Un gruppo di pescatori sardi, lega un petardo al collo di un povero gabbiano reo di essere approdato sulla loro barca e poi lo rilascia facendolo esplodere in volo. Il video impazza sul web.
A Trepuzzi, ignoti hanno fatto carneficina di cinquanta pecore ferendole con un taglierino. I motivi di tale atrocità sono oscuri.
Balordi, (ma saranno davvero ragazzini?) hanno lasciato cadere petardi in un canile, provocando agli indifesi ospiti la sordità e qualche arresto cardio-circolatorio.
Sono solo alcuni dei casi che hanno captato l’attenzione dell’opinione pubblica in pieno clima natalizio.
Ma esiste una differenza tra la violenza destinata a un’altra specie e la violenza destinata agli umani?
Oppure la crudeltà sugli animali può essere interpretata come un anello integrante della violenza interpersonale e dunque considerata l’indicatore di una personalità brutale e di una pericolosità sociale che può manifestare la sua negatività anche nei confronti degli esseri umani?
Annamaria Manzoni, psicologa e psicoterapeuta nel suo saggio “Sulla cattiva strada” avanza l’ipotesi che tra crimini contro gli animali e crimini contro gli esseri umani ci sia relazione di causalità e continuità e che tutte le forme di crudeltà siano per molteplici aspetti, collegabili tra loro.
Il bambino testimone di violenza infatti, riproduce frequentemente atti di crudeltà anche sistematica verso soggetti in stato di fragilità, tra cui animali. Non solo, ma la messa in atto da parte di minori e adolescenti di comportamenti patogeni deve essere interpretato quale spia di quella pericolosità sociale a cui accennavamo. E’ chiaro allora come la prevenzione passi attraverso l’educazione e una corretta interpretazione del malessere di cui la violenza è spesso sintomo.
Cammino ne è stato fatto, ma è tuttavia indubbio che rimane ancora molto da fare.
E’ semplice da un lato stabilire i diritti, ben più complesso è il processo inverso di acquisizione di consapevolezza di quali siano i doveri ineludibili a cui tutti dovremmo obbedire e conformarci.
Infliggere sofferenza è eticamente sbagliato, non solo non è lecito. Questo principio, coniugato al rispetto per qualsiasi essere vivente va inculcato alle giovani generazioni, attraverso un’assunzione di responsabilità che diventa scelta di vita e progetto per il futuro.