causa asbestosi – malattia che riduce la capacità polmonare e comporta una contaminazione del sangue, compromettendone lo scambio d’ossigeno – , che, a sua volta, comporta tumori della pleura. Solo un anno fa’ si è finalmente dato il via al processo contro la multinazionale svizzera dell’Eternit AG, causa i 1600 morti soltanto nella provincia di Alessandria. Nel 2010, 18 anni dopo la legge n. 257/1992 – che indica l’utilizzo dell’amianto come fuorilegge, e stabilisce le procedure per l’immediata dismissione del materiale già in uso – , soltanto tredici regioni su venti hanno approvato un Piano per smaltire le 32 milioni di tonnellate di amianto ancora presenti nel territorio italiano, quell’amianto che permette all’Italia di contribuire ogni anno con il suo dignitoso 3% ai 100.000 morti da asbesto mondiali. Due miliardi e mezzo di metri quadrati di coperture in eternit – 1/10 della superficie della Sicilia – , 71000 domande di pensionamento per rischio biologico derivante dall’amianto solo in Liguria. Ecco tutti i dati dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (Ispesl).

Dati che colpiscono forte, soprattutto se messi accanto ad un’azienda che produce cibo che viene importato in tutto il Mediterraneo – solo per ciò che riguarda lo stabilimento di Melfi – e che, per questo, non potrebbe limitare le sue responsabilità esclusivamente alla salute dei suoi lavoratori. Dati che colpiscono forte un’azienda che non vive di certo un bel periodo, causa qualche illazione e qualche scandalo. A giugno la denuncia dei sindacati contro gli abusi prima, e le ritorsioni poi, dei dipendenti dello stabilimento di Foggia; a settembre Gianni Lannes e la riproposizione dell’inchiesta del 2008 “Respiriamo veleno e nessuno ci aiuta. Reportage tra gli operai della Barilla in Basilicata”; ad ottobre ancora ItaliaTerranostra.it e la nuova inchiesta sulla presenza di della famiglia Anda-Bührle – noti produttori e trafficanti d’armi per le dittature di mezzo mondo – all’interno delle quote azionarie della società e a ricoprire ruoli istituzionali per la multinazionale dei prodotti da forno stessa. Manca solo che un bambino di un reparto pediatrico si ammali a causa di un pacco di biscotti donatogli dalla Barilla tramite l’ABIO.

Ma torniamo nel potentino. L’inchiesta di Lannes fa riferimento al massiccio utilizzo di Eternit all’interno delle coperture dello stabile della Barilla, ed all’ingombrante presenza – ad un centinaio di metri dall’impianto – dell’inceneritore di rifiuti Fenice, di proprietà dell’Edison, società sostanzialmente in mano all’Edf, il colosso francese dell’energia nucleare. A due anni di distanza è l’azienda Barilla che risponde ufficialmente e risolutamente alle illazioni che aveva già tentato di fermare attraverso una lettera intimidatoria dei propri legali direttamente alla redazione di Terranostra.it. Il 14 ottobre 2010 ecco la posizione ufficiale della Barilla s.p.a. L’impianto è in regola, come dimostrano l’attestazione UNI EN ISO 14100:2004 e la conseguente Autorizzazione Integrata Ambientale della regione Basilicata – parentesi: la stessa Regione Basilicata finita nello scandalo sulle tangenti per gli appalti alle aziende petrolifere che ha coinvolto l’On. Salvatore Margiotta (Pd) ed il Presidente di Regione Vito De Filippo (Pd anch’egli) – , ma, soprattutto, la certificazione dell’ASL 1 di Venosa del 18/10/2008 che afferma che «la copertura in fibrocemento contenente amianto non rappresenta pericolo»; l’impianto è sicuro, come dimostra la mancata segnalazione dei sindacati rispetto all’insorgere di malattie professionali, «né tantomeno di alcun decesso ricollegabile anche indirettamente a possibile esposizione a fibre di amianto». Il solito motto “prima fanne morire uno, e poi vediamo che si può fare”; l’impianto è ben disposto, come dimostra la volontà dell’azienda di sostituire l’amianto presente nella struttura, nonostante non risulti assolutamente pericoloso per la salute dei lavoratori; l’impianto è pressoché perfetto, come dimostra la presenza minima del minerale amianto, che occupa soltanto 11.000 mq, sui 52.000 mq di superficie dello stabilimento. Che l’amianto, materiale nocivo e proibito, in Italia dovrebbe essere scomparso da almeno 15 anni non è menzionato dai Barilla Brothers. Che non esiste una soglia minima al di sotto della quale l’amianto non rappresenta un pericolo per la salute – come viene certificato da studi di matrice internazionale – tanto che l’art. 24 del Decreto legislativo n. 277/1991, che stabilisce una soglia minima di pericolosità legale ad un numero di fibre di amianto pari a 0,1 per cm³, riduce sensibilmente la percezione reale del problema amianto, è menzionato tanto quanto. Nessun riferimento al termovalorizzatore – che è come un inceneritore, ma dal nome più gradevole – Fenice della zona industriale San Nicola, che – non certo per colpa della Barilla – sprigiona nell’aria un decuplo del mercurio e del nichel che gli sarebbe consentito trattare per legge, influendo necessariamente sull’ambiente circostante e sulla qualità di un’aria dove l’odore di casa, di fette biscottate, di Nastrine si mischia al tanfo di rifiuti tossici, industriali e non, al fetore dei diritti di una salute calpestata da multinazionali che si truccano da massaie, alla delusione di questa Terra che ci stanno strappando da sotto i piedi, facendoci credere che è colpa nostra, che dobbiamo recarci ogni due anni in concessionaria per cambiare un’auto con un’altra che inquina uguale, che dobbiamo convertirci ad energie rinnovabili che nessuno ha intenzione di sviluppare concretamente, che dobbiamo convertirci alla raccolta differenziata di rifiuti che diventano fumo e cenere anch’essi, cenere che inaliamo, ingoiamo, tossiamo, viviamo. Ed è colpa nostra. Anche. È colpa nostra mentre le petroliere si rompono contro i fondali oceanici, mentre la foresta amazzonica sta per essere dimezzata da un provvedimento dello Stato brasiliano, mentre le autostrade aprono brecce nelle nostre montagne, mentre i funghi atomici si preparano a proliferare, mentre i ghiacciai si sciolgono, i debiti di metà del mondo aumentano, i potenti si riuniscono, e si riuniscono ancora, e non firmano, o firmano e ci dicono che hanno raggiunto ottimi risultati, mentre nulla cambia, spesso peggiora. Ottimi risultati, mentre la terra trema e ci schiaccia, il mare si alza e ci travolge, il magma esplode, il vento urla e spazza via le vite di chi non può fermarlo. Ed è solo colpa nostra. I governi non fanno che ripetercelo, ed io me ne sto convincendo.

Ma dove cazzo vado? Pago i tre euro, ed entro appena in tempo per il pranzo: pasta e asbesto, quello che ci voleva!

Foto di Francesca Di Miceli