Il prossimo 25 maggio 2013 avrà luogo a Palermo il Rito di Beatificazione del Servo di Dio Don Giuseppe Puglisi, sacerdote palermitano martire, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993. Ad annunciarlo la Conferenza Episcopale Siciliana lo scorso 23 aprile. Sarà il prato del Foro Italico, a Palermo, e non più lo stadio “Renzo Barbera”- come ipotizzato in precedenza – il luogo in cui si terrà la celebrazione della beatificazione del parroco che fu di Brancaccio. Lo ha annunciato il il vescovo ausiliare di Palermo Mons.Carmelo Cuttitta, presidente del comitato per la beatificazione.
Percorso di beatificazione, avviato con il decreto del santo Padre con cui si riconosceva il martirio del sacerdote di Brancaccio «in odium fidei» come scritto nell’atto di riconoscimento ufficiale del suo martirio, nel sentimento popolare dei palermitani don Puglisi è già santo. Uomo misurato ma irriducibile assertore della dignità cristiana che si sarebbe scontrata inevitabilmente con la cultura mafiosa imperante in un quartiere, in una città, dove i bisogni primari non erano certamente soddisfatti senza il volere della mano criminosa e dove la promozione umana vedeva una distanza incolmabile dall’impegno stesso della comunità ecclesiale.
Quella stagione di pianto e speranza
Una città, Palermo, che aveva vissuto in precedenza la tragedia di Falcone e Borsellino a cui seguirono manifestazioni di riscatto come le “lenzuola bianche antimafia“ sui balconi, a testimoniare come i palermitani la mafia non la volevano quale marchio che li identificava ormai in tutto il mondo, era il luglio 1992. A distanza di poco più di un anno, anche Don Puglisi avrebbe pagato la sentenza di condanna a morte emessa dallo stesso tribunale mafioso, toccando stavolta la talare di un santo prete.
La sera del 15 settembre 1993, giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno (era nato a Palermo, proprio nel quartiere Brancaccio, il 15 settembre 1937), Padre Pino Puglisi veniva ucciso con un colpo di pistola alla nuca mentre tornava a casa. Circa due mesi prima aveva subito un’ intimidazione mafiosa: di notte gli avevano parzialmente bruciato la porta della Chiesa. Da alcuni anni era parroco della Chiesa di San Gaetano, a Brancaccio, feudo della famiglia Graviano, e insegnava religione al liceo classico Vittorio Emanuele di Palermo.
Nella parrocchia di San Gaetano padre Puglisi aveva svolto una costante predicazione antimafia, un’opera di persuasione che mirava a sottrarre al destino di “picciotti” i tanti giovani del quartiere. A gennaio 1993 aveva inaugurato il centro “Padre Nostro”, diventato punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere. Il sacerdote dava fastidio alla mafia per il suo limpido apostolato, l’ azione contro i trafficanti di droga, le omelie di condanna a Cosa Nostra. Sono in molti a ricordare il suo sorriso, il suo sguardo gioioso che talvolta celava un velo di malinconia, una rassegnazione al destino che interpellava la sua stessa fede, quasi un continuo Getsemani per il figlio di quella terra irredimibile che lo aveva coltivato in seno e nel proprio seno l’avrebbe riposto perché portasse frutto anche dopo la precoce morte.
Quando arrivò lui, Brancaccio era una una sorta di zona franca dell’illegalità dove tutto, tanto nelle case fatiscenti che nei cuori, sembrava crollare a pezzi, da sempre complice la collusione che regnava tra malavita e potere politico. Potere politico che Don Pino Puglisi provò a stanare con non poche difficoltà. Dalla sua parte c’erano solo i ragazzi recuperati alla strada ed un gruppo di suore operose ma insufficienti a fronteggiare dall’altro lato chi annidava nei cuori della gente la diffidenza per il prete visionario, il silenzio dei più e il controllo incontrastato dei boss locali sulla vita di quella comunità.
I pentiti hanno rivelato che a ordinare il delitto furono i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss del quartiere. L’ agguato fu affidato a un ”commando” guidato dal killer Salvatore Grigoli che, dopo essersi pentito, ha accusato come suoi complici Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, che avrebbero svolto funzioni di appoggio, e il ”reggente” della cosca Nino Mangano che avrebbe organizzato la spedizione di morte. Grigoli ha raccontato che, quando Don Pino Puglisi capì che stava per ucciderlo, disse ”me l’ aspettavo”, e sorrise al suo assassino.
La Cassazione ha reso definitive le condanne all’ergastolo per i fratelli Graviano, boss della borgata di Brancaccio, accusati di avere ordinato l’uccisione del sacerdote e quella a 16 anni per il killer pentito Salvatore Grigoli, che ha confessato di avere sparato a Puglisi. Condanne all’ ergastolo anche per Spatuzza, Lo Nigro, Giacalone e Mangano.
Nel 2006 i teologi consultori della congregazione delle cause dei Santi riconoscono nella morte di padre Puglisi ”i requisiti del martirio”, segnando una tappa importante nel processo di beatificazione del sacerdote.
La figura del sacerdote ucciso dalla mafia è ricordata nel film di Roberto Faenza ”Dritto sulle righe storte” nel quale Luca Zingaretti veste i panni di Don Pino. Alla figura di Puglisi si e’ liberamente ispirato anche ”Brancaccio”, un film tv trasmesso dalla Rai, diretto da Gianfranco Albano e interpretato da Ugo Dighero.
Scriveva Don Puglisi: “C’è nella parrocchia un buon fermento di persone impegnate in un cammino di fede, nel servizio liturgico, catechistico e caritativo, ma i bisogni della popolazione sono molto superiori delle risorse che abbiamo. Vi sono nell’ambiente molte famiglie povere, anziani malati e soli, parecchi handicappati mentali e fisici; ragazzi e giovani disoccupati, senza valori veri, senza un senso della vita; tanti fanciulli e bambini quasi abbandonati a se stessi che, evadendo l’obbligo scolastico, sono preda della strada dove imparano devianza, violenza e scippi”.
Verso il 25 maggio: Puglisi, prete con il Vangelo fuori dalla sagrestia
Ad accompagnare il cammino che condurrà la chiesa alla beatificazione per la prima volta di un sacerdote ucciso per mano mafiosa la speranza di una città che gli omicidi di mafia li ha subiti e che oggi paradossalmente vive di silenzi e apparente tranquillità. Per il capoluogo siciliano e per tutti coloro che combattono contro la malavita organizzata “Don Pino Puglisi è un martire che ha dato la sua vita in difesa degli ultimi e della legalità e che ha testimoniato con la sua intera esistenza il valore della solidarietà e dell’accoglienza. Le nuove generazioni dovrebbero prenderlo ad esempio“, ha commentato il primo cittadino di Palermo, Leoluca Orlando.
In una nota don Luigi Ciotti, presidente di Libera commenta la notizia della beatificazione di Padre Puglisi.”Quel modello di prete che la mafia voleva cacciare in Sagrestia, oggi viene riconosciuto dalla Chiesa come massima fedeltà al Vangel. Mori’ per strada, dove viveva, dove incontrava i “piccoli”, gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalita’, soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso: perche’ un modo cosi’ radicale di abitare la strada e di esercitare il ministero del parroco e’ scomodo. Lo hanno ucciso – continua Don Ciotti – nell’illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di denuncia, di condivisione.Quel modello di prete che la mafia voleva cacciare in Sagrestia viene oggi ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa come massima fedeltà al Vangelo. La speranza che suscita oggi padre Puglisi è il dare dignità a tutti coloro che costruiscono nella chiesa catechesi e evangelizzazione a partire dalla strada , dai poveri , dagli ultimi.”
“Il prete palermitano – prosegue il fondatore di Libera- ha incarnato pienamente la poverta’, la fatica, la liberta’ e la gioia del vivere, come preti, in parrocchia. Con la sua testimonianza don Pino ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realta’ con impegno e silenzio. La vita di Padre Puglisi, il suo impegno sacerdotale, la sua voglia di strappare i ragazzi dalla strada, la sua passione educativa, il suo coraggio sociale fino a esporsi anche contro il potere mafioso diventano oggi per la chiesa un “modello” di santità cristiana, ma per molti altri era già un esempio di coraggioso impegno civile. La beatificazione di Padre Puglisi – conclude Don Ciotti – rilancia il grido di Giovanni Paolo II nella Velle dei Templi “convertitevi” e quello di Benedetto XVI nella piazza Politeama di Palermo “la mafia strada di morte”.
E proprio a far da eco alle parole che furono di Wojtyla, lo stesso Puglisi nelle sue omelie non si risparmiava nel fare appello contro una vigliaccheria strisciante, svilente, connaturata all’agire mafioso: “Parliamone, spieghiamoci, vorrei conoscervi e sapere i motivi che vi spingono a ostacolare chi tenta di aiutare ed educare i vostri bambini alla legalità, al rispetto reciproco, ai valori della cultura e dello studio“, diceva, rivolgendosi ai mafiosi.
Oggi, alla vigilia di una tappa importante per l’intera Sicilia, l’abbraccio della comunità ecclesiale a Don Pino Puglisi rappresenta l’abbraccio simbolico di quanti, uomini e donne libere, vogliono rigenerare la propria terra, debellarne la parte “malata” e garantire vigore a quel desiderio di legalità che non si assottiglia mai.
Puglisi si aggiunge, così, ai “fiori” sull’altare che la chiesa siciliana ha offerto alla buona causa dell’uomo.
Nei giorni scorsi è stata protocollata l’assegnazione del terreno confiscato alla mafia di Brancaccio così come era desiderio dell’ormai prossimo beato Don Pino Puglisi. Sorgerà una chiesa intitolata a lui, dando avvio al percorso per la realizzazione del nuovo complesso parrocchiale che il parroco desiderava realizzare nel quartiere e che sembra trovare luce a distanza di venti lunghi anni, troppi per la memoria di un uomo che con le sole proprie forze ha messo in piedi un oasi di legalità e di sussidio alla propria città.