C’è una biblioteca in Italia, in una piccola cittadina umbra, che racchiude nei suoi archivi migliaia e migliaia di libri. I generi sono i più disparati: dai volumi storici ai grandi classici, dalla letteratura moderna e contemporanea fino a quella per l’infanzia.
La biblioteca, sita a Todi, è rimbalzata agli onori della cronaca negli ultimi mesi per un fatto molto particolare che riguarda proprio la sezione dedicata ai più piccoli: è stata richiesto dalla Giunta comunale una lista di libri “proibiti”, perché venissero messi all’indice.
L’accusa principale mossa ad alcuni dei titoli presenti in biblioteca, come “Piccolo uovo”, “A caccia dell’orso”, “Piccolo blu e piccolo giallo”, “Orecchie di farfalla”, “Diverso come uguale”, è quella di incoraggiare le cosiddette “famiglie arcobaleno”, con relative ripercussioni sulla formazione del bambino.
La dottoressa Fabiola Bernardini, direttrice della biblioteca, ha tentato di difendere questi volumi giudicati pericolosi, con il risultato di essere sollevata dal suo incarico e trasferita in un settore totalmente diverso quale l’urbanistica.
In realtà nessuna di queste storie, tra l’altro molte edite già alla metà del secolo scorso (quindi ben prima che scoppiasse il cosiddetto “caso gender”, che possiamo far risalire agli anni ’50 del ‘900), è pensata con l’intento di indottrinare i piccoli lettori perché da grandi desiderino formare famiglie diverse dal modello tradizionale.
Piuttosto il loro obiettivo, facilmente riscontrabile da chiunque abbia il desiderio di spendere cinque minuti per leggere le pochissime pagine di cui sono composte, è quello di abbattere le barriere dei pregiudizi, facendo passare nel modo più delicato possibile il messaggio che la diversità non è un pericolo o un errore, ma qualcosa che esiste tanto quanto i modelli standard, la “normalità”, e in quanto tale è parimenti legittima ed apprezzabile.
La richiesta della Giunta fa riferimento alle direttive del MIUR: i testi scolastici, quindi adottabili negli istituti, devono in ogni modo evitare l’errato indirizzamento degli studenti verso tematiche delicate, quali per esempio l’omosessualità o la teoria gender, prediligendo un approccio neutrale. Ma lo stesso MIUR tiene ben presente nelle sue decisioni la legge 107/2015, “La Buona Scuola”, che recita testualmente: “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori”. Questa apertura ha reso necessario da parte del Ministero un nuovo chiarimento, in una circolare dello stesso anno firmata dal “Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione”: “Tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né “ideologie gender” né l’insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo”.
Ma se la scuola e tutte le aziende che ci girano attorno, editoriali e non, sono tenute a mantenere un elevato grado di neutralità nei propri contenuti, la stessa attenzione non è richiesta e non sarebbe (in teoria) neanche richiedibile ad altri tipi di enti quali per esempio le biblioteche.
Già la Costituzione italiana tutela come diritto fondamentale la libertà di stampa e d’espressione, nel famosissimo articolo 21. Eppure a Todi è stata fatta esplicita richiesta di consegnare un elenco contenente tutto il materiale potenzialmente pericoloso per la formazione della primissima infanzia (fascia 0-6 anni).
L’impressione è quella di un’azione tesa a reprimere la conoscenza e l’informazione, ostacolando il fondamentale apprendimento delle differenze da parte dei bambini. Va sottolineato inoltre che quando si parla di “diversità” è sbagliato fare riferimento soltanto all’omosessualità: come chiarito anche dai documenti del Ministero, le tematiche sensibili riguardano anche disabilità, razzismo, bullismo.
L’accusa in un certo senso è corretta: siamo a tutti gli effetti di fronte a un gravissimo pericolo per la formazione della prima infanzia. L’errore però è pensare che questo pericolo venga dal mostrare al bambino le tante sfumature del mondo così presto, ritenendo piuttosto preferibile lasciarlo all’oscuro di tutto, almeno in una prima fase. Proprio questa forma di oscurantismo, di censura, di taboo, è spesso alla base di atteggiamenti razzisti, omofobi o di bullismo che ogni giorno arrivano alle nostre orecchie e ai nostri occhi.
La verità è che soltanto chi non conosce qualcosa ne ha paura, e la paura spesso genera violenza, a diversi livelli di gravità. Proprio per combattere questo pericolo, l’Italia abbraccia l’Alleanza Europea per il contrasto all’“Istigazione all’Odio” (“Hate Speech”).
Come riportato nel documento del MIUR già citato: “L’istigazione all’odio, così come definita dal comitato dei ministri del Consiglio d’Europa è espressione di tutte le forme di diffusione ed incitazione all’odio razziale, alla xenofobia, all’antisemitismo e ad altre forme di intolleranza, espressione di nazionalismi, discriminazione nei confronti di minoranze, di migranti. Altre forme di discriminazione sono la misoginia, l’islamofobia, la cristianofobia e tutte le forme di pregiudizio circa l’orientamento sessuale e di genere. La campagna contro il “discorso d’odio” (Hate speech) è un progetto coordinato con l’Alleanza parlamentare contro l’odio (No Hate Alliance) del Consiglio d’Europa, partito nel 2012, e mira a combattere il razzismo e le forme di discriminazione on line, fornendo ai giovani e alle associazioni le competenze necessarie per riconoscere e svolgere azioni contro le violazioni dei diritti umani, sempre attraverso la trasmissione consapevole delle conoscenze del diritto e dei diritti”.
La convinzione che la conoscenza sia pericolosa è un’idea che è stata combattuta storicamente con guerre, sangue e persecuzioni, ed è triste pensare che ancora nel nostro tempo certe battaglie non si siano concluse. Per fortuna, però, ci sono sempre persone capaci di vedere oltre la punta del loro naso, disposte a perdere un po’ del loro tempo per comprendere i reali meccanismi che si muovono dietro azioni e messaggi, e a combattere per un mondo più civile, che si spenda per l’inclusione e non per la messa alla gogna delle diversità.